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Dopo Vaia. Un reportage de «La Nuova Ecologia» sul nostro ultimo itinerario

Un mondo nuovo

L’apocalisse è arrivata quando era buio. Lungo i 400 km che andando verso est separano la Valtellina dalla Val Saisera la terra ha cominciato a tremare dopo le 17.30 per smettere intorno alle 2.30. La giovane proprietaria del bar ristorante del Passo Redebus, in Trentino, racconta di boati così spaventosi da far pensare a un terremoto, di aver temuto di morire, che «quella notte nessuno è riuscito a dormire». Senza linea telefonica né internet soltanto la mattina successiva, quando un mondo nuovo le si è spalancato davanti col sorgere del sole, ha capito che cosa era successo. Lo stesso è accaduto in centinaia di altri luoghi. In poche ore, dopo due mesi senza piogge, su quelle zone sono caduti 700 millimetri d’acqua, l’equivalente della pioggia che cade a Roma in un intero anno. Fino a pochi giorni prima, a 2.000 metri, il termometro sfiorava i 30 gradi. È in un contesto reso così fragile da siccità e temperature anomale che il vento caldo proveniente da sud e l’aria fredda delle cime più alte si sono scontrati, scatenando una violenza inedita per le nostre latitudini. Dalla pianura raffiche di scirocco a una velocità media di 180 km/h, con punte di 217, hanno preso quota andandosi a infilare in valli via via più strette, dove intrappolate fra muri di pietra hanno cominciato a rimbalzare verso il basso, bersagliando corsi d’acqua, boschi e pendii. «Eventi di questa natura sono inediti, escono dalla norma. Ma come non vedere che la straordinarietà sta diventando normalità? Molto di ciò che chiamiamo emergenza è in realtà l’esito di fattori strutturali, l’esplicarsi di interessi globali». Michele Nardelli, trentino doc, è un agitatore culturale votato alla riflessione, al dialogo e alla diplomazia dal basso, da qualche tempo si è lanciato in un’impresa chiamata “Viaggio nella solitudine della politica”. Il mese scorso ha portato la sua “squadra” sulle Dolomiti e sulle Alpi Carniche, attraversando Cadore e Lagorai. La Nuova Ecologia era con loro. Negli spostamenti in auto, fra un appuntamento e l’altro, zone inspiegabilmente risparmiate dal vento si alternavano a paesaggi devastati. «Finora immaginavamo gli effetti dei cambiamenti climatici con un andamento lineare che poco a poco avrebbe eroso coste e ghiacciai, desertificato aree coltivabili, che avrebbe riguardato le generazioni a venire. E invece ci siamo immersi dentro».

L’intero reportage su

https://www.lanuovaecologia.it/lane/flp/lne/LNE_04-2019/ 

alle pagine 30/37

1 Comment

  1. gigi ha detto:

    «…immaginavamo gli effetti […]con andamento lineare…”. Non c’è più nulla da immaginare: gli scenari IPCC qualificano e quantificano periodicamente con drammatica evidenza. La priorità, adesso, non è più ‘raccontare, dire, sensibilizzare’, purtroppo è ‘agire’. Domando: se ci fosse un asteroide in arrivo (perché è così!) staremo a raccontarci degli immaginifici effetti? Io passo per ‘allarmista’. Accademici, a Venezia e a Trento, mi dicono che nella Comunicazione questo è controproducente. Non sono d’accordo. Per me, bisogna urlare forte ormai, per spingere ad agire, perché è visibile ormai che ‘l’impatto sarà inevitabile’. O no?