Vogliamo cambiare l’ordine delle cose
5 Dicembre 2017Marino Vocci, uomo di confine
14 Dicembre 2017Non è all’ordine del giorno la revisione dello Statuto ma dobbiamo riuscire a trovare un orizzonte che mantenga la cornice regionale (il frame dell’accordo De Gasperi – Gruber) proiettandola nel contesto nazionale ed europeo. Non mi preoccupa il deficit di ricchezza rispetto al Südtirol, né il differenziale competitivo, piuttosto il fatto che ci siamo trovati più a rimorchio dell’iniziativa della SVP, che protagonisti. E il fallimento dei processi partecipativi nasce dalla mancanza di un orizzonte politico condiviso a partire dalla Regione, della quale abbiamo bisogno per tutelare la specialità ma anche per indicare che è possibile fare massa critica legando i nostri destini e lanciando la sfida al centralismo nazionale e all’incertezza europea. Ma occorre uscire da questa passività e la dipendenza del Patt dalla Svp alla fine non aiuta.
L’autonomia: un altro sviluppo è possibile
Un Patto per l’Autonomia è necessario non solo per rinsaldare la coalizione e per estenderla, ma sopratutto per rilanciare l’Autonomia stessa come patrimonio di tutta la Comunità e non solo delle sue istituzioni. Occorre condividere il valore di quello che abbiamo e il rischio di perderlo, ma occorre anche condividere un processo di rigenerazione dell’Autonomia che non sia attenta solo alle risorse e alle competenze ma anche al progetto di Comunità che la sottende.
A22 e Energia Idroelettrica sono importanti ma non bastano, dobbiamo usare queste risorse rispettandone il limite e indicando virtuosamente una sostenibilità come nuovo modello di sviluppo rispetto al fallimento di quello prevalente. Mobilità ed energia sono prove decisive e ci vuole minor incertezza di quella manifestata sulla Valdastico o sulla ferrovia.
L’autonomia è solidarietà
Sono rimasto colpito dal dibattito sull’Assegno Unico che oltre a non essere capito è stato visto come manifestazione di abbondanza di risorse più che di uso intelligente delle stesse. Dobbiamo toglierci questa etichetta, che quello che facciamo lo facciamo perché siamo privilegiati e non perché siamo anche responsabili e solidali.
La cooperazione, l’Agenzia del lavoro, le risorse del volontariato, non le abbiamo perché c’è grasso che cola, ma perché c’è anche chi vede l’Autonomia come possibilità di dare una risposta alle due società, quella dei privilegiati e quella degli esclusi, accomunando i destini di chi ha opportunità e di chi oggi non avendone le può trovare in una Comunità autonoma.
Ma la cooperazione deve segnare la differenza non essere solo tentativo di impresa, perché è nata per far uscire i contadini dalla miseria, per riconoscerne saperi e lavoro di un territorio costruendo coesione. E le politiche sociali non possono essere solo protezione ma anche cittadinanza attiva, lavoro e cura.
L’autonomia come autogoverno
Le ultime due legislature sembrano aver rinunciato ai progetti di riforma, e si è tornati indietro su quella istituzionale. Non basta contenere la spesa con le fusioni dei Comuni, ci vuole un governo responsabile e condiviso dei territori, un nuovo Statuto dovrebbe rinunciare all’eccesso di centralismo provinciale e alla tendenza ad accentrare tutto, scommettere piuttosto sulla sussidiarietà per valorizzare diversità e qualità. E anche per far crescere la consapevolezza, che può esserci solo se tutti sono chiamati a condividere la gestione dell’Autonomia.
L’autonomia come capacità di cambiare
Riempire le botti di acqua per far quadrare i conti è un vizio diffuso come quello di non svalutare i crediti inesigibili, come quello di trovare i soldi per salvare gli impianti sciistici solo quando si tratta di impedire un progetto alternativo.
Non dobbiamo nasconderci che qualcosa ci manca e manca anche a noi l’efficienza che non va confusa con la riduzione del costo del lavoro e della qualità. Possiamo pretendere di più, innanzitutto dalla classe politica e da quella dirigente, pubblica e privata (perché il deficit con Bolzano mica dipende dalla pubblica amministrazione ma anche dall’arretratezza dei settori economici e delle loro categorie), ma anche dalla pubblica amministrazione che deve fare meglio quello che fa, che sia una gara pubblica o la gestione dell’Itea, una pratica amministrativa che riconosca l’innovazione o un intervento sociale… sprecando di meno il bene pubblico, individuando le vere priorità. E puntando sulle eccellenze come traino non come concentrazione di status e ricchezza.
Un patto per l’Autonomia
La coalizione di centrosinistra autonomista dovrebbe definire i contenuti di questo patto sia come futuro dell’Autonomia, sia come strategia per affrontare il presente politico a partire dalle elezioni politiche, nella cooperazione con la Provincia di Bolzano, e presentandosi al Trentino aperti al confronto sui contenuti e sui partecipanti al patto, ma con un comune obiettivo di governo per il 2018.
Perché il patto per l’Autonomia non è solo un accordo elettorale ma è un patto con la Comunità trentina, che va condiviso perché anche una buona amministrazione può essere travolta se non trova tensione ideale, chiarezza di obiettivi e personale politico adeguato.
C’è bisogno di un’apertura totale a tutte le componenti sociali che in Trentino, sebbene ai margini o lontane dai partiti, stanno comunque lavorando per poter conservare il valore aggiunto di questa Comunità. E questa apertura si deve mostrare anche con candidature che ne siano espressione coerente.
Perché se si vuole arginare il processo che sta restaurando in Europa autoritarismi, nazionalismi e chiusure dei confini, ci vuole la consapevolezza della differenza che corre tra autonomia responsabile e solidale e chiusura identitaria, tra patrimonio civico di una Comunità e rivendicazione di cassa, e bisogna fare di questa differenza un progetto di governo che sia capace anche di riformare le proprie istituzioni senza smarrirne il valore.