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Sindrome da rivincita?

Ora che il cane da guardia dei principi costituzionali si è risvegliato, inviterei i paladini dell’abortita parola d’ordine “basta un sì” a rimboccarsi le maniche invece di pensare a vendette postume; che non bastano astratte parole d’ordine per veder rispettati i principi fondamentali del nostro ordinamento.

Occorrono Leggi elettorali rispettose della volontà dei cittadini, ridefinizione degli assetti territoriali regionali anacronistici non da oggi (ricordate Miglio?), dimezzamento dei parlamentari, assetto federale dello Stato come nel modello germanico, opzione regionalista del partito.

Servono congressi regionali che precedano l’assise nazionale? Assolutamente sì, specie per i territori retti da autonomie speciali. Solo vincendo la scommessa federalista il Partito democratico potrà essere in grado di por fine alla diaspora che ne sta mettendo a serio rischio la  stessa sopravvivenza.

E non si creda che procedendo ciascuno per sé, come avviene nei due comparti partitici regionali, vi possa essere un Dio che provveda per tutti; onde evitare il dilagare nelle valli e non solo in quelle di una vandea fino ad ora rimasta lontana, ma della quale sentiamo in avvicinamento il passo cadenzato.

E’ davvero tempo di stringere un patto repubblicano del cui rispetto i cittadini si facciano carico, e che il Partito Democratico adotti una linea politica e programmatica coerente con questi obbiettivi (Italia bene comune, l’alleanza a sinistra, con cui fummo chiamati al voto, furono abbandonate senza un congresso: vediamo di tornare sui nostri passi).

Se invece il partito si lascerà prendere da una sindrome che richiama quella della lotta maoista alla “Banda dei quattro”, i reprobi verranno sicuramente a soccombere ma il prezzo da pagare sarà molto salato.

Vincenzo Calì, Trento

1 Comment

  1. Vincenzo Calì ha detto:

    Apprendiamo dal Corriere che alla pattuglia degli iscritti al PD del Trentino che hanno messo nero su bianco la richiesta all’organo di garanzia di prendere provvedimenti disciplinari sugli esponenti del PD che hanno votato No al recente referendum si è aggiunto Luigi Olivieri. E’ così caduto nel vuoto l’invito del segretario provinciale Italo Gilmozzi ai sostenitori del Si di abbassare i toni. Roba da congresso, il dibattito sulle linee strategiche, aveva dichiarato Gilmozzi: una verità lapalissiana, specie alla luce dei nodi sempre più ingarbugliati delle vicende regionali e non solo. Questioni rinviate alle calende greche attendono di essere affrontate, a partire da quella dell’assetto del partito: Federato al partito nazionale ( una minestra riscaldata) o soggetto autonomo legato a Roma da un patto, come prevederebbe l’ impianto federalista dello statuto? Senza questa convinta scelta di radicamento territoriale il partito rischia di non avere un futuro, cosa di cui almeno il senatore Giorgio Tonini pare cominci a preoccuparsi. Ora che il popolo sovrano ha riconfermato che il regionalismo è la colonna portante del nostro ordinamento costituzionale (art. 5) , inviterei i paladini dell’abortita parola d’ordine “basta un sì” a rimboccarsi le maniche invece di pensare a vendette postume. Occorrono leggi elettorali la cui applicazione non snaturi la reale volontà dei cittadini, urge una ridefinizione di assetti territoriali regionali anacronistici non da oggi (ricordate Miglio?) che la riforma renziana si guardava bene dall’affrontare, realizzando così quell’ opzione regionalista del partito a cui far seguire un dimezzamento dei parlamentari. Servono congressi regionali che precedano l’assise nazionale? Assolutamente sì, specie per i territori retti da autonomie speciali. Solo vincendo la scommessa federalista il Partito democratico potrà essere in grado di por fine alla diaspora che ne sta mettendo a serio rischio la stessa sopravvivenza. E non si creda che procedendo ciascuno per sé, come avviene nei due comparti partitici regionali, vi possa essere un Dio che provveda per tutti ; onde evitare il dilagare nelle valli, e non solo in quelle, di una vandea fino ad ora relegata nelle pianure, ma della quale sentiamo in avvicinamento il passo cadenzato, è davvero tempo di stringere un patto repubblicano del cui rispetto i cittadini si facciano carico, e che il Partito Democratico adotti una linea politica e programmatica coerente con questi obbiettivi ( Italia bene comune, l’alleanza a sinistra) con cui fummo chiamati al voto, e che furono abbandonati senza un congresso che sancisse un cambiamento di linea. Vediamo allora di tornare sui nostri passi; se diversamente il partito si lascerà prendere da una sindrome che richiama quella della lotta maoista alla “Banda dei quattro” , i reprobi saranno costretti a soccombere, come chiede Luigi Olivieri, ma il prezzo da pagare per l’intera comunità trentina sarà molto salato.