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di Michele Nardelli
Nei primi giorni di marzo del 2013 come Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani organizzammo una Winter school dal titolo “Mafie senza confini“. Fu una tre giorni di particolare intensità e valore alla quale si iscrissero un centinaio di studenti provenienti da diverse università italiane. Vi parteciparono come relatori magistrati, ricercatori, investigatori, scrittori, giornalisti ed amministratori locali di particolare valore (Paolo Berizzi, Stefano Caneppele, Alessandra Clemente, Gherardo Colombo, Valter Dondi, Roberto Fasoli, Cecilia Ferrara, Mauro Gilmozzi, Massimo Lo Cicero, Alberto Pacher, Stefania Pellegrini, Alberto Perduca, Pasquale Profiti, Ilaria Ramoni, Isaia Sales, Paolo Sartori, Francesco Terreri, Aldo Zappalà) che si confrontarono non a partire da un’emergenza o da una vicenda in particolare ma come necessità di proporre un’agenda di lavoro alle istituzioni, alla politica e alla società civile. Che con il regista Aldo Zappalà ci inventammo ed ebbi l’onore di aprire (http://www.michelenardelli.it/commenti.php?id=2541). In quell’occasione presentammo un’indagine sulla percezione del fenomeno mafioso tra gli studenti trentini realizzata da Libera e la ricerca “Gli investimenti delle mafie“ curata da Transcrime.
Una delle domande cruciali della Winter school si sviluppò attorno al quesito di come una realtà apparentemente estranea a fenomeni mafiosi (come il Trentino) fosse attrezzata o si attrezzasse per contrastare la penetrazione della criminalità organizzata sul proprio territorio. In molti indicarono nella tenuta del tessuto sociale ed istituzionale l’antidoto più importante, senza però rendersi conto di quanto quel tessuto già allora – anche a queste latitudini – fosse sfibrato e fortemente compromesso. Il caporedattore del Corriere del Trentino Simone Casalini, che coordinò la tavola rotonda conclusiva, vi dedicò un suo editoriale (http://www.michelenardelli.it/uploaded/documenti/fondo%20mafie.pdf).
Ed in effetti c’erano già e ben prima di allora molteplici segnali di un intreccio fra politica ed affari, a partire dal confine sempre più incerto fra criminalità economica ed economia legale, nonché dalla semplice considerazione che “nessun territorio è un’isola“.
Dopo l’emergere dell’“Operazione Perfido“ che nei gironi scorsi ha messo a nudo la ragnatela della ‘ndrangheta in Trentino, sono andato a rileggermi alcune pubblicazioni come “L’oro rosso. Un’indagine sul porfido nel Trentino“ a cura di Walter Ferrari e Carolina Andreatta (Publiprint, 1986) e i quattro libri bianchi editi da Solidarietà nella prima metà degli anni Novanta1, dai quali emergeva uno spaccato già ben preoccupante della cupola di potere e della cultura dell’oligopolio collusivo che segnavano questa terra.
Sono quelli gli anni che segnano un passaggio cruciale nell’organizzazione della criminalità organizzata e nella conquista di nuovi territori e di nuovi ambiti di azione criminale. Guerre moderne, traffici internazionali, deregolazione, delocalizzazione delle imprese, occupano lo spazio lasciato libero dalla fine del mondo precedente. E il Trentino non era un isola.
Così nel 1997 l’Operazione Scacco Matto portò ad individuare a Madonna di Campiglio uno degli insediamenti europei della “Solncevskaja bratva“, la Brigata del Sole, una delle più potenti organizzazioni criminali russe ancor oggi operanti sul piano internazionale. Una presenza – quella russa nella “perla delle Dolomiti“ – che ha avuto negli anni effetti inquietanti nel settore immobiliare di quello e di altri territori a vocazione turistica.
Transcrime, il Centro di ricerca sui fenomeni criminali guidato da Ernesto Savona, nel Rapporto Metric del 2012, aveva messo in rilievo una serie di attività di infiltrazione mafiosa come l’operazione Matrioska sul riciclaggio internazionale di tangenti per la vendita di veicoli militari e per acquisire commesse pubbliche partita da movimenti sospetti di denaro nella filiale di Vigo di Fassa della Raffeisenkasse. Nello stesso rapporto erano evidenziate le attività di usura attraverso la società Aspide srl, legata al clan dei Casalesi. Un’organizzazione criminale di matrice camorristica operante in Veneto, Emilia Romagna, Friuli Venezia Giulia, Sardegna e Trentino. Nata nel 2009 come società di vigilanza e sicurezza, aveva esteso poi i suoi affari anche nel campo del recupero crediti. Oppure ancora nei settori delle costruzioni (la tentata scalata da parte di società vicine alla ‘ndrangheta della Cosbau, azienda edile di Mezzocorona), del movimento terra (galleria di Martignano, galleria di Mezzolombardo e circonvallazione di Moena), dell’eolico (con il coinvolgimento di un imprenditore trentino nelle attività di esponenti mafiosi finalizzata alla gestione di appalti e servizi pubblici nel settore della produzione di energia “sostenibile“ nella provincia di Trapani).
Sempre nel trasporto di inerti, sabbia e porfido si iscrive la vicenda dei fratelli Muto, famiglia secondo gli inquirenti riconducibile alla ‘ndrangheta, che investe il Trentino (fra il 2009 e il 2011) con l“acquisizione e lo svuotamento di beni dell“azienda Marmirolo Porfidi (un crac da 9 milioni e mezzo di euro) e successivamente al centro dell’inchiesta denominata “Operazione Grimilde“ il maxi blitz che ha evidenziato la forte penetrazione della ‘ndrangheta calabrese in Emilia).
Ambiti nei quali – come ricorda Marco Galvagni (già segretario comunale a Lona Lases) nell’intervista sul quotidiano L’Adige di Domenico Sartori (https://www.ladige.it/news/cronaca/2020/10/19/porfido-mafia-interessi-locali-dallauto-bruciata-denunce-silenziate-memorie) – operava da anni (a prescindere dunque dalle infiltrazioni della ‘ndrangheta) una sorta di “mafia bianca“, nata nel connubio fra interessi dei cavatori e amministrazioni locali. E che ebbe – come ci ricorda lo stesso Sartori nell’intervista a Walter Ferrari, per anni animatore del Coordinamento lavoratori porfido (https://www.ladige.it/news/cronaca/2020/10/18/porfido-mafia-politica-walter-ferrari-ci-spiega-svolta-obbligarono) – un passaggio cruciale nell’esternalizzazione delle attività da parte dei cavatori con la nascita di centinaia di partite IVA.
Quella stessa cultura mafiosa che nel tempo ritrovammo anche in altri settori importanti e in altre valli trentine, dall’industria allo smaltimento dei rifiuti, dai servizi all’agricoltura. Un brodo di coltura nel quale hanno trovato sempre più spazio classi dirigenti senza profilo, più attente al proprio tornaconto che al bene comune, anche in ambiti come la cooperazione nello smarrirsi del carattere etico che dovrebbe esserne alla base. Ne è un esempio l’operazione “Feudo Arancio“ che ha messo i vertici della più grande azienda vinicola del Trentino al centro di un“indagine della Guardia di finanza e della Procura di Trento per un investimento in Sicilia ritenuto dagli inquirenti per lo meno spregiudicato, acquistando fra il 2001 e il 2003 circa 900 ettari di vigneto che erano appartenuti ai cugini Nino e Ignazio Salvo, i potenti esattori siciliani, accusati dal pentito Tommaso Buscetta di essere “uomini d“onore“ e per questo arrestati dal giudice Giovanni Falcone.
Per arrivare ai giorni nostri con l’Operazione Perfido, che ha messo in luce l’intreccio politico ‘ndranghetista fra il Trentino e la Calabria che ha portato all’arresto e ad altre misure cautelari per 19 persone fra cui imprenditori del porfido, sindaci ed amministratori locali. Un’inchiesta tutt’altro che conclusa e che potrebbe riservare nuovi sviluppi ben oltre la Valle di Cembra. Ma che già oggi delinea una capacità di insediamento dei poteri criminali e un quadro diffuso di voto di scambio che sfrutta a pieno il vuoto politico contemporaneo.
Certo è che oggi la domanda che c’eravamo posti nel 2013 appare sin troppo timida. In quella Winter School indagammo su quali azioni culturali, quali politiche e quali protocolli amministrativi (e quali accorgimenti investigativi) avrebbero potuto aiutarci a conoscere, prevenire o debellare le penetrazioni criminali sul territorio.
Da allora sono trascorsi sette anni, ma quel promemoria di azioni su cui ci eravamo confrontati con magistrati, operatori di giustizia, giornalisti è rimasto colpevolmente lettera morta. Compresi gli “indicatori di mafiosità“, un vero e proprio termometro del rischio, con i quali una comunità avrebbe potuto attrezzarsi invece di rincorrere i titoli derivati ed altre chimere finanziarie.
Del resto… mica si possono fermare l’economia e il PIL! Non si sono fermati gli impianti di risalita nemmeno di fronte al Covid 19, figuriamoci se si fermano gli interessi dell’industria estrattiva che hanno arricchito cavatori, trasportatori e banche. Nell’omertà diffusa. Meglio chiudere gli occhi e chissenefrega della salute degli extracomunitari che ormai da tempo hanno sostituito in larga misura la manodopera locale, dell’ambiente e del corretto uso delle istituzioni.
Per la politica l’agenda è stata un’altra.
1Si tratta di “Affari & Politica. Viaggio attraverso gli intrecci politico finanziari del Trentino“ (dicembre 1991), “Affari & Politica 2. Il Trentino e la cupola degli emergenti. Un pericolo per la democrazia“ (dicembre 1992), “Diccì spa. Le banche, gli intrecci societari, gli uomini e le famiglie del potere democristiano in Trentino“ (settembre 1993), “Affari & Politica 3. I potenti del “dopo“ Tangentopoli“ (maggio 1995). Erano stati preceduti da alte due pubblicazioni a cura di DP del Trentino: “L’evasione fiscale nel Trentino. Libro bianco“ (maggio 1980) e “Il potere. Società, personaggi, intrecci“ (Publiprint, 1985)