Incagliati
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di Michele Nardelli
(27 aprile 2021) Un tragico paradosso. E’ quel che accade in queste ore lungo il limes spazio temporale che attraversa l’Europa e il Mediterraneo. O, se si vuole, attorno alla faglia dell’indifferenza e dell’ipocrisia.
Perché mentre nel Parlamento Italiano si discute sul Next Generation EU e più precisamente sul Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, centinaia di persone affondano le loro speranze di futuro nel Mediterraneo.
L’allarme lo avevano lanciato per tempo e c’erano tutte le condizioni per evitare l’epilogo che ha già inghiottito negli anni migliaia di migranti in fuga da guerre e violenza, desertificazione e povertà estrema. Ma Cipro, Malta e Italia si sono rimpallate per due giorni la responsabilità del (non) intervento e quando la nave di SOS Mediterranee è giunta sul posto la tragedia si era già consumata (da leggere la testimonianza di Alessandro Porro, in allegato).
Di questo tragico paradosso fa parte anche un paese ormai fantasma come la Libia e i poteri criminali che vi si contendono gas e petrolio, legittimati dai governi, compresi quelli italiani alternatisi negli anni, che hanno cercato di costruire una partnership interessata alle sue ricchezze e al contenimento dei profughi, in dispregio del rispetto dei diritti umani.
Ma che cosa c’entra questa ennesima tragedia del mare con la Next Generation EU? E’ forse l’Europa fortezza quella che immaginiamo per le generazioni a venire? Il diritto al futuro è solo quello di chi vive nella parte settentrionale del Mediterraneo? Come non capire che nell’interdipendenza i crimini che si consumano dall’altra parte del mare (e dei quali siamo spesso responsabili) ci ricadranno addosso come del resto già avviene anche se ancora in minima parte? E, infine, come si può essere così miopi da non comprendere che le crisi (di cui la sindemia è l’esito) non si affrontano e tanto meno risolvono dentro i confini dei vecchi stati nazionali?
Non è solo un problema di avere uno sguardo solidale verso il prossimo. E’ l’insostenibilità del nostro modello di sviluppo il problema. Attardarsi a pensare che il tema sia l’arretratezza di un Paese incapace di reggere la competitività è essere fuori dal mondo, tanto è vero che le tigri della crescita sono state travolte dalla sindemia quanto le cenerentole. E’ il non aver ancora compreso che nella post modernità sviluppo e sottosviluppo sono categorie obsolete. E che la terza guerra mondiale in corso si svolge fra inclusione ed esclusione. Sono gli scarti di cui ci parla Papa Francesco nella “Laudato sì“ e nella “Fratelli tutti“.
Certo, c’era bisogno di una Next Generation EU, e l’abbiamo salutata con un po’ di speranza, purché fosse accompagnata da un cambio del nostro sguardo sul mondo. Avrebbe dovuto riguardare la nostra impronta ecologica come d’altro canto il Mediterraneo o le guerre mai sopite lungo il nostro incerto confine orientale. Perché potremmo digitalizzare il pianeta (a guardar bene lo è già) ma questo non ci ha sin qui messo al riparo dall’abisso che abbiamo di fronte e nemmeno ci ha fatto comprendere che quello di cui abbiamo bisogno è di cambiare rotta rispetto alle magnifiche sorti progressive che ci hanno sprofondati nell’insostenibilità e in un umanesimo ipocrita e privo di mondo.
La transizione ecologica richiede un cambiamento urgente e radicale del nostro modo di vivere e consumare, non l’efficientamento del nostro delirio. E tanto meno, per tornare al nostro mare, di lisciare il pelo all’indifferenza.