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“La maledizione di vivere tempi interessanti‘ (111)

di Michele Nardelli

C’è una tragedia che da mesi si consuma al confine con l’Unione Europea. Almeno duemila persone vagano nella neve, fra boschi e ruderi di vecchi combinat industriali nei dintorni delle città di Bihac e di Velika Kladusa, in Bosnia Erzegovina, alla ricerca di un varco per entrare in Croazia e da lì andarsene il prima possibile verso una nuova speranza di vita.

In realtà si tratta di un frammento di quell’esodo che da anni viene chiamato “rotta balcanica“, a sua volta una delle tante rotte che percorrono i migranti nel cercare scampo da guerre, crisi climatiche, povertà estreme, regimi totalitari o semplicemente rispondendo all’istinto umano di cercare di migliorare la propria esistenza.

Una rotta che ha molto a che fare con le scelte dell’Occidente, se consideriamo che la maggior parte di queste persone sono afghane, siriane, irachene e iraniane e che all’origine del loro esodo ci sono guerre infinite per il controllo di quelle regioni strategiche che proseguono da decenni e che continuano anche nella forma di embarghi economici che hanno il solo effetto di affamare le popolazioni.

Le immagini che ci giungono in queste settimane da Bihac testimoniano di una tragedia che si consuma a meno di duecento chilometri da Trieste nell’indifferenza dell’opinione pubblica e nel cinismo di un’Europa senz’anima e alla mercé degli stati nazionali, che preferisce stanziare 80 milioni di euro per i campi profughi piuttosto che fare l’unica cosa che potrebbe mettere fine alla sofferenza di queste persone, ovvero aprire la frontiera anche solo per qualche giorno, come atto di salvezza verso questi naufraghi in terra ferma, in attesa di una nuova regolamentazione sui flussi migratori da parte dell’Unione Europea. Sulla quale, peraltro, rischia di franare, come abbiamo visto in occasione del dibattito sulle “condizionalità“ relative al rispetto dei diritti umani e dei più elementari valori democratici. Evidenziandone così la fragilità, dilaniata com’è da sovranismi e da egoismi nazionali. E’ sulla crisi migratoria che, per l’ennesima volta (la prima fu la crisi balcanica degli anni ’90), l’Europa si presenta all’appuntamento con la storia in tutta la sua inadeguatezza.

Non è tollerabile assistere impotenti alla disperazione di quest’umanità ferita ed offesa, respinta con violenza dalle squadre paramilitari croate che presidiano il confine con la Bosnia Erzegovina o, più subdolamente, deportata legalmente (si parla di “riammissione“) dai paesi di attraversamento (Italia compresa) al confine della UE, in quel paese – la Bosnia Erzegovina – dove per altro ancora migliaia di persone vivono in campi profughi dopo venticinque anni dalla fine della guerra.

La denuncia sul comportamento dei paesi europei (a prescindere che siano parte o meno dell’Unione Europea) lungo la rotta balcanica è proseguita negli anni attraverso la pubblicazione di reportage, dossier, libri (è del 2016 l’uscita del libro curato da Roberta Biagiarelli “Dal libro dell’esodo“1), nell’intervento umanitario e nell’attività di accoglienza di molte associazioni.

In questi mesi ha inoltre preso vita una rete importante2 di realtà italiane che – pur nella difficoltà della crisi pandemica – hanno congiunto le forze per far luce sulla tragedia che si sta consumando nell’indifferenza generale e per coordinare gli aiuti. Ne è venuto fra l’altro un Report che si può scaricare gratuitamente in formato pdf dal sito di “Altreconomia”, cliccando qui.

In situazioni normali la società civile avrebbe messo in moto carovane, come già avvenne in questi stessi luoghi negli anni ’90. Ma in queste ore l’unico soggetto che può sbloccare questa situazione è quel che resta di un’Europa politica che ha l’obbligo morale prima ancora che politico di costringere la Croazia ad una moratoria per riaprire le frontiere e i paesi dell’Unione a porre fine alla pratica insopportabile dei respingimenti che con ipocrisia chiamano “riammissioni“.

Non è certo la soluzione al dramma che si consuma da anni nel Mediterraneo e sul confine orientale dell’Europa, cosa che richiederebbe politiche in grado di intervenire a monte di ogni esodo e, insieme, di accrescere nei nostri contesti sociali la consapevolezza che le nostre stesse identità sono l’esito dell’incontro con l’altro da noi. Ma sarebbe almeno un segnale che l’Europa qualcosa ha imparato dalle sue disfatte. Temo in realtà …

Sono tempi difficili. Facciamo fatica a leggere la pandemia come sindemia, ovvero come intreccio di crisi che sono insieme sanitarie, ambientali, alimentari, economiche, demografiche, migratorie… di pensiero e morali. E’ urgente cambiare il nostro modo di stare al mondo, la politica e le istituzioni lo deve comprendere.

1AAVV, Dal libro dell’esodo. A cura di Roberta Biagiarelli, con le fotografie di Luigi Ottani e con i saggi di Ismail Fayad, Cecile Kyenge, Michele Nardelli, Carlo Saletti, Paolo Rumiz (Piemme, 2016)

2Si tratta della rete “RiVolti ai Balcani“ composta da 36 associazioni impegnate nella difesa dei diritti fondamentali dei diritti della persona.

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