Emilio Molinari
Vaccini e ultraottantenni
22 Marzo 2021
Il gatto e la luna
L’importante appello di un gruppo di scienziati sul PNRR
26 Marzo 2021
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Cambiare rotta a partire dal fatto che, per affrontare questa sindemia, è urgente mettere in campo una visione sovranazionale, alla quale adattare i piani nazionali e con cui concertare l’azione regionale. Crediamo infatti che le dimensioni europea ed euromediterranea rappresentino l’ampiezza di sguardo necessaria se vogliamo che le straordinarie risorse messe in campo dall’Unione Europea possano risultare efficaci. Se non sarà così, se le dotazioni finanziarie rese disponibili dall’UE saranno gestite dai governi nazionali senza mettere in discussione il modello di sviluppo insostenibile che è all’origine della sindemia, non faremo che tamponare l’emergenza con interventi assistenziali o che produrranno nuova insostenibilità.

Non sappiamo ancora in che misura il governo Draghi manterrà il Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza (PNRR) o quanto e come lo riscriverà. Sappiamo invece che in quello elaborato dal precedente governo una nuova visione è assente e, semmai, diluita in provvedimenti che mancano di un approccio organico ed europeo. Gli stessi nodi strutturali che vengono indicati dal documento – debole dinamica degli investimenti, demografia declinante e bassa natalità, ridotta dimensione media delle imprese, bassa competitività del sistema Paese, incidenza del debito pubblico, incompleta transizione verso un’economia fondata sulla conoscenza – come condizionanti la ripresa per l’Italia riflettono un approccio datato e a nostro avviso sbagliato.

Con il Next Generation EU, proprio per pensare alle future generazioni a partire dai nostri giovani, forse per la prima volta l’Europa politica ha avuto il coraggio di intraprendere un programma strategico fondato su alcune linee di lavoro che affrontano la crisi sanitaria, ambientale e produttiva. Non c’è ancora un cambio di paradigma, ma il fatto stesso di immaginare una politica economica e finanziaria europea (con l’inedita e prima sempre avversata emissione di titoli di debito europei) attorno ai grandi temi del futuro, rappresenta comunque una svolta importante.

Ma in una nuova visione europea, ogni Paese non dovrebbe replicare gli stessi investimenti e le stesse linee di sviluppo, bensì riconsiderare vocazioni territoriali e ambientali, prerogative e unicità culturali, assetti proprietari e fiscali, devoluzione di poteri verso l’Europa e forme diffuse di autogoverno.

Come possiamo costruire un’Europa politica se ancora i paesi dell’Unione destinano alle spese militari oltre 260 miliardi di euro per gli eserciti nazionali anziché darsi una politica di relazioni e di difesa comune? Oppure se manca una visione condivisa attorno a settori considerati strategici come ad esempio l’acciaio o il trasporto aereo, solo per citare due esempi sui quali la politica italiana è da anni incartata? O, ancora, se la proposta di Politica Agricola Comunitaria per la nuova programmazione prova in ogni modo a ignorare o aggirare gli obiettivi delle strategie della Commissione che vogliono condurre alla neutralità climatica?

Come non immaginare che il passo successivo all’emissione dei bond europei non debba essere una riforma fiscale improntata – più che mai in una fase di crisi della quale tutti dovrebbero farsi carico – a criteri di progressività (come del resto già prevede la Costituzione Italiana all’articolo 53)?

In settori sui quali l’Italia vanta una grande tradizione come il comparto agroalimentare, come non vedere che l’eccellenza alimentare ha a che fare soprattutto con la piccola e media impresa e che la qualità (e la riqualificazione) è la vera prerogativa della competitività soprattutto in un’ottica di transizione ecologica?

Insomma, è necessario un cambio di impostazione, in assenza del quale il denaro del Next Generation EU servirà più a distribuire ristori e indennizzi che a ripensare il futuro. Come Slow Food guardiamo a questo passaggio con la necessaria preoccupazione ma anche come una grande opportunità. Questo è ciò che intendiamo con il concetto di resilienza trasformativa, la capacità di resistere a una crisi complessa che tende a escludere i più deboli e di immaginare e praticare il cambiamento.

Ed è proprio con questo sguardo sovranazionale e attento ai territori – non certo estraneo alla nostra natura associativa – che Slow Food monitorerà l’andamento e la sostenibilità degli investimenti del Next Generation EU lavorando di concerto con altre associazioni (quelle che danno vita alle coalizioni Rinascimento Green, Follow The Money, Good Lobby e altre) per verificare la coerenza delle scelte e dei progetti con il grande obiettivo di utilizzare questa inedita opportunità per cambiare il Paese.

Non è solo un problema di rimettere in moto l’economia, bensì di ripensare un modello di sviluppo in grado di riconsiderare la nostra impronta ecologica, far propria la cultura del limite, riqualificare il lavoro e le produzioni. Questa è la nostra idea di transizione ecologica.

Per questo insieme di ragioni, Slow Food chiede che il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza:

  1. Si proponga di adottare una visione europea ed euromediterranea, che punti ad armonizzare le politiche proposte nell’ambito dei Piani Nazionali di attuazione del Next Generation EU, indicando un criterio di valutazione d’impatto d’area. Una grande idea di futuro non potrà che essere europea, tenendo conto che già oggi questo è il senso profondo di una nuova cittadinanza per le nuove generazioni e che le risorse oggi mobilitate sono prese in prestito proprio da chi verrà dopo di noi.

  2. Se l’Europa è l’ambito politico a cui dobbiamo e vogliamo guardare, diviene imprescindibile affrontare in chiave sovranazionale gran parte dei nodi strutturali con cui abbiamo a che fare. Per questo vanno portate in sede europea, e rese coerenti con gli obiettivi, le questioni cruciali, come le politiche sanitarie e le risposte alla pandemia, i processi migratori e le politiche di accoglienza, il tema del Mediterraneo e il rilancio del Processo di Barcellona, la transizione energetica (ivi compreso il nodo delle centrali nucleari e dello smaltimento delle scorie), gli asset strategici tanto sul piano industriale che dei servizi, la difesa, ecc.

  3. L’educazione alla transizione ecologica, del tutto assente nella prima versione del PNRR, deve far propri gli obiettivi dell’Agenda 2030, laddove l’educazione è un perno centrale per raggiungerli. La conoscenza e l’educazione sono aspetti fondamentali e trasversali a tutta la società e ad ogni ambito di cambiamento. In particolare, per un movimento del cibo come Slow Food, la parola alimentazione non può prescindere dalla responsabilità dei soggetti che interagiscono in tutta la sua immensa filiera (dalle aziende agroalimentari ai consumatori) e dalla piena consapevolezza sul concetto di sostenibilità. Lo sviluppo sostenibile, d’altronde, non si può costruire senza un cambiamento culturale che deve partire dai sistemi educativi, a tutti i livelli, e la cui urgenza e improcrastinabilità ormai è evidente a tutti. Lo sviluppo sostenibile intreccia questioni e processi complessi e tra loro profondamente interconnessi. Deve saper stimolare il pensiero critico e orientare i comportamenti, verso un cambiamento di rotta che deve essere necessariamente sistemico e complesso. Pertanto si chiede che vengano sostenute politiche di educazione allo sviluppo sostenibile a partire dal tema degli orti scolastici e della qualità del cibo delle mense scolastiche.

  4. Il tema del cibo, per noi così cruciale, investe in maniera trasversale l’ambiente, l’agricoltura, le attività artigianali e industriali di trasformazione, la salute, la cultura e l’educazione, la ricerca, il commercio e il turismo, la cooperazione… Ha a che fare direttamente con la crisi climatica, con la crisi alimentare e molto spesso con i processi migratori. Per queste ragioni, come Slow Food crediamo vi si debba riservare una nuova centralità, contrariamente alla disattenzione e alla marginalità che si evince dalla prima stesura del PNRR. Il cibo non è assimilabile solo all’agricoltura verso la quale, peraltro, viene destinato solo il 2% delle risorse. Quel che manca al Piano italiano è quindi anche la prospettiva della “transizione verde” declinata con interventi che attuino concretamente la strategia “Farm to Fork”, dalla “fattoria alla forchetta”, indicata dall’Europa come un potente strumento per il recupero degli ecosistemi distrutti, per lo sviluppo di un’agricoltura libera da OGM e di una pesca sostenibile e che fa del cibo il vero protagonista dei prossimi decenni.

  5. La modalità di Life Cycle Assessment come evidenziata nel PNRR si riferisce a realtà del sistema produttivo molto strutturate sul piano industriale. Una modalità così complessa rischia di essere discriminatoria per le aziende di piccola dimensione in cui c’è un forte contributo familiare e per chi intende avviare un’impresa agricola. Allo stesso modo, in assenza di una riforma della Pubblica Amministrazione e del riordino catastale, andrebbero alleggerite le procedure burocratiche, anche per favorire il ritorno alla terra da parte dei giovani.

Infine, come movimento del cibo che ha dalla sua trent’anni di esperienza e che opera in oltre 150 paesi di ogni continente, ci impegniamo per dare piena cittadinanza:

– Alla centralità del cibo, quale elemento indispensabile alla vita delle persone e al suo carattere trasversale alle umane attività, il che ci porta ad affermare come in ciascun Piano Nazionale di Ripresa e di Resilienza questo tema debba avere una rilevanza adeguata. Se poi questo lo rapportiamo ad un paese come il nostro dove il settore agroalimentare costituisce il cuore del Made in Italy, non può che essere evidente come esso rappresenti uno dei motori principali di riqualificazione e di rilancio.

– All’educazione alimentare e al consumo consapevole. La pandemia, con gli effetti di impoverimento e di precarizzazione degli ambiti formativi, ha abbassato l’attenzione verso l’educazione alimentare, favorendo il ricorso al cibo industriale a lunga conservazione e un crescente deficit nutrizionale. La nostra attività pluridecennale sui temi dell’educazione rivolta a tutte le età, tra scuole, comunità e ristorazione, ci porta a evidenziare come un piano europeo come il Next Generation EU debba indicare un mix di progettualità specifiche, destinandovi risorse adeguate.

– Alla salvaguardia delle biodiversità. In un piano di transizione ecologica, particolare attenzione deve essere riservata alla valorizzazione del patrimonio naturale e culturale che le biodiversità rappresentano, a partire dalle varietà vegetali, dalle specie animali, dal patrimonio microbiologico e da quell’immenso tesoro di sapienza e conoscenza di cui le comunità sono custodi. Un patrimonio che rischia di andare perduto come effetto della crisi climatica e della distruzione degli habitat a causa delle attività dell’uomo. È importante per questo dare nuovo impulso alla Strategia Nazionale della Biodiversità (SNB), nata nel 2010 per fermarne il declino, censire e valorizzare le specie a rischio e i portatori di interesse. Slow Food ha le competenze per fare parte del Tavolo di consultazione previsto tra gli organi di governance per la sua realizzazione.

– All’impegno contro il surriscaldamento del pianeta per effetto delle emissioni di CO2, tema questo al centro della transizione ecologica e di un nuovo rapporto fra uomo e natura. Il progressivo scioglimento dei ghiacciai alpini o la devastazione delle foreste nello spazio dolomitico prodotta dalla tempesta Vaia, ci raccontano come gli effetti nocivi del nostro modello di sviluppo si manifestino in forme sempre più evidenti e frequenti. Tutto questo richiede un intervento di cura contro ogni desertificazione e verso l’ambiente che misuri sistematicamente la riduzione della nostra impronta ecologica, che fermi la cementificazione di territorio e il consumo di suolo (che potrebbe essere arrestato subito completando l’iter legislativo per una norma sul tema), che qualifichi le produzioni agricole a partire dalla riduzione della presenza della chimica di sintesi e a sostegno dell’agroecologia, che ridia vita al territorio montano e alle sue attività peculiari e riservi particolare attenzione alle aree interne. Infine, un grande piano di riforestazione del pianeta deve prestare particolare attenzione al rimboschimento delle aree di pianura e urbane e al loro efficace mantenimento.

***

È questo un tempo di cambiamento che ci sproni a mettere in discussione i paradigmi che hanno informato l’idea di uno sviluppo senza limiti e una visione dell’uomo al centro dell’universo mondo. Che ci aiuti a osservare con altri occhi gli ecosistemi terrestri (terre alte, terre di pianura, terre d’acqua e terre metropolitane) per disegnare nuove geografie attraverso le quali leggere il nostro tempo e favorire efficienti connessioni. È quanto stiamo cercando di fare nell’edizione in corso di Terra Madre, malgrado l’impossibilità di riunire, com’era avvenuto nelle precedenti edizioni, migliaia di produttori provenienti da ogni parte del pianeta. Ma quegli occhi ci osservano e la grande occasione che si presenta all’Europa per cambiare rotta non può andare sprecata.

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