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La riflessione, iniziata dall’Europa dell’anno mille e dai profondi influssi che all’epoca la cultura musulmana araba esercitava sul continente, ha avuto un suo cardine fondamentale: la crisi dello Stato Nazione. Raccogliendo l’eredità degli imperi coloniali, questa istituzione ci ha accompagnato negli ultimi 150 anni di storia, condizionando le nostre esistenze ed ergendosi a luogo privilegiato della difesa dei nostri interessi, generando numerosi conflitti di portata planetaria. Oggi, con le profonde trasformazioni in atto che riguardano l’economia, la politica e il nostro modo di vivere, lo Stato sembra entrato in un declino irreversibile, sulla spinta di dinamiche non più controllabili e gestibili a livello di singola comunità nazionale. Come superare, allora, questa fase profonda di crisi? Come riuscire a incorporare nei nostri ragionamenti il concetto di limite, che si è ormai chiaramente palesato ai nostri occhi e ci parla di una insostenibilità di uno sviluppo smisurato e miope?

In questo senso, a ben vedere, la guerra non è che la manifestazione plastica di questa crisi. Non a caso consumata a danno di chi sta ai confini (l’etimologia del termine Ucraina rivela proprio questa origine), tra Stati che trovano nella guerra la modalità più tristemente adeguata ai tempi per estendere i loro affari. Cibo per i signori della guerra, i predatori delle risorse che di per sé sarebbero più che sufficienti alla vita delle nostre comunità, ma che logiche distorte hanno piegato al servizio di pochi privilegiati.

Riscoprire la multiformità delle nostre radici, contro ogni prerogativa di pulizia etnica, sembra essere uno dei punti su cui fare leva. E tornare alle basi storiche dei processi che hanno generato le tensioni che oggi viviamo pare altrettanto necessario. Magari per scoprire che anche i Rus’ non sono altro che “i popoli che remano” (dall’etimologia), che si spostano, si contaminano, da sempre. Esiste quindi una complessità che va al di là della relativa semplicità delle comunità nazionali, omogenee, pure, definite. Esiste o deve esistere un approccio che riesca a vedere che anche dentro ogni singolo Stato, esistono pluralità di mondi. Proprio come dentro ciascuno di noi esiste il Caino che può potenzialmente distruggere e dominare.

Ci viene allora in soccorso un concetto che deriva dalla scienza. Il concetto di ecosistema, che rappresenta l’insieme degli esseri viventi che condividono un luogo fisico e delle relazioni che li legano tra loro. Questo potrebbe essere il punto giusto da cui ripartire. Non più quindi rigide istituzioni statuali plasmate sulle “comunità nazionali”, che sembrano avere fatto il loro tempo ed essere molto spesso inadeguate ad afferrare la complessità di quello che invece si muove continuamente dentro e fuori di loro. Ma sistemi adattabili, non rigidamente definiti, che si definiscono all’interno di comunità sovranazionali basate su sistemi valoriali. Vedremo se il tempo ci darà ragione.

Intanto, quest’anno, la domenica mattina alla Festa è scivolata via molto velocemente.

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