Ribellarsi è giusto
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1 Agosto 2022Alberto Tridente, costruttore di amicizie.
Come intellettuale, perché trovarsi a tredici anni a dover portare a casa un salario per vivere non gli impedì di far parte di quella schiera di lavoratori autodidatti che divennero classe dirigente di questo paese. Quando il movimento operaio era ancora scuola di vita, di valori e di idee, non ultima la conoscenza dell’organizzazione del lavoro in fabbrica come nel mondo, tanto da diventare responsabile dei rapporti internazionali della Federazione dei Lavoratori Metalmeccanici.
Come parlamentare europeo, quando l’esperienza sindacale si era conclusa e quella politico istituzionale prese corpo come naturale evoluzione di un impegno in un soggetto politico come DP che aveva le proprie radici nella sinistra sindacale di Vittorio Foa e nella quale avrebbe potuto mettere a frutto “settant’anni di lotte”. Con noi trentini, proprio a partire dall’esperienza dello SMUT (il primo sindacato unitario dei metalmeccanici) di Giuseppe Mattei, c’era un rapporto di amicizia che ritrovai quando io entrai nella segreteria nazionale di DP e lui nel Parlamento Europeo. Con Alberto condivisi pensieri e scelte anche quando me ne andai da Roma e in Trentino demmo vita a Solidarietà. Lo ricordo in prima fila al Centro Santa Chiara di Trento in quel congresso nei giorni in cui cadde il muro di Berlino.
Come appassionato della montagna. Al di là delle occasioni di comune impegno politico e compatibilmente con i primi acciacchi, non c’era estate che non condividessimo qualche giorno sulle Dolomiti. Nonostante fosse di una generazione precedente alla mia, Alberto andava sui sentieri di montagna come se quello fosse il suo habitat naturale.
Come cittadino del mondo. Lui che aveva nel cuore l’America Latina e che ci aveva fatto conoscere Lula quand’era ancora un sindacalista metalmeccanico, non perdeva occasione negli anni ’90 per chiamarmi e confrontarsi con il mio lavoro nei Balcani o in Palestina. Mi aveva insegnato a non seguire le mode di una sinistra troppo intenta a cercare conferme che a capire la complessità dei contesti. Talvolta avevamo idee diverse, ma ricordo con emozione quelle nostre discussioni, portandomi dentro ancor oggi il rammarico di non aver viaggiato insieme nel cuore dell’Europa.
E infine come amico. Conservo come un oggetto prezioso i fogli dattiloscritti che costituivano le bozze che mi aveva inviato in anteprima del suo libro “Dalla parte dei diritti”, come ebbe a scrivere Giangiacomo Migone «non solo una biografia, è il Novecento stesso a essere raccontato attraverso la passione umana e politica di un uomo, infaticabile e testardo interprete del proprio tempo». In quel libro che ora tengo fra le mani, la sua dedica del novembre 2011: «A Michele, fraterno amico e compagno di tanta parte del Novecento». Fu l’ultima volta che lo vidi. In quella occasione mi aveva fatto cenno della recrudescenza del male che lo tormentava da tempo ma che credeva di aver sconfitto. Sembrava non darci peso, tenace com’era. Se ne andò qualche mese dopo.
Sì, Alberto era fra le tante cose uno straordinario costruttore di amicizie. Che rimangono, oltre il tempo.
1 Comment
Un bellissimo ricordo. Di una amicizia di cui per qualche tratto di strada sono stata partecipe.
Ed è importante riconoscere le tracce che rimangono.