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Tre crisi e un’unica soluzione: la comunità.

Per farlo serve attivare capillarmente cittadini e cittadine restituendo spazi politici adeguati e moltiplicando le occasioni per mettere in relazione energie e competenze.

“La salvezza umana giace nelle mani dei creativi insoddisfatti” diceva Martin Luther King. Creatività, curiosità, passione unite a un certo tasso di inquietudine devono guidarci nell’uscita dalla tempesta in corso.

Come farlo? Conoscere. Coinvolgere. Connettere. Cooperare. Coprogettare. Costruire. Convivere.

Le città sono luoghi della biodiversità. In quest’ottica la partecipazione è chiave di lettura indispensabile per affrontare ogni tema. E’ il metodo – in prospettiva un’attitudine – per far sentire ognuno parte di un quadro più grande, di sintonizzare corpi e spirito, aspettative personali e visioni collettive.

E’ riformando e rafforzando le Circoscrizioni – non dimenticando le proposte fin qui emerse per armonizzare la vita di rioni e sobborghi – che vogliamo attivare le comunità e ricucire il tessuto sociale. Mettere al centro i quartieri significa distribuire funzioni – ascolto, proposta, co-progettazione e gestione di servizi – e competenze: cultura e commercio di prossimità, lavoro di cura e transizione ecologica. Per farlo servono volontà politica, il coinvolgimento di professionalità su cui investire con continuità e la pazienza di costruire le condizioni per un movimento cittadino in nome del Bene Comune.

Dobbiamo agire da vicino. Da vicino la città (con innesti di welfare comunitario) è più sicura perchè si occupa delle fragilità e delle paure, delle persone e dei loro bisogni primari. Ce lo conferma la disponibilità massiccia e puntiforme di centinaia di volontari e volontarie durante il recente lockdown, intervento che non dobbiamo ridurre a risposta emergenziale ma stabile e sistematico.

Da vicino (attraverso Piani Giovanili di Zona di nuova generazione e l’istituzione della figura del manager di territorio) la creatività e l’attivismo civico possono diventare la leva per scoprire vocazioni e intercettare innovazione culturale e sociale, fattori allo stesso tempo di ritrovata coesione e dinamismo imprenditoriale.

Da vicino le sfide planetarie per la difesa dell’ambiente diventano proposte concrete per una città a dimensione di cittadino. Ciclabilità e trasporto pubblico prendono il sopravvento sul traffico privato. La rigenerazione verde migliora la qualità dell’aria e della vita, rendendo più adattivo e resiliente il tessuto urbano. La costruzione di reti efficienti di distribuzione delle produzioni agricole locali (sincronizzando GAS, il progetto Nutrire Trento e i vari mercati contadini) rafforza l’ipotesi di una comunità orientata alla sostenibilità e alla cooperazione.

Da vicino le differenze spaventano meno. L’educazione alla cittadinanza globale non è un’ipotesi di studio ma pratica quotidiana di riconoscimento, ibridazione e aiuto. Quelli che un tempo chiamavamo nuovi-cittadini – 14mila uomini e donne, il 12% della popolazione cittadina – devono perdere quel prefisso che ne vorrebbe certificare la perenne temporaneità e diversità e diventare parte integrante – nelle istituzioni, nelle famiglie, nella quotidianità – di una Trento plurale e accogliente, coraggiosa e plurima.

Lo stesso deve avvenire per gli studenti universitari – altri 15mila cittadini e cittadine “a metà” -, non più intesi come corpo estraneo e ingombrante ma come linfa vitale dentro le vene di una città che gli ultimi dati Istat ci mostrano ancora un po’ più anziana e statica.

Futura (il cui programma riporta nel proprio capitolo 0 una proposta articolata e radicale sul come attivare la partecipazione) si muove da questa geografia delle prossimità e dei prossimi per guardare lontano.

Perché da vicino – se ci si prova – si possono fare davvero miracoli.

* da https://pontidivista.wordpress.com/

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