Carrette del mare
Derive.
16 Ottobre 2018
Camalghe di Cadine
Serve un nuovo racconto
30 Ottobre 2018
Carrette del mare
Derive.
16 Ottobre 2018
Camalghe di Cadine
Serve un nuovo racconto
30 Ottobre 2018

Un tempo è finito. Riduzione del danno e nuovi scenari

“La maledizione di vivere tempi interessanti‘ (86)

di Michele Nardelli

Domenica prossima 21 ottobre si vota per il rinnovo del Consiglio della Provincia Autonoma di Trento e del Consiglio della Regione del Trentino Alto Adige / Süd Tirol. Sarà un passaggio molto delicato per questa nostra terra perché, stando alle previsioni, il Trentino potrebbe finire nelle mani dei partiti della paura e dell’egoismo sociale.

Spero che ciò non accada, ma non mi strapperò le vesti. Perché dobbiamo dirci lealmente e severamente che se l’anomalia trentina – il fatto che per venticinque anni questa terra sia stata l’unica regione dell’arco alpino a non divenire preda del berlusconismo e del leghismo – finirà in questo modo, sarà in primo luogo una nostra responsabilità.

Per la verità l’anomalia è finita da tempo. E non è solo l’esito di questa disgraziata legislatura, che pure ci ha messo del suo a partire da quel carico da novanta che è stato l’affossamento delle Comunità di Valle, il disegno strategico di spostamento dei poteri dalla PAT verso il territorio, scelta che avrebbe ben meritato l’aprirsi di una crisi politica nel centrosinistra autonomista.

L’anomalia trentina è stata minata da una crisi della politica ben più profonda, che è crisi dei corpi intermedi come di un’intera classe dirigente, nell’incapacità di interpretare i cambiamenti e di dar vita ad un nuovo disegno nel tempo della complessità improntato al fare meglio con meno e, insieme, l’esito dello sfarinarsi di un blocco sociale del quale l’anomalia era nel bene e nel male espressione.

Ed invece inadeguatezza del pensiero e dirigismo, insieme alla convinzione che la catena del consenso basata sul collateralismo di sindaci e poteri locali, della cooperazione e delle organizzazioni di categoria fosse inossidabile, hanno fatto smarrire la visione d’insieme, reso fragile la coesione sociale, marginalizzato lo spirito critico.

Anche le cose migliori realizzate nel corso delle passate legislature si sono infrante nell’incapacità di far crescere e rendere consapevole la nostra comunità. Così persino una pianificazione urbanistica attenta al territorio è stata vissuta come un’intrusione verso il dispiegarsi del libero mercato, la nascita delle Comunità di Valle (e la contestuale eliminazione dei Comprensori) come un’impalcatura burocratica che toglieva potere ai Comuni, l’autonomia scolastica come l’assunzione di eccessive responsabilità. Persino un inedito progetto di integrazione fra lavoro e ambiente come il “Progettone“, che ha permesso di accompagnare fin dalla seconda metà degli anni ’80 migliaia di lavoratori in età avanzata espulsi dall’industria verso la pensione, è stato spesso gestito – e dunque vissuto – come un umiliante parcheggio di natura assistenzialistica.

Malgrado io stesso non mi rendessi conto a pieno della gravità di questa crisi, avevo posto per tempo la questione di un rilancio culturale prima ancora che politico della coalizione di governo (ne fanno testo le riflessioni su questo blog e i miei interventi in Consiglio Provinciale durante la XIV legislatura), rimanendo però sostanzialmente inascoltato.

Crisi di visione, dunque. La necessità era quella di un cambio dei paradigmi di riferimento e di conseguenza di una politica che mettesse al centro la cultura del limite, nel riconsiderare i risultati dell’autonomia in un quadro più ampio di responsabilità a partire dalla nostra impronta ecologica, ben più pesante di quanto potremmo permetterci anche in Trentino. Un’insostenibilità che avrebbe richiesto uno scarto culturale della nostra comunità, fin dentro la vita quotidiana delle persone. Credo che il nodo abiti proprio qui. Perché è stata proprio l’avversione a questo cambio a far sì che l’incertezza verso il futuro si trasformasse nel prima noi.

E crisi di visionari, laddove la politica ha smesso di pensare e tutto è stato ridotto al proprio destino personale, rincorrendo un’agenda più attenta al consenso (e alle emergenze) piuttosto che alle sfide del tempo. Un’inadeguatezza diffusa perché di fronte a scenari nuovi occorreva una classe dirigente all’altezza, servivano luoghi formativi, corpi intermedi in grado di sfornare persone preparate e dotate di spirito critico, non yes men.

Si è preferito invece procedere ad una progressiva omologazione della politica trentina al quadro nazionale, nella convinzione che il modello di riferimento dovesse essere quello maggioritario e fortemente personalizzato, rincorrendo gli umori senza comprendere che il vento della paura ci avrebbe travolti, con l’esito che stiamo vedendo.

Tanto che, crollato quel quadro, ci si è trovati anche in Trentino in balia del vento che soffia in ogni angolo d’Europa privi dei necessari anticorpi culturali e politici, dove pure credevamo di aver sviluppato un tessuto capace di metterci al riparo dalle derive dell’egoismo. Invece non era così.

Un tempo è finito. E quando questo accade è necessario averne coscienza, elaborarne i motivi, cercare altre cornici e delineare nuovi contenuti. Per questo serve un salto di paradigma, non riproporre vecchie litanie improntate sulla crescita, sul rilancio dei consumi, sulla difesa dei nostri stili di vita e di un’idea di sicurezza fondata sull’esclusione. E nemmeno vecchi schemi politici. In fondo, anche le sconfitte possono rappresentare un nuovo punto di partenza. Purché non si cerchino alibi accomodanti.

Nel precedente commento in questa rubrica tempi interessanti chiudevo la mia riflessione auspicando, per quanto possibile, una riduzione del danno. In queste settimane – assistendo all’ingloriosa fine del centrosinistra autonomista – mi sono continuamente interrogato su come tradurre queste parole, spostando di volta in volta l’asticella più in basso. Fino a convincermi che in questa tornata elettorale riduzione del danno per me vorrà dire votare delle persone che sapranno rimboccarsi le maniche in un contesto mutato, predisponendosi ad imparare dalle lezioni.

Perché questa sarà, quale che sia l’esito del voto di domenica, la condizione da cui ripartire per delineare un nuovo profilo, culturale prima ancora che politico, per questa terra.

11 Comments

  1. Pietrosa ha detto:

    Anch’io sono per un voto che crei il minor danno, saranno poi capaci i vincitori che noi auspichiamo di unire le forze per accantonare l’individualismo e lavorare per il bene comune?
    Quali saranno? Dovranno avere la capacità di ascoltarsi, scegliere, decidere su punti essenziali per ricomporre una comunità che non guardi i propri piedi ma avanti a se per vedere gli altri e motivarli ad essere partecipi del bene comune.
    .

  2. Cristina Furlani ha detto:

    In genere non guardo mai indietro, ma ora mi prende una certa nostalgia per l’ottobre 2008 … Grazie Michele Nardelli per questa riflessione

  3. gigi ha detto:

    “Crisi di visione” , “Necessità di un cambio dei paradigmi di riferimento”. Condivido! [Devo però dire che, in minor o maggior misura, è sempre così e che soltanto nel costante ! e progressivo avanzamento culturale si trova l’antidoto] Oggi, la necessità è drammatica. Purtroppo, in un tempo condizionato dal “fare meglio con meno”, è oggettivamente difficile incontrare operatività ispirata. E’ più facile è che predomini l’emergenza con tutto il pericolo di decadimento che ne consegue. Nutro anch’io i dubbi di Pietrosa che pur trovando le Persone queste siano poi in grado di unire le forze. Temo che ci voglia di più, un apporto anche dei non eletti.

  4. Paolo Forno ha detto:

    Non avresti potuto interpretare meglio il mio pensiero.
    Un caro saluto

  5. Vincenzo Calì ha detto:

    Caro Michele, ho letto. La sinistra, che a livello nazionale ha toccato il punto più basso della sua storia repubblicana, non potrà che uscire doppiamente sconfitta da queste elezioni regionali. Dovrà giocoforza nascere un movimento “22 ottobre” per la rinascita in Trentino di una sinistra europea e federalsta; troppo grande è il distacco che si è andato creando fra dirigenti e popolo, come incolmabile è il vuoto di cultura autonomstica nella coscienza dei cittadini che il dilagare dei “sovranismi” ha messo in luce. Sono uscito, da una serata alle Acli fra LE FORZE POLITICHE IMPEGNATE NELLA CAMPAGNA ELETTORALE durante la quale Marcello Farina ha richiamato i punti salienti dell’ultima enciclica papale, convinto che con logiche di parte non si potranno risolvere i gravi problemi “glocal” che abbiamo davanti; rimboccarsi le maniche collettivamente è l’unica risposta possibile.

  6. Lorenzo Dellai ha detto:

    Penetrante come sempre. Forse smisuratamente severo con chi questa anomalia la ha comunque difesa…. Ma una buona base di riflessione per il futuro. L.

  7. Diego Cason ha detto:

    Letto e condiviso con gli amici del Bard. Prima di sapere l’esito delle elezioni odierne. Che a fare i profeti a cose avvenute son capaci tutti.

    Dobbiamo parlarci. Ciao Diego

  8. Claudio Filippi ha detto:

    Analisi perfetta, lucida e spietata, ma fa davvero incazzare che sia stata così poco ascoltata. Un abbraccio

  9. Milu ha detto:

    Grande sofferenza nel leggere queste interessanti righe.
    La mia terra, il Cadore provincia non autonoma di Belluno, sta subendo da anni l’incapacità di produrre azioni atte a rendere vivibili i territori creando economia = reddito.
    Il dramma è che i sindaci del territorio, nonostante siano consapevoli della necessità di cambiare marcia, non riescono a trovare soluzioni idonee. Una disperazione continua. Intanto lo stillicidio spostandosi verso il fondo valle continua.
    Diego Cason

  10. luca lietti ha detto:

    Ciao Michele, dentro la tua riflessione “trentina” ci leggo la crisi dell'”anomalia della sinistra italiana”, il progressivo distacco sia dalla realtà sia dalla fantasia (soprattutto da questa), in un tempo che non ci dà il tempo di approfondire, sperimentare e capire fino in fondo quasi nulla, in un confuso zapping di stimoli/emergenze/amori e odi di immediato consumo.
    Un abbraccio,
    Luca

  11. Emiliano Faccio ha detto:

    Analisi icastica dello status in cui langue la Politica e a livello nazionale e a quello locale. Condivido l’esigenza di “riprofilare” culturalmente ancorché politicamente la Nostra Terra. D’altronde Cultura e Politica sono collegate in rapporto sinolico et indissolubile come massima espressione dell’agire umano. Il fatto che da tempo ormai (per esercitare comunque un diritto guadagnato col sangue dei Nostri Padri) siamo costretti, nostro malgrado, a votare scegliendo il male minore, la dice lunga sulla annosa crisi che attanaglia la Politica. Forse è andato smarrito il significato che tale termine aveva in origine. Il Politikos di aristotelica memoria, colui che votato dal demos si spendeva gratuitamente e pro tempore per il Bene della Polis (nulla più) è diventato solo uno dei tanti loci amoeni dispersi in qualche tomo ormai ammuffito et impolverato su in soffitta: roba da filosofi. Eppure senza il tempo dedicato alla lettura, allo studio, alla ricerca, a saziare la sana curiositas, riscoprendo la meraviglia delle origini, alla dialettica come scambio costruttivo et elettivo grazie all’Altro, con sacrificio, costanza, pazienza (in una parola ormai vetusta: temperanza) e rispetto per il Diverso, la Cultura langue, s’isterilisce e brevi tempore muore. La Cultura come conoscenza attiva e non erudizione fine a se stessa consente un criticismo positivo e costruttivo perché apre gli orizzonti e amplia l’augenblick che del mondo abbiamo. Oggi, probabilmente e per tutta una serie di motivi, il livello culturale si è abbassato e quindi anche la Politica ha ceduto il passo e con esso il testimonio alla politica che non avendo più saldo retroterra culturale e consapevolezza delle proprie nobili e sacre origini si è trasformata in mero strumento per arricchirsi e per sostentare un clientelismo ormai radicato e opulento che sostiene per autosostentarsi, che dà per ricevere. D’altra parte più si abbassa il livello culturale e più si perde il contatto con la storia e la tradizione diventando anfore di terracotta, fragili, vuote e in piena crisi identitaria, pronte come è successo e sta avvenendo per essere riempite con le mode del momento. Grazie Michele per gli innumerevoli stimoli profusi.