Transizioni giuste
29 Novembre 2023«… il cambiamento profondo che si richiede». Una lettera di Raniero La Valle
13 Dicembre 2023Da allora sono trascorsi diciassette anni, ma ogni volta che mi è capitato di passare di lì, il pensiero correva a quell’incontro. Cerco fra i miei appunti e le fotografie di quel giorno, i volti delle persone, il desiderio di tornare a considerare le montagne che circondano la città come motivo di amicizia piuttosto che di assedio.
Con Franco avevamo viaggiato in auto per tutta la giornata precedente, fra pioggia e neve, attraversando i nuovi confini che la guerra dei dieci anni aveva eretto. Come sempre accadeva (e ancora accade) questi nostri viaggi diventavano una bella modalità di racconto delle proprie strade di vita che prima di allora, pur conoscendoci da anni, non avevamo mai avuto l’occasione di scambiarci. E della bellezza delle relazioni pulite, in primo luogo perché scevre dalla logica degli aiuti.
Avevo contattato Franco qualche mese prima nel prestigioso palazzo della SAT di Trento per proporgli di prendere in considerazione le splendide e poco conosciute montagne dall’altra parte del mare Adriatico come luoghi di escursione fuori dagli itinerari abituali e, nel far questo, contribuire a quella cooperazione di comunità che proprio sulle relazioni fra territori fondava la propria ragion d’essere. Ne nacquero seminari formativi, incontri di conoscenza, viaggi e poi la traduzione nelle lingue balcaniche del manuale sulla sentieristica rispetto alla quale l’esperienza della SAT avrebbe potuto far scuola a livello internazionale. Era proprio quel che volevamo, mettere in contatto esperienze per costruire opportunità di scambio fra gente che – a dispetto della lingua parlata – già conoscevano l’alfabeto comune della montagna.
Dopo Sarajevo proseguimmo il nostro viaggio verso Kraljevo, in Serbia. Altre montagne, altre strade innevate, altre relazioni.
In realtà Franco Giacomoni lo conoscevo da quasi una vita. Perché Franco, oltre all’amore verso la montagna, aveva dedicato una parte significativa della sua esistenza al movimento operaio e al sindacato. Era stato per molti anni sindacalista negli edili, poi nei chimici ed infine, sul finire degli anni ottanta, segretario provinciale della Cisl trentina. Un’infinità di manifestazioni, di vertenze, di appelli, di frequentazioni comuni che ci avevano permesso di sentirci parte di una comunità impegnata per fare diversa la nostra terra.
Oggi sembra quasi che questo tratto di storia non abbia lasciato traccia, perché quel che non appare nella rete è come non fosse mai accaduto. Ma se il Trentino ha saputo lungo la sua storia recente diventare una terra viva e capace di sperimentazione innovativa sul piano sociale e politico anche nei momenti più difficili, lo si deve alle lotte dei lavoratori di cui Franco è stato fra i protagonisti.
Lo ricordo anche perché l’ultima occasione di confronto diretto con Franco è stata qualche anno fa di fronte all’ennesimo attacco contro una delle conquiste più importanti di questa terra, il “Progettone”. Dalla sua gestazione a metà degli anni ’80 come risposta alla prima crisi industriale del Trentino (la chiamammo allora “Legge scatola”), all’approvazione della legge provinciale n.32/1990 che apriva le porte dell’assunzione di personale espulso dalle aziende in crisi per lavori socialmente utili nel settore della difesa ambientale e, infine, per i successivi trent’anni il Progettone si è scontrato con l’ostilità sempre più agguerrita della destra, fin tanto da diventare una sorta di luogo comune malgrado avesse generato lavoro per oltre mille persone ogni anno, consentendo loro di aver accesso all’età pensionabile.
In quell’incontro, cui parteciparono con Franco anche Ciro Russo e Paolo Tonelli, ragionammo insieme sull’opportunità di scriverne di quell’esperienza, per farne tesoro a fronte della perdita di memoria che va offuscando anche i tratti più importanti della nostra vicenda autonomistica e delle politiche del lavoro messe in campo. Insomma, di farne un libro. Da parte mia avevo raccolto un bel po’ di materiale e ci trovammo tutti d’accordo sulla necessità di metterci a scrivere, coinvolgendo altre persone che a quell’idea ci lavorarono e che poi la tradussero in progettualità amministrativa e azione concreta. Un libro che poi purtroppo è rimasto in un cassetto o, meglio, in un voluminoso raccoglitore che non ho più trovato il tempo di riaprire. E che meriterebbe – anche in nome di Franco – di essere riaperto. Vedremo.
Tutto questo per dire che quell’intuizione era l’esito di un tempo che generava coscienza sociale e politica, processi partecipativi e leggi, che – malgrado il segno dei tempi – continuano a generare diritti e dignità.
Sono solo piccoli frammenti di vita per ricordare un uomo che non ha mai smesso di pensare e di agire per la nostra comunità a tutto tondo. E di questo – caro Franco – la nostra comunità ti deve essere riconoscente.