Tangentopoli, trent’anni dopo.
20 Febbraio 2022Preparare la pace
15 Aprile 2022“La maledizione di vivere tempi interessanti‘ (120)
di Michele Nardelli
“Un soldato nell’antica Bassora, pieno di paura, andò dal suo re e gli disse: “Salvami, sovrano, fammi fuggire di qua. Ero nella piazza del mercato e ho incontrato la Morte vestita di nero, che mi ha guardato con malignità. Prestami il tuo cavallo così che possa correre fino a Samarra. Temo per la mia vita a restare qua“. – “Dategli il miglior destriero“, disse il sovrano, “figlio del lampo, degno di un re“.
Più tardi il re incontrò la Morte in città e le disse: “Il mio soldato era molto impaurito. Mi ha detto che ti ha incontrato oggi al mercato e che lo guardavi con malignità“. – “Oh no“ rispose la Morte, “Il mio era solamente uno sguardo stupito perché non sapevo cosa facesse oggi qua, dato che lo aspettavo per stanotte a Samarra. Stamani ne era lontanissimo“.
Forse c’è una Samarra anche nel nostro destino di uomini. Infatti, precipitandosi a risolvere i problemi immediati, confidando nel potere taumaturgico di nuove tecnologie, tutti impegnati nella scelta del destriero più veloce, speriamo di non essere già avviati sulla strada di Samarra, dove saremo sopraffatti da problemi fondamentali, che non saremo più in grado di superare.
La nostra cultura economica e sociale è tutta interna alla logica della ricerca del cavallo per arrivare a Samarra, della tecnologia per risolvere un problema di oggi, senza preoccuparsi se la risoluzione di quel problema va nella direzione di aumentare i problemi per l’umanità, di avvicinare il momento dell’esaurimento delle risorse, di mettere in moto un meccanismo senza ritorno di danni irreparabili alla biosfera, all’ambiente necessario per sopravvivere. In fondo alla strada della crescita senza limiti, della fiducia cieca nella tecnologia ci può essere quindi una Samarra che ci aspetta.
Guardando bene la globalità e l’interdipendenza delle cose e misurando con i tempi della biologia, molto più lunghi di quelli della storia conosciuta, si nota con chiarezza che l’umanità è arrivata in questi ultimi anni, per la prima volta, a un bivio da cui possono partire molte strade per Samarra.‘
Questo è l’incipt del primo capitolo “Il cavallo di Samarra“ di un libro fondamentale scritto da Enzo Tiezzi e uscito in prima edizione nel 1984 e in seconda edizione con una nuova introduzione nel 2001, intitolato Tempi storici, tempi biologici (Donzelli editore).
Non vi nascondo che rileggere queste pagine trentotto anni dopo la loro uscita mi ha riempito di emozione e fatto rivivere alcuni tratti cruciali del mio percorso di ricerca politico culturale.
In primo luogo, nel riconoscere la lungimiranza profetica di Enzo Tiezzi, uno dei venticinque scienziati padri dello sviluppo sostenibile, e il valore del suo impegno nella formazione, nell’ambientalismo e nell’azione politica1. Porre fin dagli anni ’70 il tema del progressivo rovesciarsi del tradizionale rapporto fra tempi storici (quelli che investono le nostre vite) e tempi biologici (che procedono per millenni), e la necessità di far irrompere il concetto di limite nel dibattito pubblico, ha rappresentato un contributo di valore straordinario.
Va poi ricordato che in questo percorso di ricerca Tiezzi non era solo, era parte di una comunità di pensiero che sin dall’uscita del primo Rapporto del Club di Roma sui limiti dello sviluppo cercò di far vivere nella coscienza diffusa un diverso approccio allo sviluppo. “Il punto fondamentale – scrive Tiezzi – è che la crescita si deve fermare‘. Parlava della crescita demografica come della desertificazione, del consumismo come delle alterazioni climatiche, dell’inquinamento come del nucleare militare e civile. Un pensiero la cui portata è oggi più che mai decisiva, malgrado fatichi a trovare cittadinanza nel panorama politico italiano.
Un terzo motivo di emozione investe più da vicino il percorso politico che insieme ad altri ho condiviso. Con questa comunità, di cui facevano parte, oltre a Enzo Tiezzi, personaggi dell’ambientalismo italiano come Virginio Bettini, Laura Conti, Fabrizio Giovenale, Gianni Mattioli, Massimo Scalia, Gianni Tamino ed altri, proprio negli anni ’80 iniziò un dialogo politico che incise profondamente nell’elaborazione più originale di Democrazia Proletaria. Erano gli anni della mia partecipazione alla segreteria nazionale di DP e quel dialogo – per nulla facile né scontato – approdò nelle tesi per il congresso di Palermo (1986) e nel percorso che ne seguì: il tentativo di portare a sintesi ecologismo, cultura della nonviolenza, femminismo, cultura libertaria, federalismo con il più tradizionale filone dell’operaismo. Ne nacquero importanti iniziative come ad esempio il primo referendum contro il nucleare (1987), vinto malgrado l’opposizione della quasi totalità dei partiti dell’arco costituzionale2.
Prendemmo consapevolezza di quanto fosse necessario discutere non soltanto dei rapporti di produzione, ma il cosa produrre, il come, il dove e il quanto produrre. Discussione spesso lacerante nella sinistra e nel movimento sindacale perché poneva un terreno inedito nel quale s’intrecciavano istanze di emancipazione e di liberazione (il nucleare implicava un’idea di società, così come le fabbriche d’armi o l’industria chimica…) e richiedeva un salto culturale che investiva in pieno l’idea di futuro.
Un percorso di ricerca che purtroppo (almeno per quanto riguardò quell’esperienza politica) s’infranse nella polarizzazione fra verdi-arcobaleno e neocomunisti proprio in un passaggio cruciale della storia contemporanea. Qualcuno la proseguì per altre strade: nelle ore in cui cadeva il muro di Berlino in Trentino nacque Solidarietà. “L’agile mangusta“3, metafora sulla quale ironizzavo anche allora, avrebbe forse dovuto raccontarci anche di un’altra storia.
Decisivi sono i nodi posti con l’uscita di Tempi storici, tempi biologici e più in generale dall’irrompere di “una visione globale biologica del pianeta“ nel dibattito pubblico, come grande è l’amarezza per una cultura politica ancora ferma alle magnifiche sorti e progressive dello sviluppo. Che non sa mettersi in discussione tanto è vero che, anche recentemente, un intellettuale come Aldo Schiavone (già direttore dell’Istituto Gramsci) ha riproposto nel suo “Progresso“4 l’immagine della freccia inarrestabile che, malgrado gli incidenti della storia, procede imperterrita la sua traiettoria affermando il dominio dell’uomo sulla natura. Una cultura antropocentrica ed estranea ad alcune delle leggi fondamentali della fisica. Ricordo l’insistenza con cui l’amico Francesco Prezzi parlava nelle nostre riunioni del secondo principio della termodinamica, di quell’entropia che metteva l’umanità di fronte al concetto di limite. Una sorta di eresia che, nonostante tutto quel che accade, è ancora tale.
C’è un ultimo motivo per cui le parole di Tiezzi mi hanno emozionato. La leggenda del cavallo di Samarra, se ci pensate, è il monito della ninfea.
“Da qui in avanti
il momento in cui fermarsi è più facile è ORA.
Ora è più difficile di ieri,
ma è più facile di domani.
Ora è più difficile che un anno fa,
ma è più facile che tra un anno.‘
Laura Conti
1Venne eletto deputato nel 1987 nelle liste del PCI e aderì al Gruppo della Sinistra Indipendente
2Ho un ricordo particolare di quando, all’alba del 26 aprile 1986 (poche settimane prima del voto referendario), organizzammo come DP la catena umana che circondò la centrale nucleare di Caorso, già in funzione da mesi.
3Mi riferisco al libro di Alfio Nicotra “L’agile mangusta“, Edizioni Alegre, 2021. A proposito di quella metafora, vorrei ricordare che le ragioni che portarono a sfiduciare Mario Capanna come segretario di DP risiedevano proprio nel suo non rappresentare la complessità della ricerca in corso, a fronte di un’immagine subalterna che collocava DP come paracarro verso il deragliamento del PCI.
4Aldo Schiavone, Progresso. Il Mulino, 2020