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«Sicurezza». Un libro politico.

La frase attribuita a Confucio “dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno; insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita”, se male interpretata, distingue con precisione chi insegna (noi) e chi deve apprendere (loro), chi è avanti e quindi da emulare (noi), chi è indietro (loro). In verità la migrazione delle persone, degli alimenti, delle culture, delle idee, dei linguaggi, dei suoni e dei colori confonde, inevitabilmente, chi dà e chi riceve.

Magari parti dal Portogallo, come Gaspar Fernandes alla fine del ‘500, per esportare la polifonia liturgica e ti ritrovi, dopo qualche anno, a scrivere villancicos, nelle lingue indie nahuatl. Chi influenza chi?

E’ per questo che il libro connette tutto, perché la nostra sicurezza ha a che vedere con la guerra permanente a bassa intensità, la fine delle ideologie, la crisi dei corpi intermedi, i processi di atomizzazione sociale e spaesamento, la crisi di credibilità delle istituzioni, la fragilità dell’istituzione-famiglia, la precarietà del lavoro, le migrazioni, le crisi ambientali.

Gli autori, per traguardare un passato che non passa, si richiamano alla necessità di un’elaborazione condivisa, fatta di apertura, incontro, conoscenza reciproca. Un’apertura dolorosa perché costringe a riconoscere il negativo di sé e della propria parte.

Ci viene richiesto un innalzamento di sguardo, per andare oltre lo specifico locale e saper leggere le interrelazioni tra conflitti domestici e dinamiche internazionali. Senza chiudersi, nel bene o nel male, nei recinti degli stili di vita variamente immodificabili. Come se fossero gli unici ed eterni.

Uno sguardo rivolto al “prendersi cura” delle relazioni, del tempo, delle comunità, della pace, dei beni comuni, della qualità della vita e del fragile ambiente che ci ospita.

Un libro politico da leggere subito e discutere, se volessimo veramente iniziare a disincagliare, dalla tempesta, le ali dell’angelo della storia.

 

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