Magari abbattere le statue è necessario…
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di Ali Rashid e Michele Nardelli
E“ difficile riassumere in un articolo tutta la gravità, banalità e follia contenuti nella volontà di Netanyahu e di una parte di Israele di colonizzare nuovi territori palestinesi.
Purtroppo questi tre elementi, gravità, banalità e follia rappresentano un minimo dominatore nella condotta di molte figure politiche che segnano questo tempo, compreso il presidente statunitense che si è auto nominato arbitro di un conflitto che storia, religione, futuro e una montagna di menzogne rendono molto complesso. Il nuovo libro del suo ex segretario per la sicurezza nazionale John Bolton mette in evidenza i sintomi di un eloquente dissesto psicologico suo e della sua cricca di uomini mediocri. La follia non è mai solo un fatto personale. Gli esempi sono infiniti e senza andare molto lontano! Naturalmente con conseguenze molto gravi.
In 70 anni di conflitto impari tra palestinesi e israeliani, la violazione di ogni forma di diritto e il processo di continua e graduale annessione territoriale sono stati un costante nella politica israeliana. Basta ricordare che lo Stato di Israele fu dichiarato nel 1948 sul 72% del territorio storico della Palestina, contro il 55% peraltro ingiustamente assegnato agli ebrei (Israele non era ancora nato) nella risoluzione181/novembre 1947 delle Nazioni Unite. Senza dimenticare che le proprietà ebraiche in Palestina allora erano meno del 5% della Palestina. E contro le indicazioni della medesima risoluzione venne espulsa la popolazione in uno dei primi casi di pulizia etnica nella storia della regione. Tale risoluzione condizionava inoltre la nascita di Israele a quella di uno stato palestinese che ancora non ha visto la luce.
Sicuramente molti non sanno che Israele è l“unico stato al mondo che non ha stabilito formalmente i suoi confini! L“espansionismo è una peculiarità intrinseca dello Stato di Israele, spalleggiato incondizionatamente dagli Stati Uniti ed in particolare dall“amministrazione Trump che negli ultimi anni di fatto ha cancellato ogni precedente negoziato.
Arrivando al piano Trump che Netanyahu intende porre in essere a partire dal 1 luglio 2020, va detto che i territori sui quali sono costruite le colonie ebraiche – considerate illegali dal diritto internazionale – sono già oggi sotto il controllo militare e amministrativo del governo israeliano insieme ad un 60% del territorio del Cisgiordania occupata nella guerra del 1967 (5.680 km quadrati, ovvero il 16% del territorio storico della Palestina). Queste colonie sono collegate con una rete autostradale che spezzetta la rimanente superficie della regione e la trasforma in piccole isole senza continuità territoriale. La maggiore parte della popolazione palestinese della valle del Giordano è stata espulsa e numerosi villaggi e singole abitazioni sono state distrutte. Lo stesso vale per le fertili aree agricole lungo il fiume Giordano, assegnate ai coloni ebrei insieme al controllo delle risorse idriche.
Il piano Trump prevede di ratificare con un atto solenne l’annessione di territori già annessi di fatto, oltre al riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele. Perché dunque questa ennesima provocazione che avrà come conseguenza una nuova recrudescenza del conflitto? Il motivo principale e di maggiore urgenza risiede nel fatto che Netanyahu, a rischio di finire in carcere per corruzione, doveva compattare a qualsiasi costo la destra israeliana e garantire a suo favore il voto dei quasi 700.000 coloni.
Anche il campo avversario di Netanyahu in Israele, consapevole dei rischi e delle conseguenze di questo atto, ha assunto (sempre per ragioni elettorali) questo indirizzo prima delle elezioni ma a condizione che venisse approvato e riconosciuto dall“amministrazione americana. In questo contesto lascia sgomenti la posizione del centro e di quello che resta della sinistra israeliana. La parte meno feroce e stolta dei coloni guarda agli esiti pratici dell’operazione e quanta possibilità di successo possa avere, ma completamente impermeabile alla questione dei valori e dei diritti umani nonché della natura dello stato in cui vivono e della mostruosità umanitaria che ogni giorno produce.
Il consenso statunitense all“annessione delle colonie ebraiche è stato già assicurato da Trump e da suo genero, il noto fondamentalista ebreo Jared Kushner, responsabile dell’attuazione del “piano di pace“ dello stesso Trump per il Medioriente, senza fissare tempi precisi all’operazione ma in un processo graduale. Mentre per quanto riguarda le valle del Giordano, il consenso americano pone dei rischi incalcolabili alla tenuta dei loro amici tra i regimi arabi e in modo particolare in Giordania. Il Re Abd Allh II ha infatti dichiarato che il suo paese si oppone a qualsiasi nuova annessione, minacciando di ritirarsi dall“accordo di pace firmato con Israele. Una posizione critica assunta anche dalla Lega dei paesi arabi, anche se va detto che i palestinesi hanno imparato a non tenere troppo in conto la loro parola.
L“aspetto fondamentale del piano israeliano/statunitense non è solo quello di annettere più o meno terre: l“obiettivo vero è di mettere una pietra tombale sul processo di pace e sugli accordi di Oslo del 1993. In buona sostanza, svuotarli nei contenuti e passare dall“idea di “due stati per due popoli“ nel rispetto di qualche parvenza di legalità internazionale, ad una situazione di palese ma non dichiarata apartheid e procedere ad una nuova pulizia etnica. L“Autorità Nazionale Palestinese in questo quadro dovrebbe svolgere la gestione amministrativa per conto del paese occupante, ma deprivata da ogni reale condizione di autogoverno. Un compito che nei fatti ha già svolto fin qui, compresa la vigilanza sulla sicurezza di Israele, con il risultato di perdere la sua dignità e il rispetto del suo popolo. I palestinesi nella loro maggioranza chiedono oggi lo scioglimento del ANP e di fare assumere ad Israele le sue responsabilità come potenza occupante di fronte alla comunità e al diritto internazionale.
Non siamo in presenza di una contesa tra due stati, ma di un’occupazione progressiva di territori in dispregio delle risoluzioni delle Nazioni Unite, dove l’asticella viene spostata unilateralmente dal governo israeliano per poi invitare a raggiungere un compromesso sempre più al ribasso.
Questo sarebbe l’esito del piano di Trump, un atto formale che legittima un crimine già in essere. E che spinge Israele verso una deriva fondamentalista: quella di uno stato etico, incompatibile con lo stato di diritto e dunque con la convivenza e la pace. Aggiungendo destabilizzazione ad una regione già lacerata. E che, al contrario, richiederebbe a tutte le parti di esplorare nuovi orizzonti, oltre il paradigma dello stato/nazione.
La vicenda storica della Mezzaluna fertile del Mediterraneo e la tragedia di un Novecento devastato nostro auspicio è la nascita di un grande movimento nonviolento oltre le appartenenze nazionali, un appello alla sensibilità e all’intelligenza delle tante persone di buona volontà, perché senza una nuova classe dirigente non fiorirà una prospettiva di pace.