13 Marzo 2019

Povero tempo nostro

“Tempi interessanti” (90)

La voce di Gianmaria Testa ci accompagna nel nostro attraversare le montagne ferite. Ci racconta di un vento che spazza questo povero tempo nostro, appassito nella bestemmia delle parole. Diventa così l'inaspettata, dolce, colonna sonora di questo ennesimo itinerario di un “viaggio“ che si rivela ad ogni suo passo una possibile chiave di lettura del presente. Ed è come ci cullasse nella tristezza di un ambiente alpino segnato per i prossimi decenni dal ribellarsi della natura.

Tristezza... e rabbia. Nell'osservare gli utenti del divertimentificio sfrecciare con i loro ridicoli fuoristrada finalmente liberati dall'ingorgo delle città. Mi chiedo che cosa ancora debba accadere per comprendere la nostra insostenibilità...

12 Marzo 2019

Far depositare la polvere. Aggiustare la bussola. Politicizzare la società.

di Federico Zappini *

Un mattino di primavera. Il sole che taglia in due la stanza. Un tappeto sbattuto che rilascia un pulviscolo infinitesimale. Correnti invisibili che ne determinano andamenti confusi. Un movimento caotico di particelle.

Questo è lo stato dell’arte del mondo che ci circonda. Il tappeto è la società così come la conoscevamo, scossa da una serie di crisi che ne minano le certezze, mescolano le caratteristiche fondanti, disarticolano la composizione. La polvere siamo noi, cittadini/elettori spaesati. Le spinte che frullano questa realtà a grana sottilissima sono i fattori che generano l’entropia contenuta in quel limbo che Antonio Gramsci poneva tra ciò che non è più e ciò che non è ancora. Disintermediazione e comunicazione iper-accellerata. Frammentazione delle relazioni e apparente impossibilità di dare forma a ipotesi credibili per futuri desiderabili.

11 Marzo 2019

Il cambiamento climatico e i boschi devastati. Un video del viaggio

(23 febbraio 2019) Come forse saprete nei giorni scorsi si è svolto il decimo itinerario del "Viaggio nella solitudine della politica", in questo caso ambientato nelle Alpi devastate dagli eventi atmosferici dell'ottobre scorso ed in particolare nelle Dolomiti bellunesi, nel Cadore, in Carnia, in Val di Fassa, nell'area di Carezza, in Valle di Fiemme e nel Lagorai.

Un viaggio ricco di immagini, incontri, riflessioni attorno a realtà molto diverse fra loro per caratteristiche naturali, assetti proprietari ed istituzionali, condizioni economiche ed altro. Ma accomunate da un territorio montano che per la sua fragilità richiede attenzione e cultura del limite. E che, anche per questo, fatica ad entrare nelle agende politiche.

Ne verrà, come in in ognuno dei nostri itinerari, un reportage, uno o più racconti scritti e fotografici per giornali e riviste, un incontro con alcuni dei protagonisti del viaggio che pensiamo di realizzare entro il mese di marzo a Trento. Forse un film.

E, nell'immediato, un video con le splendide immagini di Razi Mohebi e Soheila Javaheri che i lettori possono già trovare qui: https://youtu.be/ymOQCYjIxvY (con preghiera di diffusione).

23 Febbraio 2019

L’autonomia differenziata sta minando l’unità d’Italia?

Un passaggio obbligato per interpretare il futuro

di Giorgio Cavallo

L’autonomia differenziata colpisce un nervo scoperto

Come è possibile che una semplice applicazione di una previsione costituzionale che nel 2001 venne proposta ed approvata dalla sinistra e dal voto popolare, con una destra che riteneva tale previsione poco federalista, venga oggi vista come una mina pronta ad esplodere e a far saltare l’unità dello Stato italiano?

Non entro nel merito degli aspetti tecnici della questione, dei particolari applicativi e di quelli finanziari e del complesso delle modalità di trasferimento delle materie, ma vorrei centrare la vicenda sugli aspetti politici che si stanno palesando. Non ritengo peraltro che le posizioni emergenti dagli oppositori né quelle dei, più o meno vivaci, proponenti sia unicamente determinata da interessi elettorali e dal loro posizionamento geografico. Lo scontro è realmente politico.

Molta acqua è passata sotto i ponti dal decennio di fine secolo scorso quando il dibattito sul federalismo era un tema su cui “tutti” si confrontavano, magari anche per impedire il secessionismo dichiarato, ma mai praticato, della Lega Nord di Bossi. Il federalismo era considerata una medicina per curare le difficoltà di uno Stato uscito a malapena da “tangentopoli” ma che esprimeva comunque una vitalità soprattutto a partire dai suoi corpi intermedi, organizzati e spontanei.

 

20 Febbraio 2019

Nelle Alpi devastate dagli eventi atmosferici

Dal 15 al 17 febbraio 2019 si svolge l'itinerario n.10 del "Viaggio nella solitudine della politica". S'intitola "Esiti del cambiamento climatico. Nelle Alpi devastate dagli eventi atmosferici" e si snoderà attraverso le Alpi Carniche, il Cadore, il Lagorai e le valli colpite dal vento devastante che nella notte fra il 29 e il 30 ottobre  è arrivato a punte oltre i 200 chilometri orari.

«Ciò che è accaduto nella notte fra il 29 e il 30 ottobre del 2018 nelle foreste dolomitiche e carniche rappresenta un avvenimento tanto inedito quanto inquietante che ci porta a considerare come gli esiti dei cambiamenti climatici siano da considerare nel nostro presente. Ne ho parlato nel mio blog nella riflessione dal titolo “La ribellione della natura” (http://www.michelenardelli.it/commenti.php?id=4215) e riprendendo il prezioso reportage di Giampaolo Visetti “La terra guasta” (http://www.michelenardelli.it/commenti.php?id=4214).

Malgrado l'evidenza degli avvenimenti che investono il pianeta sotto ogni latitudine e rispetto ai quali nessuno può chiamarsene fuori, tanto la dimensione pubblica (le scelte dei governi in primo luogo) quanto quella privata (i nostri stili di vita) non sembrano approdare ad alcun significativo ripensamento.

 


Dolomiti e Alpi Carniche

Il programma

1 Febbraio 2019

La Politica è amare un uomo che ancora non è nato

di Federico Zappini *

(1 febbraio 2019) E’ un tempo di mancanza e di bisogno. Mancanza di Politica e bisogno di Politica. Come pratica della cura e azione che interroga il reale. Della Politica non possiamo fare a meno. Non possiamo ridurla a inseguimento del quotidiano o aderenza a un continuo presente, che non passa. Dobbiamo riappropriarci del desiderio della Politica. Ma come? Come pensare – l’apparentemente – impensabile?

Per Albert Camus “la rivoluzione consiste nell’amare un uomo che ancora non è nato”. Ecco il livello della sfida. Dopo dieci anni di crisi – al plurale – va messo in campo un modello economico capace di impattare sulle crescenti diseguaglianze, di sostituire la competizione con la cooperazione. Con l’approssimarsi del default ecologico dobbiamo ri-farci Natura, rientrando nei limiti che abbiamo superato. Schiacciati dal peso di tecnologie pervasive possiamo rivendicarne il controllo, anteponendo al potere regolatorio dell’algoritmo la mitezza dell’empatia e la meraviglia della creatività. Di fronte a spinte demografiche che cambiano i connotati del pianeta possiamo rimpiangere le identità, riesumare le razze e tracciare confini o impegnarci per definire le caratteristiche di un Mondo nuovo, più giusto ed equilibrato, più meticcio e relazionale.

19 Gennaio 2019

Uomini e no. In dialogo con Francesco Picciotto

«Da una parte gli uomini, dall'altra no» scrive l'amico Francesco Picciotto (sulla home page di questo sito oppure in https://adoraincertablog.wordpress.com/2019/01/02/uomini-e-no/). Vorrei essere d'accordo con lui e probabilmente un tempo lo sarei stato. Ora non più.

Uomini e no di Elio Vittorini è stato uno dei libri importanti della mia formazione giovanile. In quel confine fra umanità e disumanità ci sono cresciuto, era la ragion d'essere, il discrimine fra il male e il bene. Cui corrispondevano le scelte di vita, non solo l'impegno politico ma, come nel romanzo di Vittorini, persino gli amori.

Eppure lo stesso Vittorini, figlio di quel tempo manicheo, nelle ultime pagine del suo romanzo apre una possibilità, quella di vedere nel soldato tedesco non solo il seguace del nazismo, ma un operaio triste che porta su di sé il dubbio e forse il dolore. E nel giovane partigiano che lo risparmia, la capacità di distinguere fra l'uomo e la sua rappresentazione... una moto in meno che, bruciata, gli offre una nuova possibilità.

30 Novembre 2018

Il tagliando

di Raniero La Valle *

Riprendo questo scritto dell'amico Raniero La Valle perché ritengo, pur da non credente, che lo sguardo proposto ci indichi una prospettiva di alto profilo per affrontare questo tempo. Credo altresì che una storia sia finita e che, in mancanza di un'analisi critica della modernità i cui grandi paradigmi sono stati lo stato-nazione e le magnifiche sorti dello sviluppo, ben difficilmente sapremo imparare dal passato e immaginare il futuro. Non tutto è stato scritto e a questo credo dovrebbe servire il tagliando. (m.n.)

(29 novembre 2018) Sono già passati 18 anni dall’inizio del secolo, e anzi del millennio, e le cose avvenute sono tali per cui è diventato urgente fargli il primo tagliando, per capire dove sta andando, e se bisogna lasciarlo andare così.

Era cominciato, il millennio, nella percezione di un grande cambiamento. Con molta retorica era stato celebrato l’Anno Santo del Duemila, stava cominciando l’euro e stava debuttando, col suo nuovo nome di Eurozona, l'Europa, il comunismo non c’era più e il capitalismo stava prendendo il potere in tutto il mondo promettendo libertà e benessere, all’occidentale, per tutti. Grandi (e piccoli) uomini e donne avevano chiuso il passato, ancora appartenendovi, senza sapere o poter aprire il futuro: Paolo VI, papa Wojtyla, Berlinguer, Gorbaciov, e ancora la signora Thatcher, quella che voleva far tornare l’Iraq all’età della pietra, cioè a prima di Babilonia e di Ninive, il Bush del “nuovo secolo americano”, gli autori del Trattato di Maastricht che avevano scelto l’economia al posto della politica e come sovrano il denaro al posto del popolo. In ogni caso però c’era la sensazione profonda di un principio: a Roma si era istituito addirittura un Assessorato che si chiamava “Roma cambia millennio” e si fecero studi e un convegno internazionale per vedere che cosa si dovesse lasciare e che cosa portare con sé nel passaggio dall’una all’altra epoca; poi Rutelli e il cardinale Ruini decisero che bastava così e tutto fu chiuso.

14 Novembre 2018

Il futuro della Politica sta nel risalire la corrente… *

... e imitare il salto di Fosbury

 

di Alberto Winterle e Federico Zappini

 

Anno 1968. Dick Fosbury vince la gara del salto in alto alle Olimpiadi di Città del Messico. Lo fa stupendo il mondo, modificando per sempre la tecnica di salto. Dalla transizione ventrale si passa a un movimento con l’asticella approcciata di schiena, dopo una rincorsa arrotondata invece che lineare. Un azzardo. Una rivoluzione della tecnica fino ad allora utilizzata.

Osservando il contesto politico e sociale – in Trentino e non solo – risulta evidente l’urgenza di ripercorrere metaforicamente la coraggiosa storia di Dick Fosbury. Un cambio di paradigma, tanto nei contenuti quanto nelle forme, con l’obiettivo di mettere in campo risorse e idee per la definizione di un un nuovo campo possibile per il confronto politico e per l’azione che ne dovrebbe conseguire.

3 Novembre 2018

Una comunità di pensiero, per stare al mondo

Nella spettacolare cornice dell'antico monastero di Sant'Anna1 abbiamo cercato di restituire ad un folto gruppo di amici quel che il recente viaggio in Catalunya ci ha consegnato. Lo abbiamo fatto attraverso una serie di immagini/riflessioni che si sommano a quanto con Federico abbiamo già scritto. Metto quindi per esteso gli appunti che ho proposto introducendo la proficua conversazione di sabato scorso, chiedendo ai presenti di fare altrettanto, sviluppando in forma scritta le loro stimolanti considerazioni.

di Michele Nardelli

 

1. L'omaggio a Walter Benjamin, l'attualità del suo messaggio

Cominciamo dalla fine del nostro viaggio, la visita a Port Bou dove sorge il memoriale in ricordo di Walter Benjamin. Qui, nella notte fra il 26 e il 27 settembre del 1940, il filosofo tedesco stremato dal fuggire infinito dalla persecuzione nazista e devastato dalla decisione del governo franchista di chiudere il suo territorio ai “profughi illegali” decise di porre fine alla sua esistenza. Scrisse un biglietto: «In una situazione senza uscita, non ho altra scelta che farla finita. E la mia vita terminerà (va s'achever) in un paesino dei Pirenei in cui nessuno mi conosce. La prego di trasmettere i miei pensieri al mio amico Adorno, e di spiegargli la situazione nella quale mi sono trovato. Non mi resta abbastanza tempo per scrivere tutte le lettere che avrei voluto scrivere».

Nel promontorio a picco sul Mediterraneo dove l'architetto di origine ebraica Dani Karavan realizzò agli inizi degli anni '90 un memoriale per nulla retorico e di straordinaria efficacia comunicativa, a pochi passi dal cimitero di Port Bou, i flutti delle onde ci ricordano dell'infinito lottare per la vita. E della straordinaria attualità del messaggio che Benjamin ci ha lasciato, mettendoci di fronte alla critica del progresso con il suo celebre scritto sull'Angelus Novus di Paul Klee2, alla questione dell'umano nella storia in un tempo che con il “prima noi” sdogana la fine dell'umanesimo, alla condizione dell'apolide fra il diritto di cittadinanza di ogni essere umano e i confini degli stati-nazione all'origine delle grandi tragedie del Novecento.

Ragione quest'ultima che aveva portato Soheila Javaheri e Razi Mohebi – amici cari che hanno partecipato al nostro viaggio – ad immaginare da tempo di concludere proprio qui a Port Bou l'autobiografia della prima parte della vita di un apolide moderno come Razi. In quel bisogno imprescindibile di passare da una condizione di sopravvivenza vegetativa ad una vita che possa definirsi tale, ben rappresentata da quella piccola frontiera ancora oggi militarizzata che ci ferma e che mette Razi per l'ennesima volta di fronte al proprio status di “cittadino del nulla”. Non avremmo potuto immaginare una conclusione del nostro itinerario catalano più paradigmatica.

1 Novembre 2018

Gli alberi caduti e la comunità che semina il proprio futuro

di Federico Zappini *

Scrivo queste righe mentre ancora non si è esaurita la coda dell’allarme maltempo che da giorni tiene in scacco il Trentino insieme a diverse altre regioni italiane. Fuori dalla porta della libreria cade ancora qualche goccia di pioggia. Sul divano della libreria Petra e Adele – le mie due figlie – capiscono solo in parte la causa delle loro prolungata assenza da scuola. Incrocio sui social network le cronache appassionate di amministratori locali che guidano e monitorano, mani e piedi nel fango, i tentativi di rimettere in esercizio vie di comunicazione interrotte, riattivare servizi di base come luce e acqua non garantiti in alcuni casi da giorni, elaborare la conta dei danni e – compito ingrato e doloroso – offrire sostegno a chi ha subito dei lutti.

Siamo quindi ancora nel campo precario di ciò che avviene immediatamente dopo un fenomeno traumatico che impatta su un territorio e sulla comunità che lo abita. Si interrompe il flusso normale della vita. Si incrinano le certezze banali e pur fondamentali della quotidianità. Soffrono le istituzioni – politiche, sociali ed economiche – che ne regolano il funzionamento.

30 Ottobre 2018

Serve un nuovo racconto

“Tempi interessanti” (87)

Faccio legna per l'inverno...

L'esito delle elezioni in Trentino, per quanto previsto da tempo, non mi è facile da accettare, quasi che dell'impegno di una vita per fare del Trentino una terra diversa non rimanessero che macerie.

Così, negli spazi di tempo fra un appuntamento e l'altro – lunedì ero a Firenze a parlare di cooperazione internazionale, martedì all'Università di Parma a presentare “Sicurezza“, giovedì sera a Isera al primo di una serie di incontri promossi da Slow Food sul rapporto fra cibo e ambiente – faccio provviste e legna per l'inverno, come se la “cattiva stagione“ dovesse durare a lungo, almeno una legislatura.

Faccio di tutto, insomma, pur di non prendere in mano carta e penna, laddove pensieri e parole mi sembrano improvvisamente inutili...