Più resilienti dei ratti
1 Aprile 2020La memoria di sé. Un racconto della città di Trento e dei suoi cambiamenti nell’ultima frazione di secondo
1 Aprile 2020Che questa ricerca sia ancora marginale e talvolta eretica rispetto alla vulgata politica, altro non descrive se non il ritardo culturale e la fede ossessiva di chi si attarda in visioni obsolete e fuori dal tempo. A partire, come scrive Ugo Morelli, da quella «di ricondurre a fattori naturali quello che accade, assolvendo l’azione dell’uomo. Si tratta di una tendenza alla deresponsabilizzazione che, insieme al negazionismo e alla dissolvenza rapida delle emozioni provocate dalle catastrofi, è tra le principali ragioni della nostra difficoltà a cambiare idea sulla crisi ambientale e climatica e sulla perdita di biodiversità. Eppure oggi sappiamo con evidenza non falsificata, come emerge dagli studi di molteplici centri di ricerca internazionali, che l’azione umana è al centro delle cause della crisi in corso; sappiamo altresì che agisce in noi un processo sistematico e costante di dissolvenza della compassione (compassion fade) che ci porta a normalizzare qualsiasi discontinuità e ad assuefarci, facendo prevalere la forza dell’abitudine; sappiamo, inoltre, che tendiamo a rinviare alle responsabilità di altri e non alle nostre, le cause della crisi, rinunciando così all’azione principale per affrontare i problemi, che è quella politica».
E che, malgrado ciò, sembra delineare il prendere corpo di una vasta comunità di pensiero le cui ragioni – fra eventi estremi, perdita di biodiversità, desertificazioni, abbandono della montagna, sorgere di megalopoli e di nuove patologie – divengono sempre più incontrovertibili. Un conflitto di visioni che – nonostante l’infinita transizione segnata da un pensiero unico che a guardar bene affonda le sue radici ben più lontano di quel che in genere si crede – dovrebbe prima o poi dare sostanza ad un confronto politico all’altezza della posta in gioco, il futuro della casa comune e di chi la abita.
L’hanno compreso i sovranisti che un racconto – tragico quanto concreto – lo propongono in ogni angolo della Terra: è quel prima noi che «decide, legifera, pianifica. Che plasma il mondo; cioè, in realtà, la sua superficie, lo strato sottile in cui viviamo, ognuno nel nostro microcosmo, ognuno connesso – spesso senza neppure sospettarlo – agli effetti d’area vasta e a quelli globali di ciò che avviene, di ciò che produciamo, negli spazi circoscritti del nostro quotidiano».
Cui ancora non corrisponde un’altra narrazione politica, che proprio facendo tesoro del delirio di un progresso senza limiti (risultano sempre più attuali le parole di Walter Benjamin sull’Angelus Novus), metta al centro della propria riflessione come del proprio agire il prendersi cura, della terra madre come dello stare assieme. (m.n.)