L’infinita notte araba
30 Aprile 2020Il monito della ninfea. La presentazione online
1 Maggio 2020C’è una discrepanza evidente fra tutti i messaggi paternalisticamente rassicuranti e la realtà concreta che è sotto gli occhi di tutti. La mia opinione non è mutata dall’inizio ed è che la verità sia riconducibile a una sola evidenza: non ci sono soldi e non si sa o non si riesce a reperirli. Non ci sono soldi per gestire l’epidemia nell’unico modo che abbiamo visto funzionare: Veneto, Germania e piccoli asiatici. Non ci sono soldi per far fronte a niente di quanto promesso e non c’è il coraggio di dirlo apertamente. Quindi, l’unica strategia adottabile per contenere il contagio è quella che lo stesso professor Galli definisce “strategia della disperazione” ovvero isolamento con una serie di restrizioni delle libertà fondamentali spesso schizofreniche e, soprattutto, pericolose perché misure che legittimano privazioni pesanti della libertà unite a paura per la sopravvivenza, crisi economica senza precedenti, scarsa solidarietà internazionale, riproposizione del vecchio schema patriarcale per cui la donna è relegata nella sfera della cura e il potere è prerogativa maschile, sono terreno fertile per una deriva autoritaria.
Da settimane sono irritata perché non mi sento trattata da cittadina adulta. Ho l’impressione che il Governo, in qualche caso anche la Regione, ci mentano nell’illusione di evitare di seminare il panico di fronte a quell’unica evidenza che mi pare chiara fin dall’inizio: non ci sono soldi e non si trovano soluzioni. Si schermano dietro i pareri degli scienziati, che, a buon diritto, loro, sì, possono essere contraddittori non solo perché così procede la scienza, fra tempi lunghi e confronti, ipotesi e smentite, ma anche perché siamo in presenza di un virus sconosciuto. Si schermano dietro i pareri dei comitati tecnici e non fanno che snocciolare dati senza alcun valore scientifico perché privi di raffronti statistici solidi e contestualizzazione. Mascherine sì, mascherine no, tamponi sì, tamponi no, test sierologici sì ma poi no, parenti sì amici no, in un delirio di esaltazione nazionalistica autoreferenziale costante fra “siamo il popolo migliore del mondo, gli altri ci hanno copiato o ci copieranno” e “gli altri fanno tutti peggio di noi e sono brutti e cattivi se non ci danno i soldi in Europa”, quando sappiamo benissimo che fra regioni, peggio la Lombardia dell’Emilia, ma meglio il Veneto dell’Emilia, e non è colpa dell’Europa se questa durissima partita, la combattiamo in partenza con una voragine di debito pubblico e disoccupazione, povertà e altri mali endemici.
Ora, è vero che buona parte degli italiani crede volentieri alle balle e questo è uno dei tratti distintivi della nostra immaturità civica e politica. E se il ballista di turno non ci soddisfa, siamo subito pronti ad affidarci a quello che viene dopo. Ma, ormai, c’è una tale discrepanza fra quanto viene comunicato e la realtà che non c’è bisogno di avere una particolare sensibilità linguistica o chissà quali strumenti culturali per capire che la strategia comunicativa adottata sembra ricavata pari pari dal cosiddetto decalogo di Chomsky. E io reputo tutto questo pericolosissimo. Ci sono voci ben più note o autorevoli di me che si sono levate da giorni per denunciare questi pericoli, ma, in coscienza, sento di non poter tacere e lo faccio attraverso il mezzo che mi riesce meglio, la parola scritta.
Non dire la verità, nell’immediato, evita il panico nel ricevente, ma, lo sappiamo tutti, dopo un po’, non fa che aumentarlo. Di fronte a una terribile minaccia, anche un adulto preferisce ascoltare un messaggio rassicurante da parte di qualcuno che gli promette che tutto andrà bene. Ma se poi la realtà delude quest’aspettativa e ci sono anzi segnali concreti che le cose non solo continuano ad andare male, ma forse peggiorano, il panico aumenta, perché, come accade al bambino, il pericolo comunque lo si intuisce. Una cruda verità è dura da digerire, ma permette a un adulto di immaginare, elaborare e mettere in atto strategie per cercare di risolvere il problema. Dico adulto, perché il bambino non ha gli strumenti per salvare sé stesso e gli altri di fronte a una catastrofe imminente.
Io penso che la discrepanza che c’è fra il messaggio rassicurante del Governo e la realtà, che è sempre più sotto gli occhi di tutti, non faccia che aumentare il panico, il disorientamento, la rabbia, piuttosto che sedarli.
Dopo l’ennesimo confuso delirio securitario propinatoci l’altra sera dall’esperto di bizantinismi, il termometro dell’insofferenza, della rabbia, segna una temperatura altissima. L’indignazione è alle stelle e sta prendendo una deriva pericolosa. Circolano messaggi, video, in rete ma anche sulle piattaforme di messaggistica, che esprimono questa rabbia, alcuni con contenuti gravissimi, che pur nella giustezza di ciò che denunciano e rivendicano, riportano minacce esplicite e puntano direttamente alla delegittimazione violenta dello Stato. Proprio così: le colpe non vengono attribuite a governanti o amministratori, ma direttamente allo “Stato” e io temo che non sia una svista superficiale dettata dall’atavica disaffezione nei confronti di ciò che è considerato “Stato”. Chi ha scritto questo testo, che mi sono ritrovata inoltrato sul telefono, ha usato la lettera maiuscola e sa quindi bene di cosa parla.
Io non so se chi è al governo percepisca la rabbia, l’odio sociale e il disprezzo per le istituzioni che, in questi giorni, sta raggiungendo livelli che fanno impallidire quello raggiunto all’apice dei sentimenti anti-Renzi.
E non è solo la storia che ce lo ha insegnato, ma a me anche la carne viva della Bosnia: una rabbia sociale incontrollabile, l’odio e “il rancore diventato progetto politico” (1), la mistificazione della realtà alimentata dalla propaganda ci portano dritti dritti alla guerra civileo alla dittatura.
Quando esprimo queste opinioni, i miei amici, parenti, lettori di sinistra mi accusano di essere nell’ordine: disfattista, antipatriotttica, destroide con un refrain ormai classico: “Perché, se c’erano Salvini e la Meloni avrebbero fatto meglio?”. E, ovviamente, esagerata. E questo è rivelatore di come l’accettazione passiva delle privazioni delle libertà stia creando assuefazione al punto di pretendere anche la sospensione del diritto di critica, del diritto al dissenso. Un’assuefazione pericolosa perché, quando arriverà il prossimo a dirci che, in nome di un’altra emergenza vitale (economica?), sospenderà le nostre libertà, noi non ci ribelleremo perché saremo già allenati ad accettare senza discutere queste misure.
Allora io chiedo a tutti i politici che ci governano, a Roma e a Bologna, ai quali ho accordato la mia fiducia, di battere un colpo prima che sia troppo tardi. Basta con quest’assurda strategia comunicativa, basta con questa massa di provvedimenti liberticidi che offendono chi una coscienza civica ce l’ha e non aiutano gli altri a maturarla e offrono pretesti ai rambo delle forze dell’ordine per esercitarsi in vista di più ampie prove di rispetto dell’autorità: non è un appello ad aprire tutto e subito, ma a trovare un criterio razionale con cui farlo, come, ad esempio, quante persone per metri quadri, non musei sì chiese no. Basta con soluzioni schizofreniche che hanno un mero fine propagandistico: esame di maturità farsa ma in presenza per fingere che le scuole saranno pronte a settembre; app che non ci proteggeranno da niente visto che i pazienti dimessi sono rispediti a casa a infettare conviventi e questi, insieme ai paucisintomatici non testati, circolano liberamente; io che posso rendere visita ai miei 150 parenti stretti e la mia amica Simona, che vive sola e non ha parenti né fidanzati, non può incontrarsi con un’amica, come se il virus risparmiasse i parenti e colpisse solo gli amici. Basta con una comunicazione e un’azione maschilista, paternalista, basta con questi maschi che si compiacciono di impartirci prediche da pessimi padri di famiglia e non riescono a immaginare altro che la propria autoriproduzione in comitati di esperti maschi nominati da maschi.
E’ ora di dire la verità agli italiani, di fare appello alla loro maturità di cittadini adulti, a costo di scuotere le loro coscienze intorpidite dalla paura e dalla rassegnazione.
Lo so che forse è una sopravvalutazione quella di considerare gli italiani dei cittadini adulti, ma anche ai fanciulli bisogna dare l’opportunità di crescere, come quando la vita impone a una prof di comunicare a una classe di venti diciottenni che il virus si è portato via il papà di un loro compagno e che è giunto il momento di dimostrare di aver raggiunto una maturità che non è solo giuridica. E’ toccato a me e avrei potuto delegare ad altri colleghi più forti di me o più legittimati di me (io non sono la coordinatrice della classe), ma mi sono fatta coraggio e ho detto loro la verità sapendo che avrei sconvolto le loro fragili vite e scommettendo sulla loro forza, non sulla mia, sapendo che qualcuno era già pronto e che qualcuno avrebbe dovuto fare uno scatto di crescita prima del tempo.
Basta balle, basta prediche. Trattateci da cittadini adulti, non da sudditi bambini.
Abbiate il coraggio e l’umiltà di riconoscere gli errori e la vostra impotenza guardando in faccia chi vi ha scelto perché lo rappresentaste degnamente senza però darvi una delega in bianco. Abbiate il coraggio di scommettere sulla forza degli italiani, non sulla loro debolezza. La solidarietà e il senso di responsabilità che pretendete non può esserci se non c’è fiducia e perché ci sia fiducia occorre che almeno le parole pronunciate siano vere.
(1) Definizione con cui il mio amico Michele Nardelli sintetizza uno dei concetti chiave espressi da Rada Ivekovic nel suo libro “Autopsia dei Balcani. Saggio di psico-politica”.
* dal sito https://dtazzioli.blogspot.com/
2 Comments
Ma abbbiamo bisogno di droni, spie e delatori? Siamo cittadini responsabili o bambini da picchiare sulle dita? E’ questa la fiducia che ha chi ci governa? Attenti al dopo corona virus!!!!
Cosa fanno i nostri sindaci? Approfittando della paura propongono di formare gruppi di cittadini, denominati “controllo del vicinato” (!!!) allo scopo di fungere da “occhi”, dato che i sistemi di telecamere non bastano più. Non ronde, ma persone che osservano e riferiscono alle autorità.
(a Gattinara, Pray, Grignasco). I cittadini vengono così indotti a diventare “sentinelle” per il paese, come se fossimo in guerra (altro slogan usato per convincerci a obbedire). Salvo poi accorgersi di aver scatenato un clima di delazioni anonime e di reciproco sospetto sui social che non giova proprio alla convivenza civile. E’ un antico modo di gestire l’ordine pubblico che è partito dal periodo fascista, è proseguito sotto la repubblica di Salò e continua oggi con la figura degli “informatori”, tristemente noti per l’uso che ne hanno fatto i nostri servizi segreti.
Consiglio la lettura di “Delatori” di Mimmo Franzinelli ed. Feltrinelli.
Nell’antica Repubblica di Venezia con il nome di Bocche di Leone (veneziano: Boche de Leon) o Bocche per le Denunce Segrete (Boche per le Denunzie Segrete) erano indicati dei particolari contenitori, simili alle odierne cassette postali, sparse per la città di Venezia e in particolare nei pressi e all’interno del Palazzo Ducale, destinate a raccogliere le denunce segrete destinate ai Magistrati.
Il Dizionario Devoto-Oli definisce così il delatore: “chi per lucro, per vendetta, per servilismo, denunzia segretamente a una autorità, specialmente giudiziaria o politica”. Quindi per fini egoistici (ricompensa o favoritismi) o motivazioni ideali (ristabilimento della legge, adesione al sistema politico).
Colgo l’occasione per salutare Michele, che conobbi negli anni 70 quando AO (di cui facevo parte nel nucleo di Città Studi) e Luigi Vinci si occupavano della costruzione della sinistra, che allora si definiva rivoluzionaria.
Marco Orilia
Un caro saluto a te, Marco, ricomparso nei miei ricordi dalla notte dei tempi. Spero che nel frattempo la tua sia stata una vita buona. Se dai uno sguardo a questo mio sito potrai vedere che non mi sono ancora stancato di immaginare un futuro diverso. Posso certamente dire che il mio pensiero è cambiato in profondità, anche se non ho proprio nulla da rimpiangere, se non per il tempo perduto in rituali che avremmo proprio potuto risparmiarci. Ma in fondo sono dettagli. Ogni tanto mi capita di passare per Milano, ci tornerò appena possibile per presentare il mio ultimo lavoro editoriale. Ma se tu passi da Trento, chiamami. Il mio numero è 347 4098578. Un abbraccio. Michele