Bosnia Erzegovina come stato multi-nazionale: i popoli costituenti sono il nocciolo della questione?
19 Dicembre 2021Monte Bondone, il collegamento funiviario da solo non basta
5 Gennaio 2022Benvenuti in tempi interessanti.
“Benvenuti in tempi interessanti”, recita un detto di cui, di citazione in citazione, si è persa l’origine ma che conserva il duplice suono di augurio rotondo e sottile maledizione. I due lati di una stessa medaglia, di una stessa complessa realtà che confonde e inquieta.
Anche il Censis (che da cinquantacinque anni tenta di fotografare lo “spirito del tempo” di questo strano paese a forma di scarpa che si chiama Italia) ha dovuto fare i conti con le poderose oscillazioni di questi anni fotografandone i movimenti statistici e da essi estrapolando l’ormai classico racconto in forma di metafore sociali.
“Dappertutto e rasoterra” è la raccolta dei primi cinquanta rapporti – quelli firmati da Giuseppe De Rita – i cui titoli bastano a farsi un’idea degli andamenti non sempre lineari della storia repubblicana. Un sentiero impegnativo, quello di questi 50 anni: il 1967 che fa dire “Addio alla società semplice” e che apre la stagione della contestazione studentesca e operaia. Il 1980 che apre – e siamo ancora qui – alla “Divaricazione tra società e istituzioni”. I tragici 1992 e 1993 della stagione stragista e della “rottura dell’invaso borghese”. Il 2001 che porta a casa i “conflitti e le paure nella società globale”. Fino al 2013 – in piena età del rancore – dove si palesa “una società sciapa e infelice in cerca di connettività”.
Basta però restringere lo sguardo agli ultimi tre anni per avere più chiaro il contesto sfuggente in cui siamo chiamati a intervenire come politici, amministratori e cittadini in nome della cura e della manutenzione del bene comune e – se possibile – del suo armonico sviluppo.
Il 2019 fu l’anno in cui, in coda a dieci anni più o meno continuativi di crisi economica, sul campo si fronteggiavano la stanchezza e il desiderio, il pessimismo e la vitalità. Uno sforzo in larga parte individuale: “la solitaria difesa di se stessi degli italiani, esito del furore di vivere e di stratagemmi per difendersi dalla scomparsa del futuro. Un moto frammentato (“grumi potenziali di sviluppo”), in un mare di “responsabilità collettive eluse”.
Il 2020, e l’epidemia da Covid19, ha impattato su questo quadro già pieno di incognite (“il sistema Italia come una ruota quadrata che non gira”)mettendo in piena luce fragilità strutturali, a monte, e la divaricazione dei destini collegati alle crescenti diseguaglianze, a valle.
Il 2021 invece è finito sotto il titolo de “La società irrazionale”. Una sintesi sbagliata a mio avviso, o almeno scentrata rispetto al ricchissimo contenuto del rapporto. Certo impressiona che il 5,7% degli italiani sia convinto che la Terra sia piatta, che per il 10% l’uomo non sia mai sbarcato sulla Luna. Certo crea tensioni sociali evidenti (almeno da ventidue sabati a questa parte) il fatto che per il 5,9% degli italiani (circa 3 milioni) il Covid non esista, e per il 10,9% il vaccino sia inutile.
Ciò che però seriamente deve preoccuparci è che un’ampia maggioranza di cittadini e cittadine (l’81%) sia convinta che “oggi sia molto difficile per un giovane ottenere il riconoscimento delle risorse profuse nello studio.”
Un frattempo ansiogeno di cui dobbiamo trovare l’uscita.
Siamo entrati (ci racconta sempre il Censis) nel ciclo dei rendimenti decrescenti degli investimenti sociali. L’Italia è l’unico paese occidentale in cui i salari sono calati dagli anni ‘90 a fronte di un’inflazione di nuovo galoppante. A fronte dell’energia che singoli e collettività dedicano ai percorsi formativi (universitari e post-universitari) non corrisponde la conquista di condizioni di vita dignitose e non precarie.
Siamo di fronte al rischio – evidente nel contesto globale e giù giù fin dentro i quartieri della città che ci troviamo ad amministrare – di “un rimbalzo nella scarsità” dove l’effetto di un’uscita della pandemia ancora rimandata sarà sì un dato di crescita apparentemente importante (il 6% sul 2022, a scendere nel biennio successivo) ma estemporaneo, effimero, volatile. Una crescita che non corrisponde a “sviluppo”, una crescita che non porta ad abbattere le disuguaglianze, a cambiare una normalità malata già molto prima del 2020.
Un effetto non sistemico dentro uno scenario di grave instabilità geopolitica, energetica e produttiva (come affronteremo l’aggravio previsto per famiglie e imprese quantificato in 1.000/1.500 Euro l’anno?), declino demografico e conseguente disequilibrio tra età anagrafiche non solo in ambito previdenziale, fragilità del mondo del lavoro (tra infortuni e morti, impoverimento e crisi di rappresentanza, “grande dimissione”, pervasività dell’economia di piattaforma), erosione dei patrimoni del ceto medio e del capitale sociale di ampie fette della popolazione, con particolare riferimento alle componenti giovani e femminili, le più colpite e marginalizzate perchè già colpite e marginalizzate prima dell’arrivo del virus.
Dice bene il Sindaco quando segnala che per tutta una serie di questioni il Covid19 ha funzionato – e continua a funzionare – come evidenziatore delle criticità esistenti e come acceleratore tanto dei rischi quanto delle opportunità del momento storico che stiamo attraversando.
Si è aperto un frattempo (come lo ha chiamato mirabilmente Paolo Giordano) che ci chiede un supplemento di impegno per venire a capo di una serie di transizioni – che è sinonimo di crisi –tra loro connesse: ecologica, economica, demografica, tecnologica e democratica. Crisi e transizioni che non accettano di essere ricalendarizzate in altro momento.
Crisi e transizioni che, se vale quanto detto fin qui, si giocano nella capacità di muoversi (bilanciando capacità visionaria e spirito pragmatico) sulla linea che interconnette il destino planetario con la gestione minuta del campo della prossimità, nel difficile punto di intersezione tra il mondo che entra in città e la città che riesce a stare nel mondo che la circonda.La globalizzazione in fin dei conti è questo, nel bene e nel male.
La città oltre il tempo dell’eccezione.Un bilancio di previsione che permette di interrogarsi sul domani.
Mi trovo per la prima volta in quest’aula a prendere parola durante il dibattito sul bilancio della mia città. Ne sono orgoglioso ed emozionato.
Solo apparentemente si tratta di un freddo adempimento burocratico e tecnico. Al contrario garantisce la cornice di senso dentro il quale decidiamo di muoverci tentando di predisporci al futuro, non subendolo ma determinandolo.
Le informazioni contenute nel bilancio sembrano dirci che le risorse – almeno quelle tradizionali, quelle che fanno riferimento alle linee di finanziamento prevalenti dentro il bilancio comunale (tasse e tributi per la spesa corrente, trasferimenti da altri enti per gli investimenti) – avranno andamenti piuttosto “rigidi” nei prossimi anni.
Due saranno i punti d’attenzione derivanti da questa staticità della finanza comunale. Il primo – sulla spesa corrente – riguarderà l’esigenza di far fronte, a parità di risorse e senza aumentare il costo dei servizi, al crescere di bisogni che riguardano fette sempre più ampie di popolazione, con particolare riferimento ai capitoli di spesa dedicati agli interventi sociali. Il secondo – sulla spesa per investimenti – sta in capo all’idea di riprogettare la città (ad esempio la sua mobilità, le tappe della transizione energetica, i punti della sutura di diverse ferite urbanistiche, sociali, economiche) attraverso progetti ambiziosi e, presumibilmente, costosi di rigenerazione urbana.
Ad aiutare le casse degli enti locali, e quindi anche della città di Trento, potrebbero essere il PNRR e altre linee di finanziamento europee, opportunità che già sono monitorate dagli uffici comunali come segnalato in questi giorni nel tentativo di veder riconosciuto lo sforzo di orientare le traiettorie della città a una sostenibilità che non sia semplice greenwashing.
Come in più occasioni ricordato dal Presidente del Consiglio Mario Draghi il problema potrebbero non essere le risorse – oggi meno scarse, in una fase ancora di politiche economiche espansive – ma la capacità di investirle bene, sulla base di progetti strutturati, di programmi con respiro di medio-lungo termine.
Fin qui i dati, tutti da verificare già in fase di assestamento nella prossima primavera.
Per quanto riguarda le scelte, il 2020 e il 2021 sono stati caratterizzati dalla necessità di rispondere – a cadenza giornaliera, con un investimento ingente in termine di energie e di flessibilità – alle esigenti sollecitazioni di una pandemia globale. Il 2022 deve necessariamente corrispondere a una fase di elaborazione e condivisione di una fase diversa, successiva al tempo dell’eccezione pandemica in cui ancora siamo costretti.
Dobbiamo darci il tempo, allenarci all’ascolto e al confronto (e quest’aula ne deve essere il luogo più avanzato), mettere a disposizione della città i talenti, le competenze, le energie di cui disponiamo, moltiplicandone gli impatti grazie alla loro efficace ricombinazione.
Di due pilastri e di un’architrave ha parlato il Sindaco Ianeselli.
La vitalità e il contestuale impegnativo impatto del cantiere del presente (infrastrutturale, ma non solo) e l’aggiornamento del modello di convivenza urbana (il “come vivremo insieme?” di Hashim Sarkis) che si danno come obiettivo la giustizia e la coesione sociale, la condivisione di un destino comune che include e coinvolge.
Confermiamo la nostra adesione a questo progetto di città e ne vogliamo essere protagonisti, condividendo con la maggioranza consiliare – che il consigliere Gilmozzi ha ben descritto come “paziente e ambiziosa” – e con la Giunta il compito di dare concretezza alle linee di indirizzo contenute nel DUP (Documento unico di programmazione) e di renderle via via sempre più interconnesse.
Ciò che siamo e ciò che vogliamo essere. L’occasione per aprire “la stagione dei piani”.
Di fronte a un bilancio “scarico”, senza troppi margini di intervento sul piano delle risorse da destinare a questo o a quel progetto specifico, l’occasione è propizia per dedicarsi all’apertura (o al rafforzamento) delle aree e delle linee strategiche che da ciò che siamo fanno emergere ciò che vogliamo essere.
Per predisporci a una nuova “stagione dei piani”, necessaria per dare slancio e ritmo all’azione di governo.
In questa direzione aggiungo qualche spunto, in dialogo con i già tanti portati all’attenzione da colleghi e colleghe negli interventi che stanno componendo questa discussione generale.
Dove sta allora il compito di questo Consiglio e di ognuno di noi?
Come abili risolutori di un gioco enigmistico dobbiamo unire i puntini sul foglio, facendo emergere una un disegno che permetta di progettare – per citare Giovanni Caudo, già presidente del III municipio di Roma –“dal marciapiede al cielo”, dal cortile di casa al continente europeo.
Rimango ancora per un istante su questo piano largo, per poi stringere via via l’inquadratura.
“Il patriota, imparando dalla storia, – scriveva qualche giorno fa Gianfranco Pasquino su Il Domani – è giunto a ritenere che la libertà non si difende e meno che mai si amplia chiudendosi nei confini della patria “geografica”. A fronte di sfide globali, il/la patriota potrà giungere alla conclusione che l’unica o comunque la risposta migliore in termini di libertà è la collaborazione con altre patrie libere.”
Siamo Europa (e vogliamo essere sempre più Europa) è la cornice più vasta che possiamo darci, figlia dell’adesione valoriale al progetto comunitario e della convinzione che un territorio come il nostro – di suo piccolo e marginale – debba trarre i massimi vantaggi dal poter essere parte di un progetto sovranazionale, scala minima su cui impegnarsi nel riordino del caos presente nel contesto planetario attuale.
Un’Europa, certo piena di contraddizioni, non da intendersi come “matrigna” ma come luogo privilegiato del confronto e della condivisione, così come sta avvenendo anche in questi mesi con l’esperimento della Conferenza sul futuro dell’Europa.
55 è il numero che dobbiamo tenere a mente e che deve guidare gran parte dei nostri ragionamenti.
“Pronti per il 55%” è un ambizioso insieme di misure di decarbonizzazione dell’UE, passaggio intermedio (entro il 2030) per l’abbattimento delle emissioni clima-alteranti per arrivare alla neutralità energetica del continente nel 2050.
Secondo Italy for climate (I4C) cinque sono le priorità su cui insistere.
L’industria, gli edifici, i trasporti, l’agricoltura e la generazione pulita di energia elettrica.
L’innesco ecologico permette (e impone) di esplodere gli elementi contenuti nel DUP e aiuta a trovare al loro interno i fili rossi che legano i vari livelli della programmazione dei prossimi anni, donando loro la necessaria trasversalità tematica e organizzativa.
Mi muovo per temi e suggestioni, lungo la traccia che il DUP ci offre.
Essere verdi e verticali
*significa impegnarsi nella stesura del piano Trento città agricola che insieme al piano del cibo (all’interno dell’idea di una città che si impegna e investe per il benessere dei propri cittadini) che come spiegato benissimo dalla consigliera Fiori intercetta economie e irrobustisce filiere, si prende cura di ampi brani di territorio, condivide cultura contro lo spreco alimentare – anche in vista del nuovo piano rifiuti che ci aspetta -, ritesse relazioni di valore tra produttori e consumatori.
*significa dotarsi di un piano verde – come da emendamento del consigliere Brugnara – strutturato tanto nella sua dimensione urbana (con l’obiettivo primario di mitigare gli effetti del cambiamento climatico) che in quella extraurbana, che riconosce l’importanza del paesaggio montano che la cinge e sempre più la dovrà attraversare, rinaturalizzandola. Connesso a nuova carta del paesaggio, in corso di realizzazione, che dagli orti urbani ai progetti sperimentali di rialberatura dei quartieri negli anni più cementificati fino a una nuova relazione con la parte verticale della città, il monte Bondone. Non solo in chiave turistica ma riscoprendo le altre economie di montagna, troppo spesso sottovalutate. Tornando a “salire in montagna” così come ci ricorda nel suo ultimo libro Luca Mercalli.
Essere in movimento…
*vuol dire dare concretezza al PUMS, sulla base del lavoro impostato in questi anni e che ora finalmente arriva ad una sua articolazione più definita. In quest’aula e nella comunità trentina c’è un’ampia sensibilità di uomini e donne che sottolinea quotidianamente i punti di criticità dei modelli di mobilità cittadina e ci aiuta a definirne le caratteristiche di una progettazione strutturale. Togliere spazio e priorità al traffico privato, investire su un sistema integrato di mobilità dolce (tramvia, corsie preferenziali per gli autobus, recupero del sistema di carsharing oggi in difficoltà), garantire coerenza e continuità dei percorsi ciclabili anche verso la parte collinare della città, oggi meno servita.
*vuol dire anche – rispondendo alle richieste che arrivano non da oggi dalle categorie professionali – collegarlo a una visione d’insieme della città (nel Dup è il capitolo che si intitola Siamo bellezza) che non si accontenti di agire sui singoli tasselli (gli ex di cui si parla da decenni) ma li metta insieme partendo da un ragionamento complessivo delle funzioni, dei bisogni, delle opportunità. Destra Adige e area di San Vincenzo a Mattarello, aree Ex Sloi e quartieri lungo l’asse di via Brennero, area delle caserme militari che dovrebbero ospitare il nuovo ospedale e in prospettiva spazi dell’attuale Santa Chiara.
*vuol dire, potrebbe sembrare un appunto di secondaria importanza ma non lo è, predisporre attorno alle scuole cittadine – e altri luoghi sensibili – aree “libere dalle auto” (già approvate lo scorso luglio con mozione n. 169 del 2021 presentata dal consigliere Fernandez), un modo per prestare attenzione al miglior utilizzo dello spazio pubblico da parte di bambini e bambine, ragazzi e ragazze facendo sperimentare loro uno stile diverso di città, a dimensione di socializzazione e di gioco.
Essere comunità…
*significherà puntare a una politica della casa integrata, riconoscendo la complessità e l’urgenza dell’argomento. A Trento i prezzi di vendita e di affitto aumentano (del 9% nel post crisi Covid19), al posto di villette bifamiliari spuntano palazzine, ci si interroga ancora per nuove zone di urbanizzazione, si fatica a garantire il diritto all’alloggio per gli studenti universitari fuori sede. Tutto questo in un quadro problematico, in cui non cambia il modo che abbiamo di concepire la casa all’interno delle politiche sociali della nostra comunità, ancora troppo vincolata alla logica della premialità e non riconosciuta come bisogno primario e necessario al pieno sviluppo della persona umana.
Tutto questo a fronte di un patrimonio immobiliare sfitto e non utilizzato – fonte ricerca condotta da ABCittà all’interno della progettazione di Santa Chiara Open Lab – di più di 200mila metri quadrati, per un corrispettivo di quasi 900 complessi edificati.
Uno spreco che non possiamo tollerare.
In aggiunta al tentativo – non facile – di aggredire l’inutilizzato entro fine 2022 siamo chiamati a definire una nuova governance per la gestione di 400 alloggi di proprietà comunale – come da delibera di Giunta approvata lo scorso ottobre – che da anni sono nella disponibilità di Itea. Sarà l’occasione per ragionare con l’istituto per l’edilizia popolare e con la Provincia autonoma di Trento di come migliorare le performance di gestione (ordinaria e straordinaria) degli alloggi, di come rendere più adeguate le forme delle assegnazioni – situazioni complesse si riscontrano sia ai Casoni che nelle Torri di Villazzano -, di come attivare progetti di housing first e per l’abitare collaborativo e per l’istituzione di comunità energetiche all’interno di grandi condomini e complessi residenziali.
*è riservare attenzione particolare alle fragilità sociali più gravi (al carcere, alla malattia mentale, al fenomeno delle dipendenze) e predisporre interventi strutturali e non più dettati dall’emergenza, sapendo anticipare i bisogni e trovando a essi risposte adeguate che rappresentano – lo voglio dire soprattutto alle minoranze – un modo differente e più efficace di produrre sicurezza, in primis per i più deboli, a rischio di caduta e ricaduta.
*è raccogliere la sfida pandemica (“un’era di prevedibile imprevedibilità”) che ha messo in risalto la necessità di portare nella prossimità l’interazione socio-sanitario. Che ne sarà delle case della salute previste dal PNRR? Sapremo ridare centralità ai poli sociali e al loro essere sentinelle del territorio? Accoglieremo la richiesta della figura dello psicologo di quartiere da parte delle circoscrizioni cittadine? Il 2022 sarà finalmente l’anno dell’ex Atesina, confermando un intervento atteso da anni per restituire a tutta Trento Nord una piazza, un luogo di incontro, cura e animazione di comunità?
*è innervare il territorio cittadino di progetti di sviluppo dello spazio pubblico (un tempo forse li avremmo chiamati distretti?) che incrociano commercio di prossimità e nuova manifattura urbana, cultura diffusa e cura delle relazioni di vicinato, urbanistica tattica e stimoli all’attivazione civica. Un esempio concreto può essere quello del brano di città che gode della pedonalizzazione di Via Suffragio e via San Martino, della rigenerazione di piazza Mostra e del suo affaccio al castello, che deve vivere sull’utilizzo creativo dei parchi San Marco, Predara e di una rinnovata piazza Centa. Farne definitivamente venire a galla le vocazioni e valorizzare competenze e talenti è un compito che possiamo e dobbiamo fare nostro.
*è rivitalizzare la rappresentanza e la partecipazione dentro le circoscrizioni (oggi affaticate per carenza di personale e confusione del ruolo esercitato) come ha ben ricordato il consigliere Filosi, presidente della commissione politiche sociali che se ne potrà occupare fin dai prossimi mesi. Da parte nostra, in questa Assemblea come dalle Circoscrizioni, ci sarà sostegno e rilancio: abbiamo bisogno di desiderare che quei luoghi tornino ad essere centrali; abbiamo bisogno di accettare che quei luoghi, così come sono strutturati dentro lo scenario cittadino, non sono più sufficienti; abbiamo bisogno di immaginare e costruire formule nuove, coinvolgenti, alleggerendo la burocrazia, rilanciando le potenzialità, aprendo spazi di confronto e convivialità. Non un peso ma una risorsa: a questo dobbiamo ambire.
*è riuscire ad “allargare il perimetro della cittadinanza”. In primavera discuteremo la mozione presentata dal consigliere Fernandez rispetto alla proposta di inserimento nello Statuto comunale delle Assemblee deliberative per il clima, che hanno come obiettivo primario quello di rendere più orizzontale e coinvolgente il dibattito e la decisione su temi che riguardino l’”emergenza climatica” che anche il Comune di Trento ha dichiarato nell’autunno del 2019.
Ci sono poi i giovani e i giovanissimi (Internazionale nel suo ultimo numero si spinge addirittura – per voce del sociologo David Runciman – a lanciare l’invito a far votare i bambini) con cui tessere nuove alleanze e un 10% abbondante di “cittadini a metà” che a fronte della loro presenza stabile sul territorio o non possiedono ancora la cittadinanza o faticano a trovare una loro minima rappresentanza. Al dispiacere per l’abbandono del suo seggio della consigliera Raffaelli (a cui auguro una nuova preziosa esperienza di vita) corrisponde la gioia nel veder subentrarle Assou El Barji, da anni impegnato all’ufficio immigrazione della Cgil del Trentino. La sua esperienza sarà importante nei lavori di questo Consiglio e di questa maggioranza.
Essere cultura e città dei Festival…
*è guardare con grande curiosità al sorgere di un nuovo importante polmone culturale (quello che troverà spazio all’interno dell’ex Santa Chiara) che dovrà conservare l’aspettativa di essere prezioso punto di congiunzione tra impresa creativa, cultura intesa come strumento per il benessere e il welfare di comunità e luogo di sperimentazione per la parte più giovane della cittadinanza. Un Urban center di nuova generazione (dedicato all’immaginazione civica, magari sullo stile dell’esperienza bolognese dell’omonima fondazione che tanto bene sta facendo nell’abilitare la cittadinanza alla sussidiarietà e alla collaborazione), proiettato a costruire infrastrutture ibride – fisiche, di mobilità, sociali, economiche e culturali – e quindi frutto di professioni ibride, non lineari, corrispondenti alla complessità che siamo chiamati e chiamate ad amministrare.
*è solidificare e valorizzare il poligono culturale (Centro Santa Chiara, MUSE-Albere, destra Adige, Federazione delle Cooperative e Nuovo Astra, Sanbapolis) come possibile infrastruttura base a cui collegare sempre più strettamente in una relazione di mutuo aiuto istituzioni e associazioni, biblioteche e librerie, teatri e scena della musica dal vivo. Un ecosistema diffuso che in parte abbiamo già sperimentato l’estate scorsa con Trento Aperta e che dobbiamo arricchire e interpretare anche come evoluzione della stagione dei Festival iniziata una quindicina d’anni fa e oggi – volenti o nolenti – sta subendo una parziale revisione.
Un elefante nella stanza.
Vigilare sugli impatti della circonvallazione.
Rendere evidente il metaprogetto.
Descritto questo disegno per isole tra cui costruire ponti più solidi dobbiamo riconoscere che il 2021 verrà ricordato anche per l’impetuosa emersione del tema della circonvallazione ferroviaria, sotto la spinta di quasi un miliardo di euro (mal contati e con tutta probabilità non sufficienti) per la realizzazione del bypass in galleria di dodici chilometri all’interno del corridoio ferroviario TAV/TAC che dal Mediterraneo si spinge fino alla penisola scandinava.
Più di una volta mi è capitato di descrivere quest’opera abusando della metafora dell’elefante piazzato proprio al centro della stanza.
Troppo grande e complessa per essere accolta senza tensioni dal tessuto urbano più compatto della città. Eccessivamente compressa dentro tempi – l’orizzonte 2026 posto dal PNRR – che sembrano un omaggio a “le magnifiche sorti e progressive” che nel Novecento hanno accelerato, oggi possiamo dirlo senza timore di smentita, la crisi climatica di cui oggi tutti gli effetti sono squadernati davanti ai nostri occhi.
La circonvallazione ferroviaria ci mette di fronte al difficile equilibrio tra opportunità e rischi che in questa sede abbiamo cominciato a conoscere e necessariamente dovremo continuare a trattare. Quest’opera ci interroga rispetto a una varietà di argomenti. L’ambiente e la sua tutela, la logistica internazionale e i fragili paradigmi di produzione e consumo, gli effetti della cantierizzazione dello spazio pubblico, la relazione tra amministratori e amministrati.
Non una posizione comoda, che richiede un surplus di attenzione e cura che ci porti da qui al 3 febbraio (chiusura del dibattito pubblico e invio delle indicazioni alla Conferenza dei servizi) a sviscerare le questioni che dal confronto di questi mesi sono venute a galla:
– definitiva analisi costi/benefici tra progetti sul tavolo;
– progettazione del prolungamento dell’interramento verso Trento Nord;
– conferma dell’attivazione delle bonifiche integrali delle aree ex Sloi ed ex Carbonchimica;
– approfondimento della progettazione almeno a livello euroregionale delle prospettive della mobilità sostenibile (passaggio gomma/rotaia, interazione centro/valli, rapporto con A22, ecc.);
– condivisione degli interventi contenuti all’interno del cosiddetto metaprogetto, così che una visione d’insieme del futuro della città diventi patrimonio comune all’interno della cittadinanza trentina.
L’obbligo di co-progettare il futuro insieme. Con tutti e tutte.
Desiderare e co-progettare insieme. E’ questo il filo rosso del ragionamento che in questa discussione generale spero di essere riuscito a condividere con voi colleghi e colleghe.
In tempi così complessi vanno cercati strumenti per non lasciare indietro nessuno (stringendo le maglie delle reti sociali cittadine) e rendendo tanti e tante protagoniste di un destino da condividere, non ancora scritto.
A questo fanno riferimento Paolo Venturi e Flaviano Zandonai quando sottolineano la necessità di mettere al centro delle politiche pubbliche (soprattutto su scala locale) della co-progettazione.
“La co-progettazione diventa ben più che l’applicazione di norme e di procedure ma una vera e propria riforma istituzionale che ridefinisce gli equilibri e le interdipendenza tra “la piazza e la torre” che come ricordava lo storico Niall Ferguson rappresentano l’architrave della nostra vita in comune. Ben prima dello Stato e anche ben prima delle forme moderne di organizzazione della società civile.”
[…] “Dopo una stagione in cui le piazze della socialità generativa si sono svuotate e le torri dei poteri pubblici (locali soprattutto) sono state mozzate nelle competenze e nelle risorse emerge la necessità di un nuovo percorso istituente chiamato a dare durevolezza ai processi di trasformazione sociale emersi in questi anni.”
Fare insieme è l’unica possibilità che abbiamo.
Chiudo questo mio intervento affidandomi a Mariangela Gualtieri, che più di un anno fa – proprio all’inizio della pandemia – componeva una poesia che è un manifesto che faremmo bene a fare nostro.
“È portentoso quello che succede.
E c’è dell’oro, credo, in questo tempo strano.
Forse ci sono doni.
Pepite d’oro per noi. Se ci aiutiamo.
C’è un molto forte richiamo
della specie ora e come specie adesso
deve pensarsi ognuno. Un comune destino
ci tiene qui. Lo sapevamo. Ma non troppo bene.
O tutti quanti o nessuno.”
Trento, 22 dicembre 2021
* da https://pontidivista.wordpress.com/
1 Comment
Tante belle enunciazioni, condite da voli pindarici, ma purtroppo con scarsissimi riferimenti temporali e puntuali alla realizzazione dei progetti e delle opere. Secondo me l’attenzione al bene comune si misura soprattutto così.