Preparare la pace
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di Michele Nardelli
Fin quando il meteo è stato clemente, la tre giorni di Slow Food “Aspettando Terra Madre” dedicata al tema delle Terre Alte è andata proprio bene. Il quartiere di San Martino a Trento colorato dalle bancarelle dei presìdi e affollato di persone incuriosite dalle specialità artigianali delle terre alte era davvero un bel colpo d’occhio. E poi i laboratori, le mostre, i libri, i piatti proposti dai cuochi dell’Alleanza… insomma c’era vita nel cuore della città.
E insieme pensiero. In primo luogo perché dietro ogni prodotto c’è storia e cultura, dedizione e saperi. E poi perché negli spazi di confronto e approfondimento, quello su “Ecosistemi e nuove geografie” che nei fatti ha aperto venerdì la manifestazione e l’incontro di sabato per “Un green deal per le foreste dolomitiche” sul dopo Vaia, si è sviluppato il tema della complessità, l’approccio necessario per dare un senso compiuto all’idea del cibo buono, pulito, giusto e per tutti che caratterizza da anni l’azione di Slow Food.
In realtà non abbiamo “aspettato” Terra Madre, l’abbiamo anticipata e declinata a partire dal contesto di una regione di montagna. Già lo scorso anno, nell’edizione di Terra Madre tenutasi in remoto e che fors’anche per questo si è concentrata più sulla riflessione che che non sulla promozione dei prodotti, Slow Food ha cercato di proporre un nuovo sguardo sul presente, indicando – negli oltre 1200 incontri svoltisi in ogni parte del pianeta – l’urgenza di un cambiamento dei paradigmi che hanno sin qui segnato la modernità.
In che cosa consiste questo nuovo sguardo? Parliamo di nuove geografie perché il mondo sta cambiando rapidamente e dovremmo saperlo comprendere e raccontare. Viviamo in un contesto sempre più globale e interdipendente, nel quale le grandi scelte passano attarverso i mercati finanziari, i corridoi transnazionali, le piattaforme a-geografiche, le mafie e il crimine organizzato, la post politica… fattori che riducono le vecchie istituzioni all’inessenzialità. Se lo vogliamo vedere, queste dinamiche investono tutti, comprese le nostre piccole comunità territoriali.
Le guerre, quelle che si combattono senza nemmeno accorgersene con l’esclusione e lo scarto, quelle tradizionali che nel loro ridisegnare confini e influenze vengono lette come la continuazione della politica con altri mezzi, quelle nuove dove la violenza organizzata non è più monopolio degli stati e dove deregolazione e criminalità sono gli ingredienti fondamentali, non sono altro rispetto all’intreccio di crisi (sanitaria, ecologica, demografica, alimentare, migratoria…) che attraversano tragicamente il nostro tempo.
Ecco che imparare a leggere il mondo in cui abitiamo con altri occhiali diviene decisivo per stare al mondo. Le nuove geografie sono ad esempio gli ecosistemi. Le terre alte sono l’ecosistema in cui viviamo e che ci accomuna – oltre i vecchi confini degli stati nazionali – con le popolazioni che vivono in montagna dove la vita è più dura ma dove, anche per questo, permane un principio di realtà. Analogamente potremmo parlare delle aree metropolitane, forse l’esito più insostenibile dell’attuale modello di sviluppo, prodotto dell’abbandono della montagna e delle aree interne. Oppure delle pianure, dove i processi di omologazione e di spaesamento hanno creato un ambiente artificiale e avvelenato. E lo sono le terre di mare, quell’ecosistema tanto importante quanto esposto agli squilibri che la crisi ecologica (causata dalla dissennata azione dell’uomo) va producendo.
Qui la riflessione ci porta ai cambiamenti climatici, alla perdita delle biodiversità, ma anche agli eventi estremi che ci ostiniamo a chiamare emergenze ma che altro non sono se non il manifestarsi del fatto che siamo andati oltre il limite. Come Vaia ad esempio. E’ stato davvero interessante realizzare un convegno sul “dopo Vaia” senza nemmeno rivolgere uno sguardo agli effetti che pure continuano (si pensi all’azione del bostrico), per rivolgere la nostra attenzione ai tempi biologici, ai tempi della natura, per riflettere sulle nostre foreste come abbiamo fatto con il documento intitolato “Un green deal per le foreste dolomitiche” (https://www.michelenardelli.it/uploaded/documenti/green-deal-definitivo.pdf). Sì, le Dolomiti, uno spazio sovraregionale, un ecosistema. Un possibile ambito di autogoverno, per reimmaginare le nostre istituzioni, anche quelle più antiche come le proprietà collettive, oggi in crisi parimenti alle istituzioni della nostra autonomia. Problema (apro e chiudo una piccola parentesi) che non è affatto riconducibile semplicisticamente alla colorazione dell’attuale governo provinciale.
La qualità dei relatori ha fatto sì che questi ambiti di riflessione ci regalassero stimoli di grande spessore e che cercheremo di proporvi per esteso prima possibile. Che Slow Food si faccia interprete in questa terra di questo bisogno di sguardo e di parole è per me motivo di vera soddisfazione. Come lo è immaginare che proprio nelle stesse ore in Val di Funes in Sud Tirolo venisse presentata la prima esperienza di Slow Travel della regione, l’idea di una forma di turismo fondata sulla conoscenza delle persone e della loro interazione con i luoghi.
Poi, a proposito di eventi estremi, è iniziato il diluvio. Abbiamo dovuto sospendere alcune delle attività previste all’aperto e rinviare la manifestazione che si doveva svolgere domenica alle Viote per la rigenerazione del Monte Bondone. La realizzeremo – almeno nelle nostre intenzioni – domenica 19 giugno. L’appuntamento è alle vecchie caserme austroungariche.