«Il monito della ninfea» al Premio Leggimontagna 2020
17 Ottobre 2020Perché l’eccezione è diventata regola: un libro “glocal” per comprendere le calamità
21 Ottobre 2020I cileni sono un popolo mezzo sangue – né indigeno come in Bolivia né euro-discendente come Uruguay o Argentina – che ha aumentato rapidamente le proprie condizioni di vita dal ritorno alla democrazia nel 1990. Oggi fa parte del club dei paesi ricchi OCSE e ha un reddito pro-capite di circa 24mila$, la soglia attorno alla quale un paese si considera di reddito medio, ma le diseguaglianze sono profonde: il 75% dei lavoratori guadagna meno di 700$ al mese e la pensione media è di 300$. Per tutti gli anni ‘90, il Cile ha davvero sognato di toccare il cielo con un dito. Il sogno si materializzava in consumi di massa: televisioni, case, auto, assicurazioni sanitarie, università per i figli e vacanze, grazie a un sistema di credito al consumo che ha permesso anche alle classi più umili di consumare al di sopra delle proprie possibilità. Così è nata la bolla dell’iper-indebitamento per la quale la famiglia media cilena ha un debito di circa il 75% del proprio reddito. Con il rallentamento della crescita mondiale, il peso del debito è aumentato e si è rotta l’idea di un futuro migliore. La disuguaglianza tra ricchi e poveri si riconosce anche dal diverso sguardo sul futuro. Le élite cilene hanno sempre a disposizione opportunità personali o di corporazione, mentre i ceti popolari senza aspirazioni collettive e gravati dal peso del debito sono spinti verso l’impoverimento. L’uguaglianza materiale è una delle basi su cui poggia la domanda popolare per una nuova Costituzione.
“Ci trattano come consumatori, non come cittadini” spiega Claudia Heiss, direttrice del corso di Scienza Politica della Universidad de Chile. La frustrazione è forte soprattutto nei giovani professionisti, cresciuti con la democrazia, che non hanno conosciuto la povertà né la dittatura, e hanno creduto alla promessa della meritocrazia: ‘sei padrone del tuo destino, dipende tutto da te’. Sono “l’eroe sconfitto del paese. Lavorano in cose diverse per quelle per cui hanno studiato, si sono rassegnati a un futuro più piccolo di quello che avevano sognato” li descrive il sociologo Manuel Canales.
C’è una canzone che risuona spesso nelle manifestazioni e racconta la delusione delle promesse tradite:
Da bambini ci dicevano
‘giocate a studiare
gli uomini sono fratelli e insieme devono lavorare’
ascoltavo quei consigli
E non fu tanto vero, perché alla fine
alcuni terminarono con allori e futuro
e i miei amici prendendo a calci le pietre.
Ad alcuni insegnarono
segreti che a te no
ad altri diedero questa cosa chiamata educazione
chiedevano sforzo e dedizione
E perchè?
Per finire a ballare e prendere a calci le pietre.
“I giovani professionisti frustrati sono la coscienza sociale del movimento popolare del 2019” continua Caneles, che ha promosso dei taller di ricerca su questo segmento di popolazione. Hanno studiato, affogano nei debiti per pagarsi la laurea, ma è grazie all’educazione se parlano il linguaggio della scienza e della legge, grazie all’educazione hanno preso coscienza dell’ingiustizia di una società dove le relazioni contano più di titoli di studio e sacrifici. E con la protesta del 2019 hanno realizzato che il loro malessere non è un fallimento individuale, ma un fatto collettivo. La protesta li ha liberati dal senso di colpa, da debitori sono diventati creditori, chiedono indietro le promesse tradite. “Abbiamo aperto gli occhi”, “ci siamo tolti la benda” spiegano al gruppo di ricerca di Caneles. La teoria neoliberista, di cui è impregnata la Costituzione vigente e la società, non è stata sostituita da un’ideologia diversa. Ma qualcosa è cambiato, si è liberata un’energia, una forza di cooperazione, come nel caso delle ollas comunes, i pasti organizzati dai vicini durante la quarantena. C’è rabbia e c’è speranza in questi giovani professionisti, conclude la ricerca di Canales.
Chi è odiato, inizia ad odiare
Il 18 ottobre dello scorso anno una ragazza saltò il tornello della metro, poi un altro. Protestavano contro un aumento di 3 centesimi di euro del biglietto del trasporto pubblico, la goccia che fece trabbocare un vaso colmo di risentimenti e frustrazioni. Si diffuse l’evasione massiva in decine di stazioni metro di Santiago, seguì la repressione delle forze dell’ordine e il coprifuoco che richiamò alla memoria i tempi bui della dittatura. Poi la reazione: il 25 ottobre 2019 si svolse la marcha más grande de Chile a Plaza Baquedano, da allora ribattezzata Plaza Dignidad. E oggi siamo a una settimana dal referendum che può aprire una nuova pagina nella storia del paese. Ne è passata di acqua sotto i ponti. E da un ponte sul Mapocho, il fiume color terra che attraversa Santiago, è volato giù A.A., 16 anni, mentre stava partecipando alle proteste del 2 ottobre 2020. Video e foto che riempiono il web mostrano chiaramente un carabiniere che solleva il ragazzo dalla cintura e lo butta giù dal ponte. Il carabiniere Sebastián Zamora, 22 anni, individuato grazie al numero di riconoscimento sul casco, è stato posto in fermo preventivo, con l’accusa di tentato omicidio. Il ragazzo è stabile in ospedale, in stato di detenzione, accusato di disturbi durante le proteste.
Nella giornata di oggi sono previste manifestazioni in tutto il paese. Il clima è teso. I soli carabinieri hanno schierato 40mila uomini, quasi la totalità del personale. Il corpo dei carabinieri sta vivendo una profonda crisi di legittimità, da più parti si chiede una riforma dell’istituzione, la quale -nelle parole di un ex ministro dell’interno – si governa da sola da anni. Negli anni si sono susseguiti scandali di corruzione, inquinamento delle prove, abusi di potere, violenze sproporzionate. Solo nell’ultimo anno: 460 feriti oculari per proiettili di gomma o bombe lacrimogene, secondo i dati dell’Istituto Nazionale Diritti Umani. Tra loro, la fotoreporter Nicole Kramm, che ha perso l’occhio sinistro raggiungendo Plaza Dignidad per festeggiare il Capodanno 2020 e racconta la sua storia e quella degli altri feriti oculari in questo terribile fotoreportage. Una delle tante scritte sui muri di Santiago recita: In Cile la dignità costa un occhio della testa.
“L’alto comando dei Carabinieri si comporta come un’istituzione autarchica, guidata da logiche tribali, in conflitto con la società, non al servizio di essa. Occultare prove di azioni delittuose, negare fatti evidenti, dare la colpa ad altri è un tic nervoso che mostra la degenerazione di un’istituzione incapace di autoriformarsi” scrive il giornalista Daniel Matamala.
La violenta repressione delle forze dell’ordine si accompagna con le azioni di resistenza della primera línea, l’avanguardia delle manifestazioni, composta da giovanissimi che costruiscono barricate, affrontano le forze dell’ordine con pietre, fionde e si difendono con caschi e scudi di plastica. Molti di loro provengono da uno dei più grandi fallimenti delle politiche pubbliche cilene, il Sename, Sistema Nazionale dei Minori, che dovrebbe prendersi cura dei minori soli. E si è rivelato per essere un inferno in terra: violenze sessuali, adozioni illegali, vendita di organi. Chi entra al Sename è condannato a una vita di marginalità, dalla quale è quasi impossibile venir fuori. Una parte di questi ragazzi ha trovato nella primera línea un luogo di rappresentanza, scrive la giornalista Carolina Rojas. “Ragazzini cresciuti nella violenza si esprimono con il linguaggio della violenza, impossibile chiedergli un elenco delle riforme urgenti per il paese” afferma la politologa Javiera Arce. E oggi saranno in piazza anche loro.
La grande maggioranza dei manifestanti è assolutamente pacifica, intendiamoci, ma tra alcuni di loro vi è un sentimento di tolleranza della violenza della primera línea. “Ci proteggono dai carabineros, permettono a tutti di poter manifestare pacificamente” racconta Marcia, manifestante in Plaza Dignidad.
Chi è odiato, inizia a odiare a sua volta, scriveva Pasolini. C’è una parte di popolazione che disprezza i carabinieri e il senso di impunità che li protegge da ogni responsabilità legale. E viceversa, i carabinieri si sentono odiati e assediati. E’ questa spirale di odio, a mio giudizio, una delle chiavi per interpretare la violenza che esplode nelle manifestazioni, oltre la semplificazione “manifestanti buoni vs cattivi” e le critiche sull’utilità politica della violenza.
E a proposito di valenza politica della violenza, due giorni fa un’inchiesta della rivista CIPER, ha svelato il tentativo di un poliziotto infiltrato di convincere un gruppo di manifestanti ad assaltare il commissariato di un quartiere. ‘Chi beneficia di questa violenza?’ si chiede il sindaco di Recoleta, Daniel Jadue, commentando la notizia di CIPER.
Come funziona il processo costituente?
Il cammino verso la nuova Costituzione prevede sia la partecipazione popolare con due referendum, sia un accordo per maggioranza qualificate tra élite. Nel primo voto popolare, previsto per domenica 25 ottobre, i cileni che si recheranno alle urne riceveranno due schede. La prima per scegliere se si vuole o meno una nuova Costituzione; la seconda per scegliere quale organismo debba redigere il nuovo testo: se un’assemblea mista – per metà eletta e per metà composta da parlamentari in carica – o un’assemblea costituente.
L’assemblea, qualunque forma abbia, avrà perfetta parità di genere e da 9 a 12 mesi di tempo per presentare una proposta di nuova costituzione, la quale deve essere approvata in ogni suo capitolo da almeno 2/3 dell’organismo. Non vi è un voto finale, il che riduce il potere di veto della minoranza. Il testo così approvato verrà sottoposto a un referendum di uscita, nel quale i cileni dovranno votare per approvarlo o respingerlo. Nel caso in cui non venisse promulgato, rimarrebbe in vigore la costituzione vigente. Diversi commentatori escludono l’ipotesi che la destra possa fare ostruzionismo per tutta la durata del processo per difendere lo status quo, poiché ciò aumenterebbe il periodo di incertezza che vive il paese e anche perché esiste una parte, seppure minoritaria, della destra a favore della riforma.
Per oggi è davvero tutto. Ci sentiamo alla prossima, con i risultati del voto.