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A tal proposito si sente spesso ripetere – i diversi candidati del centro-destra con particolare insistenza – che Trento deve tornare a crescere, accelerando il proprio sviluppo sulla base di investimenti dedicati alla realizzazione di grandi opere infrastrutturali.

Bisogna ri-partire si dice, mostrando i muscoli. Uguale, o maggiore, velocità. Stessa rotta. Obiettivi invariati. Come se neanche l’esperienza tragica del Covid19 – evidenziatore a livello globale della fragilità strutturale dell’attuale modello di sviluppo – ci avesse insegnato nulla dell’insostenibilità della nostra impronta ecologica rispetto al pianeta Terra.

Tale approccio quantitativo dimentica come i fenomeni di spiazzamento, frammentazione e sfruttamento derivino proprio da modelli di produzione intensivi e dalla loro irrefrenabile ingordigia. Gli impatti di quella stagione (novecentesca e non solo…) sono ancora ben visibili dentro la mappa urbanistica della città.

Cosa sono altrimenti lo spostamento del fiume Adige ai margini della città, le aree inquinate o abbandonate della Sloi e dell’Italcementi, il sedime ferroviario dello scalo Filzi, la pervasiva rete stradale (fino a pochi anni fa conficcata fin dentro il quartiere di Piedicastello), la spettrale profilo notturno del (non) quartiere delle Albere?

Ecco che allora per offrire un’alternativa al pensiero unico della crescita a ogni costo serve contrapporre un’idea di città – qualcuno la chiamerebbe addirittura visione – che, come ci ha ricordato Roberto Bortolotti non si accontenta di elencare grandi progetti (la Funivia del Bondone, l’interramento della Ferrovia, la cittadella dello sport) ma si occupa soprattutto dei nessi e delle connessioni, dei piccoli e puntuali interventi che strada per strada dimostrano la realizzabilità della transizione ecologica coniugata alla giustizia sociale.

Sempre in quest’ottica l’orizzonte a cui tendere è quello che punta alla riscoperta del tema del limite e – come ci ha ricordato Ugo Morelli in un altro recente editoriale – alla definizione di un nuovo ordine. Di un diverso senso comune. Di una misura adeguata al contesto Mondo che abitiamo.

Basti pensare ai temi del turismo e del rapporto con la montagna. Dell’agricoltura, della filiera alimentare e dei nostri stili di vita che alcuni (pazzi e/o ciechi) vorrebbero ancora orientati a consumi in aumento. Dell’università e della ricerca, della cooperazione e del welfare.

Non dobbiamo far ripartire il modello economico precedente, ma ripensare l’economia, rendendola più dolce, inclusiva e civile. Fare meglio con meno è un imperativo che deve incrociare utopia e concretezza, prospettiva globale e azione mirata nei frangenti più prossimi della città che con Franco Ianeselli nel ruolo di Sindaco vorremo governare nei prossimi anni.

A quel punto forse potremo rispondere anche alle domande che Simone Casalini si poneva rispetto al tratto che un nuovo ciclo politico potrebbe dare a Trento e al Trentino tutto.

Non un’eredità da esibire, ma un pianeta e una città ricevuti in prestito da lasciare in condizioni migliori rispetto a come li abbiamo trovati al momento della nostra nascita.

Sarebbe già moltissimo.

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