Guido Pollice
20 Giugno 2023«Inverno liquido»: dopo la stagione dell’oro bianco, le nuove terre alte
3 Luglio 2023Poi il vento cambiò direzione e tutto divenne più difficile, occorreva un passo diverso per capitalizzare la spallata precedente. E un pensiero capace di immaginare scenari nuovi rispetto all’eterogenesi dei fini che il comunismo aveva portato con sé. Ancora una volta decidemmo che si poteva fare.
Guido Pollice divenne parte di quel sincretismo politico e culturale che negli anni del riflusso delle lotte sociali aveva reso possibile la nascita di Democrazia Proletaria. Lui insieme a Vittorio Foa, Silvano Miniati, Pino Ferraris, Giovanni Russo Spena e tanti altri portarono nella nuova formazione politica l’esperienza ed il pensiero della tradizione socialista più radicale che negli anni ’60 aveva avuto come punto di riferimento il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria (PSIUP). Con il cattolicesimo di sinistra e le istanze del terzomondismo e della nonviolenza, con quella parte dell’operaismo che si era raccolto attorno ad Avanguardia Operaia e alle esperienze consiliari di base, prese corpo un percorso politico che forse per la prima volta cercava di unire le eresie politiche, raccogliendo le eredità più feconde del movimento anticapitalistico.
Il concludersi di un ciclo straordinario di lotte, lo stragismo neofascista e di Stato, il clima di restaurazione nei luoghi di lavoro e nella società, le derive del violentismo… era questo il contesto nel quale provammo a tener viva l’idea di un’alternativa a quello che non credevamo certo fosse “il migliore dei mondi possibili” ma anche un ambito di impegno e di riflessione collettiva che rappresentò un punto di riferimento per una comunità di migliaia di persone.
Di questa comunità Guido Pollice era un infaticabile animatore. Quando nell’ormai lontano novembre 1978 decidemmo che tutto questo avrebbe dovuto essere rappresentato anche nelle istituzioni della nostra autonomia, Guido fu della partita con una generosità che nessuno di noi dimenticherà. Ricordo i suoi comizi nelle piazze, spesso vuote, dei nostri paesini di montagna, impeccabile nel suo completo grigio e cravatta, così difforme rispetto al nostro cliché. Recuperammo uno per uno quei 5412 voti (quasi il 2%) che ci permisero di entrare in Consiglio Provinciale e di contribuire a rendere possibile quell’anomalia politica che caratterizzò – pur fra mille contraddizioni – questa nostra terra nei decenni successivi. Che ricambiammo, sempre pronti nel metterci a disposizione per altre campagne elettorali o referendarie, una sorta di mutuo aiuto che univa nobili idee e bassa (ma non per questo meno nobile) manovalanza. Come non dimenticherò mai quello stanzino in Via Vetere a Milano dove insieme a Guido, Alfredo e Franca controllavamo la correttezza dei moduli con le firme per i referendum sull’estensione dello Statuto dei lavoratori alle piccole imprese e per il ripristino dei punti di contingenza nelle liquidazioni, prima della loro presentazione formale. Con Guido la giovialità era di casa e così un lavoro altrimenti noioso divenne un gioco di creatività. Fu la prova generale di quello che qualche anno più tardi, dopo Chernobyl, fermò la costruzione delle centrali nucleari in questo paese. Nelle nostre mani, appunto.
Con Guido Pollice si era creata un’intesa che andava oltre le nostre stesse posizioni politiche in genere non propriamente allineate, se consideriamo che proprio all’inizio degli anni ’80 maturò in Trentino l’idea di un patto federativo con la dimensione nazionale che poi divenne prassi consolidata anche per le realtà del Friuli, del Sud Tirolo e della Sardegna. Eretici nell’eresia, potremmo dire, ma in un rapporto di stima e affetto. Tant’è vero che Guido fu una delle persone che più di altre insistette per il mio coinvolgimento nella segreteria nazionale. E andò così, quand’anche nei cinque anni di mia presenza a Roma non furono poi molte le opportunità fra noi di convivialità.
In questo devo riconoscere a Guido la leggerezza dei ruoli, mai una forma di pressione pur trovandomi a svolgere una responsabilità che prima era stata sua. Egli portava in sé l’arte della leggerezza e l’ironia di chi sa prendere la vita per il verso giusto. Anche nei passaggi più delicati di un corpo sociale e politico piccolo ma complesso qual’era DP, non perdeva mai il valore delle relazioni. Ciò nonostante, quando si andò verso l’epilogo, Guido verso i Verdi Arcobaleno e noi verso una nuova esperienza politica locale come Solidarietà, le nostre strade si separarono in una diaspora per certi versi dolorosa. Si interruppero canali di dialogo, ciascuno si radicalizzò sulle proprie posizioni, la DP sincretica si sfarinò.
Nessuna nostalgia. Era l’89, un passaggio di tempo in cui finiva il Novecento. Che non fosse indolore era nelle cose. Lo interpretammo diversamente e, credo, degnamente, ciascuno per le strade che gli apparivano più congeniali e fertili, verso le quali – personalmente – non ho rimpianti.
Solo una cosa. Mi porto dentro il rammarico di non aver coltivato – negli anni in cui quell’esperienza volse al termine e un po’ anche nei decenni successivi – quella stessa lievità che Guido avrebbe meritato. Un telefono che avrebbe potuto squillare, parole rimaste inespresse, momenti di affetto che avremmo potuto regalarci. E forse anche dell’altro, ma la vita è così. Di questo, caro Guido, ti chiedo scusa.
Nella comunione di aver cercato di essere in ogni momento curiosi e presenti al nostro tempo. (m.n.)
5 Comments
Ti ringrazio Michele per questo che è più di un ricordo, per ripensare senza retorica agli anni generosi in cui eravamo giovani e ricchi di speranza, per il sommesso invito a mantenere il filo delle relazioni e dell’affetto anche quando si imboccano sentieri diversi.
Grazie Michele, un bellissimo ricordo di Guido, di quel tempo in cui con idealità ed entusiasmo si è cercato di cogliere i punti di svolta del Novecento, appoggiando lotte per i diritti, per il lavoro e la giustizia sociale. La fiducia nel cambiamento ha anche fatto passare in secondo piano i limiti di impostazioni in via di superamento, incapaci di rispondere ad una visione di futuro nuova, comprensiva del dovere di farsi carico della sostenibilità del nostro agire, di ogni scelta anche individuale.
Via via si è perso il senso di un dibattito rinnovato, della necessità di aggiornare gli strumenti del pensiero. Da lì, forse, lo sfilacciamento delle relazioni, la rarefazione degli incontri, la perdita di contatto.
Rimane comunque il sentimento amicizia, per me condito dal sapore di Nutella spalmata sul pane, per intercessione di Guido, concessa in una lontana estate a mio figlio ragazzino.
E più di una volta è capitato che assaggiando un cucchiaino di Nutella mi sia venuto in mente proprio lui, Guido Pollice, uomo politico, ma anche amico.
Non ho conosciuto Pollice e quindi non ho ricordi di lui, ma condivido i tuoi pensieri su quegli anni e sulle belle esperienze politiche che ci hanno visti impegnati e, talora, meno x me e molto più x te, anche protagonisti.
Mandi.
E.
Sono Guglielmo della provincia di Verona, ho fatto parte anch’io di quel piccolo partito dalle grandi ragioni che si chiamava Democrazia proletaria, ricordo con piacere quegli anni e provo un senso di gratitudine per gran parte dei sui dirigenti, compreso Michele Nardelli. Mi piace molto come hai ricordato Franco Calamida, Vittorio Bellavite e ora Guido Pollice. Il senso di gratitudine è dovuto a quel fare collettivo con il quale si operava come metodo di fare politica (il senso del collettivo mi sembra lo chiamasse Calamida) che coinvolgeva anche chi operava in periferia come me. Un senso di appartenenza che non ho più ritrovato nelle esperienze che sono seguite e in quelle attuali. Seguo molto volentieri il tuo Blog che ho scoperto per caso nel 2021 alla presentazione del libro sulla tempesta Vaia a Moena con Diego Cason. Grazie ancora per gli argomenti del sito che cerco di far girare per stimolare iniziative.
Grazie a Renata, Micaela e Emilio e a tutte le persone che mi hanno manifestato in vario modo la loro condivisione per quanto ho scritto in ricordo di Guido Pollice. Un grazie particolare lo rivolgo a Guglielmo che non credo di aver conosciuto di persona, perché quella dimensione collettiva di cui tu parli è per me ancora oggi il significato di un impegno politico che ho cercato di tenere vivo anche quando è venuto meno il riconoscersi in un partito. Le cui forme, in realtà, sono molteplici per cui anche un libro – nella solitudine di questo tempo – ci può aiutare. Specie se, come abbiamo scritto in Inverno liquido, può stimolare la nascita di un “collettivo di scrittura” attorno ai nodi cruciali che attraversano il presente.