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Via Rutelli dal Pd? Bene, sono felice

di Alessandro Branz

Lo dico senza false ipocrisie: saluto positivamente l’uscita di Francesco Rutelli dal Partito democratico. Ritengo si tratti di un gesto politico importante e di grande significato. E’ una scelta che serve a fare chiarezza, che evidenzia ancora una volta l’impraticabilità della strategia veltroniana finalizzata a concepire il Pd come un partito in grado di conquistare autonomamente il centro dello spazio politico.

Si è insomma rivelata fallace l’idea di un partito «a vocazione maggioritaria’, al punto da non maturare una propria identità precisa, da affidarsi a un’organizzazione fluida, poco strutturata, l’unica ritenuta in grado di intercettare quell’elettorato mobile che altrimenti sarebbe andato perso. Rutelli, con il suo gesto ci ha fatto capire che la situazione è più complessa e articolata, che il «centro’, per essere riconoscibile, ha bisogno di una sua precisa identificazione e che, perciò, per ottenere un consenso non effimero servono anche in Italia proposte politiche chiare e partiti dotati di forte identità.

L’addio di Rutelli non è quindi una decisione improvvida e non è un caso che coincida con l’elezione di Bersani alla segreteria nazionale del Pd. Se riflettiamo un attimo, senza farci condizionare dalle apparenze, capiremmo infatti come non sia per nulla vero che l’uscita di Rutelli dal partito dipenda dalla circostanza che -come taluni osservatori tendono opportunisticamente a far credere- nel PD le varie culture non si siano integrate o, come s’usa dire, «contaminate’ (e quindi il progetto originario sia venuto meno). Fino a prova contraria, a sostegno di Bersani durante la campagna congressuale si sono schierati esponenti, soprattutto del mondo cattolico, appartenenti a filoni culturali diversi da quelli del futuro segretario.

Il punto dirimente è un altro: la proposta di Bersani intende dare un «senso’ preciso alla costruzione del partito, individuare una bussola, un obiettivo e un punto di approdo. Egli perciò non rinuncia alla prospettiva di dar vita ad un grande partito largamente rappresentativo della società italiana, a suo modo interclassista e «post-ideologico’, seppur fortemente ancorato ai ceti popolari. A differenza di chi l’ha preceduto, però, cerca di calare le «vecchie’ ideologie della sinistra (socialista, cattolica e liberale) in un progetto moderno che sappia interpretare e affrontare al meglio quanto si muove nella società italiana. Ciò sulla falsariga peraltro di quanto avviene in Europa, ove i grandi partiti socialdemocratici, pur in difficoltà nonché a corto di ricette certe e spendibili di fronte a una crisi economica per molti versi inedita, sono tuttora in campo, discutono, pronti a rimettersi in gioco nella convinzione che il tema del «lavoro’ sia pur sempre centrale e si tratti di una fase congiunturale non irreversibile.

Quella di Bersani è un’operazione difficile ed ambiziosa nella quale Rutelli evidentemente non si riconosce, ma che in qualche modo egli certifica con la sua uscita dal Pd. In tal senso la nascita di un’area di «centro’ forte e rappresentativa appare funzionale all’affermazione di una sinistra moderna e responsabile, profondamente calata nei problemi del ventunesimo secolo. Il che, come ho detto in diverse occasioni, non indebolisce ma rafforza l’ancora difettoso bipolarismo italiano, perché lo fa poggiare su basi solide e su partiti strutturati, come ci hanno insegnato le recenti elezioni in Germania.

Del resto, per contrastare efficacemente il populismo demagogico impersonato da Berlusconi serve una narrazione completamente «nuova’. Con due avvertenze, però. Prima: a differenza di quanto avviene per molti partiti centristi e moderati europei (si pensi, solo per fare un esempio, alla liberaldemocrazia tedesca), l’impostazione ideale e programmatica dell’ipotetico partito di «centro’ è ancora troppo ancorata alle radici cattoliche, quindi poco sensibile alla laicità e alle innovazioni sul terreno dei diritti civili. Secondo: le vicende locali non possono essere acriticamente paragonate a quelle nazionali, per quanto entrambe vedano in Lorenzo Dellai un protagonista comune. La situazione politica trentina presenta infatti alcune caratteristiche che la rendono peculiare, per certi versi anche più complessa di quella nazionale, in virtù di un quadro politico differente e soprattutto del ruolo centrale assolto dalle istituzioni autonomistiche e dalla stessa presidenza della Provincia. Basti citare, al riguardo, il peso del Partito autonomista trentino. 

Alessandro Branz,

assessore alla cultura del Comune di Sanzeno,

eletto nell’Assemblea provinciale del Pd del Trentino

 

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