6 Febbraio 2010

sabato, 15 ottobre 2011

Sabato a Casablanca. Uno s'immagina una visita a quel che rimane della città vecchia, gli odori forti del mercato, uno sguardo sul mare che qui è oceano ... ed invece passiamo la giornata ad incontrare persone in hotel, prima dove abbiamo alloggiato e poi allo Sheraton, dove si svolge la conferenza sul futuro del Sahara Occidentale (che qui chiamano "marocchino"), dopo anni di stallo nelle trattative per l'indipendenza. Insomma, chiusi nei "non luoghi" della modernità che in questa metropoli appare più vistosa che altrove. Questo suona contraddittorio con i costumi tradizionali che affollano la conferenza e con le mie stesse parole sull'autonomia come modo di abitare la globalizzazione...

5 Febbraio 2010

venerdì, 5 febbraio 2010

Oggi nevica. Avrei voluto essere con quei quattrocento ragazzi trentini che sono in viaggio per la Polonia, destinazione Auschwitz. E’ il treno della memoria che l’associazione "Terre del fuoco" ha proposto lo scorso anno con il Forum trentino per la Pace e la Provincia e che quest’anno viene riproposta. Ma la costipazione mi perseguita da diversi giorni e così sono qualche ora in ufficio e poi a casa. Sarà per l’anno prossimo. La nostra comunità ci investe ed è bene che sia così, affinché questa opportunità di conoscenza possa crescere e diventare parte di un più ampio progetto di educazione permanente. Quello della memoria è uno dei temi che abbiamo messo fra i punti cruciali del programma del Forum e di cui andremo a parlare nelle prossime settimane nel confronto con i Comuni e le associazioni in ognuna delle comunità di Valle. Il viaggio interroga le loro giovani vite attorno alle tragedie del Novecento. Un secolo che abbiamo oltrepassato, ma il cui messaggio non è affatto elaborato. Perché – come ha scritto Mariuccia Salvati – "Auschwitz è il Novecento". Il secolo delle "nefaste meraviglie", il tempo della "produzione umana del disumano". Auschwitz è una piaga aperta, di un corpo malato che prima l’ha prodotta e che poi si è salvato la coscienza con Norimberga, perseguendo i criminali (una parte, per la verità), non certo la "banalità del male". Per dirla con Karl Jaspers, affrontando la colpa criminale, non quella politica e morale. Soprattutto là dove il nazifascismo aveva registrato un grande consenso popolare, il problema venne in larga parte rimosso. Qui da noi era più facile e meno doloroso assecondare l’idea degli "italiani brava gente", piuttosto che scavare dentro le proprie responsabilità. Ma, come sempre avviene quando non vengono elaborati, i conflitti rimangono lì come fantasmi, pronti a riapparire ogni volta che la paura e qualche apprendista stregone saprà far leva su rancore e narrazioni divise. Ed oggi ci accorgiamo di una società non attrezzata ed ignorante, incapace di convivere con le diversità, carica di pregiudizi, che odia gli zingari. Cioè i primi ad essere sterminati nei campi della morte. In quello ustasa di Jasenovac, oggi al confine fra la Croazia e la Bosnia Erzegovina, il computo delle sessantanovemila persone che vi persero la vita nemmeno conteggia le vittime di etnia rom, assassinati prima ancora di diventare dei numeri. Nemmeno si è riflettuto abbastanza su quella scritta "Arbeit mach frei" (il lavoro rende liberi) e su quel che descriveva: da una parte la razionalità del sistema concentrazionario, la piena corrispondenza fra l’obiettivo che lo stato tedesco si era dato e gli strumenti messi in campo per perpetrare questo crimine; dall’altra il fatto che quella era una "fabbrica", l’estrema applicazione della rivoluzione industriale alla guerra come aveva presagito qualche decennio prima Arthur Rimbaud. Non a caso qualcuno voleva farla sparire, per fortuna senza successo. Come non c’è stata riflessione, appunto, sulla banalità del male, sul fatto che intorno ai campi della morte la vita scorreva normalmente. Che non è poi tanto diverso dall’estraneità (e dal fastidio) che continua ad avere una città come Trieste verso la Risiera di San Sabba. O che la Russia del post comunismo sia retta da un ex agente del Kgb, ovvero uno dei simboli che contribuirono a trasformare – per usare ancora le parole di Rimbaud – la "promessa in demenza". Potremmo continuare all’infinito. Il resto l’ha fatto la retorica. Si possono istituire giornate in ricordo o in memoria di qualsiasi avvenimento o tragedia che l’umanità ha vissuto e nello stesso tempo svuotarne il significato perché ingessate sulla ricorrenza piuttosto che attorno alla capacità di un paese o di una comunità di vivificarne il significato. Che cosa significa il primo maggio se ogni anno muoiono sul lavoro in Italia più di 1100 lavoratori o abbiamo a che fare con situazioni di sfruttamento come quelle viste a Crotone? Ne scrivo per "Consiglio provinciale cronache" dove il Forum ha una pagina dedicata. Intanto fuori continua a nevicare.  
4 Febbraio 2010

giovedì, 4 febbraio 2010

Mentre siamo in Consiglio provinciale arriva la notizia del raid di alcuni giovani studenti nella sede del Pd del Trentino di via Brennero, a Trento. "Dalmaso come Gelmini", "Dellai come Berlusconi", "PD – PDL la stessa arroganza"…  questi gli slogan degli striscioni o dei cartelli che vengono affissi alle pareti. Fossi stato lì mi sarei messo a piangere. Quindi la mia solidarietà a Michele, Laura e Marta che hanno vissuto quei minuti, forse non di paura ma di frustrazione certamente.   E il biasimo per queste azioni che magari vengono pensate come di lotta, con tanto di ricerca di effetti mediatici, con fotografi ed operatori "embeddet". Al seguito, come in guerra. L’importante è lo slogan ad effetto e una tecnica collaudata per far parlare di sé, non certo capire la posta in gioco. Che, l’avrò detto in tutte le salse, non è la riforma del secondo ciclo, bensì la volontà di affossare la legge Salvaterra. Obiettivo sul quale convergono le parti più retrive e corporative del mondo della scuola, un segmento importante e potente della burocrazia provinciale (che sin dalla scorsa legislatura s’è messo di traverso costringendo l’assessore Salvaterra alle dimissioni) e gli utili idioti che nemmeno sanno quali sono le competenze della provincia o che hanno in mente il fatto che qui siamo in Italia e che quindi "che cos’è questa storia dell’autonomia?"… Ma la cosa che più mi fa incazzare sono le stupidaggini della consigliera Cogo che, di fronte ad un’aggressione tanto odiosa non trova niente di meglio che dire "Su questo tema abbiamo misurato la distanza abissale che corre tra le due anime del PD dopo lo scioglimento della Margherita" e che quella Dalmaso darebbe "una riforma classista, che in nome di una pur giusta meritocrazia, penalizza i più deboli. Il sistema duale, poi, è retrogrado e lo usano ormai solo nei paesi del nord Africa" (il Trentino, del 5 febbraio pag.3). Ma di che cosa sta parlando? Molte delle critiche rivolte al provvedimento dell’assessore Dalmaso partivano esattamente dall’opposto, ovvero dal "retaggio egualitarista" di cui sarebbe portatrice. Siamo in presenza del rovesciamento della realtà. Che si siano compiuti degli errori, ci sta. Bisognava dire sin dal primo minuto che, a differenza della Gelmini, sull’istruzione in Trentino non si taglia ma s’investe, che la riforma della scuola in Trentino s’è fatta due anni fa e si chiama legge Salvaterra e riguarda la grande sfida dell’autonomia scolastica, che proprio questo doveva essere uno dei passaggi decisivi nella capacità di rispondere alla Gelmini attraverso la gestione istituto per istituto degli orari, che la proposta sul biennio comune è la giusta declinazione dell’allargamento dell’obbligo scolastico a 16 anni (cosa che viene messa in discussione dai provvedimenti del governo Berlusconi con la norma sull’anticipo dell’apprendistato), che il ghetto degli istituti professionali andava giustamente superato. Che tale percorso dovesse essere partecipato, non ci piove. Ma anche in questo caso erano gli strumenti della legge 5 (il Consiglio delle Autonomie) che dovevano essere attivati, cosa che invece non è avvenuta per un insieme di ragioni che hanno molto a che vedere con il boicottaggio strisciante della legge stessa. "Le due anime del PD dopo lo scioglimento della Margherita", dice la Cogo. Che tradotto vuol dire: c’è una "sinistra" (i DS) che non è mai stata d’accordo con la riforma Salvaterra (ed ora con la Dalmaso) e una "destra" che questa posizione ha avvallato sin dai tempi dell’accordo Pat – Miur (che sarebbero quelli della Margherita e quelli di Solidarietà). Effettivamente non so quanto un partito non solo incapace di nuove sintesi culturali ma anche così cristallizzato possa reggere. Mi arriva il documento di Flavio Ceol. Quattro cartelle fitte fitte sulla scuola, di uno che la materia la conosce bene. I suoi argomenti sono sferzanti, è sicuramente una buona base di discussione quand’anche su alcune cose non sia d’accordo. Del resto con Flavio abbiamo nei mesi scorsi continuamente messo in guardia l’assessore Dalmaso di quel che poi avrebbe potuto scoppiare. Le ha scritte come suo contributo per una riunione della Commissione tematica del PD che avrebbe dovuto riunirsi in serata e che scopro essere rivolta solo ai componenti l’assemblea e il gruppo consiliare. In una situazione del genere perdere del tempo in una riunione tecnica (per capire chi invitare) mi sembra francamente ridicolo, tanto che decido di non andarci nemmeno. Non si può stare a guardare. C’è da far emergere un orizzonte politico della proposta e c’è una strategia di comunicazione da inventare se non vogliamo che la menzogna diventi realtà. C’è in giro un grande sconcerto e c’è un forte appannamento nella capacità di avere memoria anche ravvicinata dei passaggi politici della nostra autonomia. E un’idea della politica come ricerca di consenso purchessia. E’ proprio vero che le riforme lasciate a metà  si scavano la fossa.  
4 Febbraio 2010

giovedì, 17 novembre 2011

Finanziaria 2012 e agricoltura, formazione, giovani senza futuro, cooperazione trentina, cittadinanza euromediterranea e, infine, l'autonomia trentina per il futuro del Sahara occidentale... Un'ordinaria giornata di lavoro nel diario di bordo nel giorno in cui il nuovo governo si presenta in Parlamento per la fiducia. 

3 Febbraio 2010

mercoledì, 3 febbraio 2010

Incontro Franca e Annamaria a lato del Consiglio provinciale. Parliamo di diverse cose, fra queste del disegno di legge antiviolenza, di scuola e di sviluppo rurale dell’alta Val di Non. Ci sono fra noi molte sintonie, ma anche distanze. La cosa che però più mi preoccupa nelle loro parole è un farsi interpreti di uno scollamento fra la politica e gli elettori, "persone che ti hanno votato" mi dice Annamaria "che non riescono a parlarvi, non vi trovano sul territorio …". Mi verrebbe voglia di mandare tutti al diavolo, cerco invece di capire. La mia agenda urla, piena com’è di appuntamenti, incontri sul territorio e riunioni. Carenza di comunicazione? Mi passa davanti il "rapporto semestrale" o il tempo che dedico a questa stessa cronaca quotidiana del mio impegno politico ed istituzionale. Ma davvero il problema è di "comunicazione"? O non invece di merito, come temo… Questo non significa affatto che criticità non esistano a cominciare dalla necessità di luoghi nei quali il confronto si possa sviluppare, dopo anni di deserto e di progressivo trasformarsi dei partiti in comitati elettorali. Ma credo ci sia qualcosa di più profondo. Ho la sensazione che il nostro mondo (parlo della sinistra) fatichi o nemmeno si ponga il problema di indagare intorno alle proprie categorie, di uno scarto crescente di pensiero che è cresciuto mano a mano che si è scelto di posizionarsi lungo i crinali impervi della ricerca di nuove sintesi culturali. Ho in mente la conversazione con Liliana di qualche sera fa a Povo, quel "non riconoscersi più" che sa di tradimento, quel richiamo tutto ideologico alla coerenza, quando ognuno di noi sa che quest’ultima o è una ricerca continua o fa paura. A ragion del vero, quel collocarsi sull’uscio di fronte al "dimmi da che parte stai" mi costava anche prima di assumere questo ruolo istituzionale. Ora sei solo più esposto, si vede di più, è meno capito. Oltretutto i media non apprezzano affatto, ignorano anzi, la fatica della politica. E’ l’antipolitica, ovvero il sangue, l’ingrediente preferito. O il pettegolezzo, che da me non avranno di certo. Ed anche questo non giova alla comunicazione. Il PD, del resto, è nato per costruire nuove sintesi culturali ed una proposta politica capace di tradurle in programmi di governo (o di opposizione). Non per vincere laddove la sinistra aveva perso. Non per battere Berlusconi, ma per sconfiggerne la cultura politica che molto spesso attraversa in modo trasversale gli schieramenti. Per ritessere una trama di idee e di partecipazione, compresi i luoghi di formazione delle idee e di nuove classi dirigenti. Più sto in Consiglio provinciale e più avverto che questo è il problema più urgente nella nostra comunità. Del resto, nasce da qui il progetto "Politica è responsabilità" che a breve prenderà il via. Occorrono le parole di un nuovo abbecedario, servono i luoghi dove le idee diventino elaborazione collettiva. E’ con questi pensieri che attraverso una lunga giornata di Consiglio provinciale. Le voci martellanti degli esponenti dell’opposizione ostentano dichiarazioni di guerra semplicemente perché respingiamo le loro proposte di legge. Non c’è democrazia, gridano. Sono due settimane che il Consiglio non discute d’altro che di mozioni o proposte di legge delle minoranze.  
3 Febbraio 2010

domenica 28 agosto 2011

... Tutti a guardare il dito, della luna non c'è traccia. La luna potrebbe essere un progetto per l'Italia in Europa, che parli di terra, sole, cultura. La politica sembra invece non vedere, ridotta a ricerca del consenso. Così personaggi privi di qualsiasi spessore giocano con le istituzioni, come già nel 1992 nel passaggio fra la prima e la seconda repubblica quando la risposta al malaffare fu l'idea - suffragata dal plebiscito referendario - di piegare le istituzioni repubblicane (fondate sulla rappresentanza proporzionale) alla logica maggioritaria. Si aprì la strada al berlusconismo e ancora non ne siamo usciti. Un grande imbroglio...
3 Febbraio 2010

martedì, 30 agosto 2011

... Il Disegno di Legge al quale abbiamo lavorato con un folto gruppo di lavoro in questi mesi è ormai pronto ed ora viene portato al vaglio preventivo del gruppo consiliare e della maggioranza. Su un tema tanto delicato è bene un'ampia condivisione, nella consapevolezza che quello che ci aspetta non sarà un iter semplice. Il tema è di grande attualità, investe tanto gli aspetti della democrazia della comunicazione quanto l'uso oculato delle risorse pubbliche, ma anche piuttosto ostico trattandosi di un argomento ancora per "addetti ai lavori"...

2 Febbraio 2010

martedì, 2 febbraio 2010

Qualche appuntamento al mattino, terza commissione per l’intero pomeriggio. Ma oggi, contrariamente alle mie sensibilità, vi voglio parlare di quel che riportano i giornali, in questo caso il Corriere del Trentino che, in prima pagina, titola: "Pd, Tonini apre a Valduga". Ora, per chi non lo sapesse, Valduga è il sindaco uscente di Rovereto, la seconda città della nostra provincia, verso il quale per l’intera consiliatura il PD ha svolto un ruolo di opposizione, votando contro i suoi principali atti di governo, ultimo bilancio compreso. Un po’ difficile poterlo considerare, per effetto di un contorsionismo politico, il candidato sindaco del centrosinistra. Tant’è vero che in tutti questi anni si è lavorato per costruire un’alternativa nel governo della città della quercia, così come negli ultimi mesi, costruendo una significativa compattezza nel circolo locale, nell’impostazione del partito a livello provinciale e, niente affatto secondario, condividendo questa posizione anche con la sezione roveretana dell’UpT. Giorgio Tonini non è persona sprovveduta, anzi. E’ stato braccio destro di Veltroni, è senatore (quand’anche eletto altrove), è presidente del PD del Trentino ma in primo luogo persona intelligente e sa bene che la partita che si gioca a Rovereto è tutt’altro che secondaria anche sul piano provinciale. Perché dunque una presa di posizione del genere, contro l’orientamento del segretario provinciale, del responsabile della partita elettorale amministrativa di maggio, del circolo di Rovereto e tutto il percorso costruito pazientemente dal segretario del circolo e dal circolo stesso? A prescindere dalle intenzioni, si tratta di un assist lanciato al presidente Dellai che di Valduga si è fatto alfiere nei mesi passati. Ricorda, per analogia, quel che è avvenuto in alcuni passaggi cruciali della vicenda politica trentina degli ultimi anni, dalla Pinzolo-Campiglio alla Val Jumela, dalle candidature degli esponenti di costruire comunità alla formazione della giunta nell’ultima legislatura…  A che pro, dunque? Forse semplicemente perché la politica ha smarrito una dimensione collettiva per cui s’interpreta il proprio ruolo solo nel manifestarsi. C’è un’opinione diversa? A Giorgio Tonini non mancano certo i luoghi nei quali esprimere la propria opinione.   Il percorso attuato dal circolo di Rovereto e dal partito sul piano provinciale nell’avvicinarsi alle elezioni di maggio è stato tutt’altro che pregiudizievole verso qualcuno e nemmeno segretato: aperto invece alle alleanze più ampie a partire dai contenuti programmatici e alla luce del sole. Difficile dire quale sarà l’impatto di questa uscita, sicuramente non aiuta il PD ma nemmeno la coalizione che governa il Trentino. Certo è che così si rischia di compromettere non solo l’esito delle elezioni comunali a Rovereto ma più in generale l’idea che abbiamo della politica, del carattere democratico dell’agire, del rispetto verso i ruoli e il carattere collettivo delle scelte. Un passo falso, in un contesto già piuttosto difficile per un partito che vive sul piano nazionale uno stato piuttosto confusionale. Il recente dibattito congressuale – pur nella positiva partecipazione – non ha sciolto i nodi di fondo che oggi riappaiono sia sul piano della cosiddetta "vocazione maggioritaria" (che poi riguarda l’identità culturale democratica o di sinistra) quanto sul modo con cui si sono andate costruendo le alleanze nelle elezioni regionali (vedi vicenda Vendola in Puglia). Senza affrontare poi la questione delle forme degenerative della politica che ci portiamo appresso dai vecchi partiti. Al PD servirebbe una lunga marcia, nella quale mettere in gioco idee e pratiche, vorrei dire le parole stesse di un nuovo abbecedario e il senso dell’agire politico. Ma anche le forme di una politica che ripropone stancamente antichi rituali. Staremo a vedere. Un contributo anche personale affinché la politica possa riqualificarsi, abitando luoghi ostili al cambiamento, sto provando a portarlo. Certo è che il rimescolamento delle carte (delle idee come delle appartenenze) per quanto avviato non lo ritengo che agli inizi. A conclusione della giornata, mentre in terza commissione legislativa finiamo l’esame del Disegno di Legge n.81 della Giunta sulla riqualificazione architettonica e la semplificazione delle procedure burocratiche in edilizia, ci ritroviamo un articolo sulla ristrutturazione delle baite, che con il DDL non centra niente e che apre un sacco di perplessità. Lo dico nonostante abbia posto anche personalmente nella campagna elettorale il problema del recupero conservativo dei vecchi insediamenti urbanistici. Ma la proposta di realizzare un sistema di turismo d’elite in nome dell’eco-sostenibilità non mi convince affatto. Chiedo tempo e di fatto diamo uno stop all’articolo. Un tema sul quale ritornerò nei prossimi giorni.  
1 Febbraio 2010

venerdì, 17 novembre 2017

La sala della Circoscrizione di Povo è piuttosto grande, mi verrebbe da dire troppo grande per un incontro serale sull’agricoltura biologica promosso dal circolo locale del PD del Trentino in una piccola comunità della collina di Trento. E invece c’è tanta gente. Sul palco, anzi sotto il palco nel cercare di ridurre le distanze fra l’uditorio e i relatori, un agricoltore biologico della zona, una giovane donna che si occupa della certificazione biologica, un esponente dei Gruppi d’acquisto solidale e un consigliere provinciale. La platea è attenta alle parole dei relatori, i quali non finiscono di parlare che subito partono a raffica le domande. Sono tante le preoccupazioni per quel che mettiamo nel piatto e più in generale per la salubrità dei nostri stili di vita. E’ naturale che le persone presenti siano quelle più sensibili ed anche più esigenti, molti altri – consumatori distratti di merendine industriali o di bibite colorate – scelgono di non sapere e di starsene a casa. Come avviene sempre più frequentemente di questi tempi, l’immaginario delle persone tende ad essere in bianco e nero. Da una parte il biologico e dall’altra tutto il resto. Una guerra di religione che non ha aiutato e non aiuta al confronto in un ambiente tradizionalmente conservatore e alla contaminazione culturale. Ed è esattamente quel che è avvenuto in Trentino negli ultimi anni, in una chiusura e contrapposizione ridicola e spesso insopportabile. Così che sull’agricoltura biologica, paradossalmente, anziché sviluppare una legislazione a sostegno verso chi sceglieva questa filosofia di produzione, dal 1991 (data della prima legge sul biologico, che venne presentata da Solidarietà) ad oggi si è delegiferato, riducendo in buona sostanza il biologico ad un articolo della legge quadro sull’agricoltura (LP n.4/2003). In questo contesto di contrapposizione spesso manichea, la logica della contrapposizione porta che nessuno si fida più di nessuno e dunque nemmeno di quel poco biologico che c’è ("chi controlla i produttori biologici?" è una delle domande che vengono dalla sala), figuriamoci di chi viene ad illustrarti una legge come quella sulle filiere corte e l’educazione al consumo consapevole dove di biologico se ne parla ma non in maniera esclusiva. Una contrapposizione che emerge infatti anche nel confronto di Povo, quasi che i prodotti agroalimentari ottenuti attraverso la lotta integrata e i protocolli sempre più avanzati adottati nell’agricoltura trentina fossero veleno. Riecheggia in qualche intervento anche il dibattito di questi mesi sull’inceneritore o sulle acciaierie della Valsugana. Non sono abituato a nascondermi. Per questo insisto sulla necessità di accettare la sfida del confronto, di evitare che l’agricoltura biologica sia relegata alla pura e semplice testimonianza (oggi in Trentino rappresenta il 2,9% sull’insieme dell’agricoltura), di scegliere la strada di contaminare per togliere il terreno vitale alle lobby della chimica. Non nascondo nemmeno le difficoltà che s’incontrano specie nel confronto con la cooperazione trentina e con una politica che fatica a smarcarsi dall’apparato di produzione (e di consenso) che rappresenta. La cultura della responsabilità è in primo luogo "farsi carico", e questo vale anche per le scelte sbagliate del passato, come nel caso della gestione dei rifiuti. Farsi carico, ovvero l’opposto del "non nel mio giardino". Allora chiedo ai presenti, anche se non è il tema della serata, quanto sia responsabile continuare a scaricare tonnellate di rifiuti in discariche come la Maza di Arco in prossimità del Lago di Garda, quanto lo sia portare fuori provincia a costi elevatissimi l’80% dell’umido che produciamo in ragione del fatto che nessuna comunità è disponibile ad ospitare impianti di biodigestione. Insomma, s’impone una nuova idea di sviluppo, non c’è dubbio, il che presuppone uno scarto culturale che va pazientemente costruito. Un approccio che trova il consenso di buona parte della sala. In particolare, nel rapporto fra produzione con i sistemi di lotta integrata e biologico i produttori presenti convengono con me sulla necessità di rompere l’isolamento. Da parte mia annuncio la formazione di un gruppo di lavoro (aperto a chi vorrà collaborare) per arrivare ad una nuovo provvedimento legislativo sull’agricoltura biologica che normi in maniera precisa non solo la diffusione e il sostegno di questa modalità di produzione ma anche le regole di tutela rispetto alle derive, ai controlli e quant’altro. La serata si conclude – come si suol dire – a "tarallucci e vino", tutto biologico naturalmente. Ed anche questo spazio finale è un susseguirsi di capannelli nei quali la discussione continua. Un soggetto politico vivo è quello che sa creare momenti di dibattito come questi.  
31 Gennaio 2010

mercoledì, 20 luglio 2011

... il Trentino sarebbe un territorio preda di un sistema mafioso, dove la gente vive sul lastrico, dove le piccole imprese sarebbero tartassate dal fisco e dalla burocrazia, dove l'energia è stata regalata ai soliti noti, la scuola alla deriva, i servizi affidati ad un privato sociale (la cooperazione trentina) collaterale al potere e così via. Cito a memoria, ma un giorno di questi, visto che questa dotta analisi viene reiterata su ogni argomento, mi prenderò il tempo di annotarmi le perle di questo scioccchezzaio...
29 Gennaio 2010

venerdì, 29 gennaio 2010

"Millevoci" ha rappresentato per un decennio, nel mondo della scuola trentina, un punto di riferimento sui temi dell’interculturalità. Significa in sostanza che una buona parte delle politiche di inserimento dei bambini e ragazzi di origine straniera sono passate da lì, sul piano dell’educazione alla multiculturalità, del sostegno linguistico come nella formazione degli insegnanti. Il progetto nasce alla fine degli anni ’90 per iniziativa proprio del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani e prende corpo attraverso l’accordo fra diversi soggetti, la Provincia Autonoma di Trento, l’Università, l’Iprase, il Comune di Trento e, appunto, il Forum. Mano a mano che il progetto è diventato realtà ha assunto le caratteristiche di un vero e proprio servizio alla scuola trentina, forse lasciando dietro di sé una delle ragioni che ne avevano motivato la nascita, come spesso avviene quella più politica, la capacità di un interrogarsi permanente sulle nuove frontiere dell’accoglienza riferita al mondo della scuola. Questo ha fatto sì che uno dei soggetti promotori, identificabile con la componente amministrativa, tendesse a prendere il sopravvento, includendo "Millevoci" come un segmento della Pat, lasciando al Forum un ruolo di supplenza nelle attività di sperimentazione formativa nelle scuole. Si pone dunque, a completamento di un ciclo comunque molto significativo, la necessità di un bilancio di "Millevoci" capace di indagarne luci ed ombre, interrogandosi sulle linee di rilancio del Centro quale interfaccia fra le attività degli enti fondatori (che ancora intendono parteciparvi), la Pat (ed in particolare gli assessorati all’istruzione e alla solidarietà internazionale) e i luoghi della formazione e della ricerca sui temi dell’immigrazione, della pace e della mondialità il Trentino nel frattempo si è dato. E’ quello che vado a proporre di buon mattino al Palazzo dell’Istruzione, dove mi attendono Laura Bampi, Alberto Conci e Francesca Zeni. Una conversazione gradevole e approfondita che tocca anche i temi della formazione degli insegnanti tanto sul piano dell’educazione alla nonviolenza come delle "nuove geografie", della memoria (il treno avocato a sé dalla Pat è nato per la verità nell’ambito dell’attività del Forum) intorno alla quale si svilupperà l’iniziativa congiunta con il Consorzio trentino dei Comuni e la Trentini nel Mondo, l’organizzazione della marcia "Perugia – Assisi" nell’obiettivo di rendere meno rituale questo appuntamento, l’educazione permanente. Insomma, se ne va quasi l’intera mattinata. Così arrivo alla sala della cooperazione dove si svolgono gli "stati generali" dell’agricoltura trentina che gran parte delle relazioni più importanti sono già state svolte (e delle quali non c’è traccia scritta). E’, questo, un mondo che mi affascina ma che avverto ingessato nelle idee e negli apparati. Gli interventi che ascolto sono banalissimi saluti, più per marcare la presenza che altro. Ma i nodi, invece, sono complicati da sciogliere, ed il mondo dell’agricoltura vive oggi una crisi nella crisi più generale. Dalla quale si dovrebbe uscire investendo sulla qualità, sull’educazione al consumo consapevole, sulla capacità di fare sistema territoriale. Esattamente quel che si fatica a fare e la strada che la cooperazione trentina non ha ancora saputo imboccare con determinazione. Le persone che affollano gli "stati generali" sono un guazzabuglio di istanze e di approcci diversi, filo ogm e amici dell’agricoltura biologica, sostenitori delle filiere corte e quelli che… il mercato richiede il prodotto tutto l’anno, produttori di qualità e "vim, ostia", innovatori (pochi) e conservatori (i più). Devo dire che grazie alla legge sull’educazione alimentare e le filiere corte trovo anche molte persone che ti avvicinano e chiedendoti informazioni. Non è così per Paolo De Castro, già ministro dell’agricoltura per l’Ulivo ed ora presidente della Commissione Agricoltura del Parlamento europeo, un luminare insomma, con il quale scambio due parole e che – con la tipica spocchia di quello che sa già tutto – ti gira le spalle mentre stai parlando. Fa tempo a dirmi che il problema dell’agricoltura italiana è che non riesce a vendere più niente (il 18% di quel che produce) e al diavolo dunque le filiere corte (sto semplificando, s’intende, ma la sostanza è questa). Mi chiedo se gli capita mai di andare a fare la spesa in un supermercato dove vengono proposti i pomodoro provenienti dal Belgio o gli asparagi dal Perù… La politica (quella buona, s’intende) richiede di interrogarsi sulla cultura del limite e, prima ancora, di avere un po’ di curiosità. Lunedì sera a Povo ci troveremo con i produttori locali per parlare di agricoltura biologica mentre in settimana finiremo di scrivere il disegno di legge sugli affitti dei terreni agricoli comunali. Ci sarà anche il tempo per mettere in calendario la visita in Italia ed in Trentino del ministro all’agricoltura dell’Autorità nazionale palestinese e quella di Carlo Petrini, inventore ed anima di Slow Food. Esco dal Palazzo (quello dell’altro potere in Trentino) e ci ritroviamo con Armando, Fabio e Stefano per fare il punto di "Politica è responsabilità" allo scopo di raccogliere le idee e definire il filo conduttore (l’indice è stato detto) di un nuovo abbecedario fatto di parole capaci di comunicare. Dopo aver fatto la spesa per il fine settimana, verso le 17.00 sono a casa. Mi metto subito al lavoro per preparare cena (aspettavo quattro amici, ne arriveranno il doppio) ma la casa è accogliente e il fogolar sempre in funzione. Trovo anche il tempo per aggiornare il sito, fra l’altro ne controllo gli accessi e mi consolo con il fatto che le mie non sono solo parole al vento. Ma di questo ne parleremo nei prossimi giorni.  
28 Gennaio 2010

giovedì, 28 gennaio 2010

Due giorni interi in Consiglio a discutere di proposte di mozioni o di legge presentate dall’opposizione di centrodestra (PDL e Lega Nord). Tranne una breve parentesi sulla situazione della discarica della Maza (mozione presentata dal Patt e condivisa da tutti ma non senza polemiche), per due giorni il Consiglio si è affrontato attorno a documenti che avevano il solo scopo di segnare il territorio. Sulla scuola ho già scritto nel diario di ieri. Oggi è la volta delle mozioni sull’uso della pillola Ru 486 a partire da due mozioni, una a firma Morandini e l’altra Penasa. Naturalmente si dice di non volerne parlare in maniera ideologica, ma in nome della fede cristiana. Appunto. In realtà siamo in presenza di una ben definita strategia, l’occupazione ultra ideologica e fondamentalista di temi a forte caratterizzazione morale, evocando guerre di religione nell’intento di aprire brecce e contraddizioni nell’ambito del centrosinistra. Prima le moschee, poi il crocefisso e i presepi, poi ancora la questione della fede religiosa di chi fa le pulizie negli uffici consiliari della Lega, infine l’altrettanto irricevibile e farneticante idea di visita psichiatrica per gli extracomunitari. Ora l’aborto, attraverso la proposta di costituire una commissione di studio sugli effetti della Ru 486. Sullo sfondo, il reiterato no alla Turchia nell’Unione Europea, agitato come assalto alla cristianità. Le mozioni sulla pillola abortiva vengono bocciate ma intanto la sceneggiata televisiva è andata in onda, con tanto di evocazione fino alla nausea delle immagini di feti strappati alla vita. Segue la discussione su un disegno di legge a sostegno delle imprese trentine già respinto in Commissione dopo che in sede di ascolto dei soggetti sociali aveva registrato un’avversione generalizzata. Ciò nonostante se ne fa oggetto di dibattito, anche in questo caso in nome dell’anti ideologia, per rivendicare la rappresentanza dei piccoli imprenditori trentini che la Lega si dice di rappresentare. Il Consiglio prosegue fino alle 19.30, rimane solo da espletare il voto elettronico sui due articoli e sulla legge, ma gli esponenti del Carroccio chiedono la sospensione del dibattito, così di ipotecare anche una parte della giornata di mercoledì prossimo. Il presidente del Consiglio propone di concludere il punto all’ordine del giorno e… apriti cielo. Urla e schiamazzi per dire che non si rispetterebbero le minoranze. Il tutto dopo due giorni di lavoro d’aula praticamente monopolizzati dal centrodestra e praticamente inutili visto che non hanno portato ad alcun risultato concreto se non quello di sfibrare la resistenza dell’aula. Riesco a ritagliarmi lo spazio per la riunione sull’iniziativa "Officina Medio Oriente" che PAT e Forum stanno preparando per fine marzo, per un incontro del Coordinamento del Progetto Prijedor, per fissare un po’ di appuntamenti e, infine, per cenare con Jovan Teokarevic, professore belgradese e amico, a Trento perché la sua Università è gemellata con quella di Trento in una triangolazione euro-balcanica che coinvolge anche Skopije, Sarajevo, Zagabria. E’ una gioia conversare con Jovan, persona di rara intelligenza e che mi richiama le atmosfere d’oriente di cui provo nostalgia. Tanto da mettere in cantiere un viaggio a Istanbul, incrociando Ennio Remondino e Ali Rashid. Insomma, la nostra identità mediterranea.