5 Marzo 2018

Oggi è sabato, domani è domenica *

di Michele Nardelli

(3 marzo 2018) Le previsioni del tempo indicano che lunedì prossimo ci sarà ancora pioggia e neve sopra gli ottocento metri. Insomma non potremo rifugiarci in una bella giornata di sole. Ma non preoccupiamoci più di tanto, malgrado l'esito elettorale avremo a che fare con lo stesso paese del giorno precedente.

Sarà ancora notte quando le prime proiezioni elettorali sullo spoglio ci forniranno una fotografia di questo paese, delle sue paure e del suo smarrimento. Del resto, per mesi gli istituti demoscopici hanno indicato le tendenze di voto degli italiani e non penso che l'esito si discosterà in fondo più di tanto, salvo forse per il risultato di qualche partito minore che potrà rappresentare una qualche sorpresa.

Tutto invece si giocherà sull'avvicinarsi o meno alla soglia del 40% da parte della coalizione di destra (non ho mai pensato a Berlusconi come ad un uomo di centro) o del Movimento 5 Stelle, tanto che Salvini si è augurato negli ultimi giorni della campagna elettorale che il PD non vada sotto il 22% perché questo potrebbe significare un forte spostamento di quell'elettorato verso i pentastellati.

12 Febbraio 2018

Autonomie cooperanti. L’utopia di un’Europa che si fonda sull’autogoverno territoriale.

 

di Federico Zappini

C’è vita oltre i referendum convocati da Zaia e Maroni. E’ c’è spazio per discutere di autonomia e autogoverno senza dover necessariamente andare a ruota della propaganda – tutta economica e opportunistica – leghista. Dentro “Il viaggio nella solitudine della politica” abbiamo già avuto modo di incrociare la questione in diverse occasioni. Attraversando il Trentino, e le sue difficoltà nell’affrontare il percorso di scrittura del Terzo Statuto. Incontrando cittadini e cittadine che nell’area dolomitica e alpina da anni – in Veneto come in Friuli, o nelle valli Lombarde – si interrogano e praticano sul fenomeno delle proprietà collettive e la gestione dei beni comuni. Ne emerge un interessante – e non privo di contraddizioni – movimento di persone, tra loro anche molto diverse, che guardano con curiosità e attenzione alle prospettive federaliste. Sarebbe sbagliato non tenere in considerazione questa ricchezza di punti di vista, lasciando che ognuno approcci i prossimi referendum senza una minima riflessione collettiva.

9 Febbraio 2018

Interdipendenza e autogoverno

Questo piccolo saggio è apparso sul n.113 di "Protagonisti", la rivista dell'Istituto Storico Bellunese della Resistenza e dell’Età Contemporanea (Isbrec) dedicato al tema delle autonomie e della Regione Dolomiti.

di Michele Nardelli

«... E' pericoloso credere che un individuo o un gruppo possa essere libero solo a patto di essere anche sovrano. La famosa sovranità delle società politiche non è mai stata altro che un'illusione, che per di più può reggersi solo grazie agli strumenti della violenza, cioè con mezzi di per sé extra-politici. Data la condizione dell'uomo, determinata dal fatto che sulla terra non esiste l'uomo, bensì esistono gli uomini, libertà e sovranità sono così lontane dall'identificarsi da non poter neppure esistere simultaneamente. … Se gli uomini desiderano essere liberi, dovranno rinunciare proprio alla sovranità». Hannah Arendt, Tra passato e futuro

Hannah Arendt scrive queste parole nel 1954 ma il suo sguardo lungo giunge fino a noi, in questo tempo di “sovranismi” dove riecheggiano, malgrado le lezioni della storia, le rivendicazioni del “prima noi”, eco appunto di quel “Deutschland über alles” così foriero di sventura.

7 Febbraio 2018

Il crepuscolo di un sistema

In dialogo con l'idea di un “inedito inizio” proposta da Federico Zappini

di Michele Nardelli

(7 febbraio 2018) Ho vissuto in prima persona il passaggio dalla “prima” alla “seconda Repubblica”, quando – era l'inizio degli anni '90 – andava in frantumi il quadro politico sul quale si era retto questo paese dalla fine della seconda guerra mondiale. Anni bui. Manette ai polsi dei potenti, partiti storici che si polverizzavano, poteri oscuri che seminavano terrore, istrioni che scendevano in campo. In un suo celebre discorso sulla transizione italiana, Giuseppe Dossetti ebbe a chiedersi, riprendendo il libro di Isaia, «Sentinella, quanto resta della notte?»1.

Eppure anche in quella “notte” non mancarono lampi di luce, la stagione dell'Ulivo ad esempio, forse il primo e significativo tentativo di costruire una nuova sintesi delle migliori culture politiche precedenti. Presenti al nostro tempo, in questa terra vivemmo quel passaggio senza smarrirci, dando il là – nonostante rancorosi conservatorismi – ad una stagione che fece del Trentino un'anomalia politica in tutto l'arco alpino. Ci aiutò un tessuto culturale e sociale dalle radici profonde che faceva da cornice alla sperimentazione politica.

1 Febbraio 2018

2018 – 2020. Di un’agenda politica comune e dei margini sensibili da cui partire

di Federico Zappini *

Comunque vada abbiamo un problema.

Non sono mancati in questi mesi gli spunti capaci di condurci con maggiore consapevolezza alle elezioni politiche del prossimo 4 marzo. Ecco alcuni esempi, quelli che sento a me più affini. Pier Luigi Sacco ha suggerito un approccio diverso alle politiche culturali, offrendo un piano di lavoro di dimensioni ampie e di sicura prospettiva. Mauro Magatti un radicale cambiamento dei paradigmi economici e Donatella Di Cesare una nuova lettura (filosofica e politica) dei fenomeni migratori. Lo hanno fatto illuminando campi di enorme rilevanza, che meriterebbero migliore e più articolata riflessione. E poi non sono mancati spunti su ambiente, Europa, lavoro e welfare, tecnologia e innovazione, città e urbanistica. Un caleidoscopio di contributi che descrive un contesto vitale, come ama dire Giuseppe De Rita, “con poca voce ma grande potenza”.

Non una novità se pensiamo che Sabino Cassese coniò la felice espressione “società senza Stato” per descrivere la scissione tra rappresentanti e rappresentati, tra istituzioni e corpo sociale, in un libro edito nel contesto del 150° anniversario dell’Unità d’Italia. Il disallineamento tra cittadini e leadership politica non è quindi un fenomeno esclusivo di questo tempo, anche se oggi la frattura sembra diventata tanto profonda e il rischio di corto circuito nell’assetto democratico così prossimo al verificarsi da richiedere un opportuno supplemento di riflessione. Certo c’è l’astensione (effetto più che causa, per quanto mi riguarda possibile triste e vergognoso rifugio) ma il problema di fondo – che rimarrà sul tavolo anche dopo il 4 marzo – è la fragilità dell’interazione tra le dimensioni del sociale e quella del politico. Una fragilità che rappresenta un po’ la conseguenza e un po’ l’origine delle contemporanee crisi di domanda (cosa cercano gli elettori? che idea hanno della politica? ne sentono il bisogno o credono se ne possa fare tranquillamente a meno?) e di offerta politica (come si propongono partiti e potenziali eletti? in che modo tentano di tenere insieme valori e conquista del consenso? come immaginano il futuro, se se lo immaginano?).

28 Gennaio 2018

Un futuro in cui riconoscersi

di Ugo Morelli

Concludendo il suo libro che avrebbe dato il nome al 1.900, Il secolo breve, il grande storico Eric Hobsbawm scrive: “Se l’umanità deve aver un futuro nel quale riconoscersi, non potrà averlo prolungando il passato o il presente. Se cerchiamo di costruire il terzo millennio su questa base, falliremo. E il prezzo del fallimento, vale a dire l’alternativa a una società mutata, è il buio”.

Assistendo agli attuali giri di giostra con cui le forze partitiche affrontano la preparazione alle candidature per le prossime elezioni politiche viene da pensare che i timori dello storico fossero fondati. I prossimi cinque anni saranno anni di scelte difficili e ogni comunità locale dovrebbe esprimere dei progetti politici e delle prese di posizione chiare rispetto a questioni ineludibili.

5 Gennaio 2018

Per vivere meglio dobbiamo imparare a ridurre

di Giuliano Battiston *

Dalla petroliera alla barca a vela. Con questa metafora Wolfgang Sachs spiega il passaggio che abbiamo di fronte. Un passaggio obbligato, se vogliamo sopravvivere: dalla modernità espansiva alla modernità riduttiva. Da una società fondata sull’accumulo, sull’accelerazione, sull’espansione senza limiti, sulla dipendenza da un flusso crescente di materie prime finite, a una società che sappia razionalizzare i mezzi in modo efficiente e soprattutto interrogarsi sui propri fini, sulle proprie aspirazioni, sul “quanto basta?”.

Allievo di Ivan Illich, già membro del Club di Roma e dell’Intergovernmental Panel on Climate Change, sociologo del Wuppertal Institute for Climate, Environment and Energy e animatore di molte utopie concrete, da decenni Sachs studia come conciliare giustizia sociale ed ecologica. Pensatore di riferimento dell’ecologismo politico europeo, è arrivato a una conclusione: lo sviluppo della civiltà euro-atlantica è dovuto a circostanze storiche uniche e irripetibili, ed è incompatibile con la finitezza della biosfera. Se aspiriamo a una civiltà capace di futuro, quel modello di modernità espansiva va archiviato. Per farlo, occorre mettere in questione innanzitutto la nozione di “sviluppo” che ne è alla base. Da lì siamo partiti, nell’intervista concessa all’Espresso.

1 Gennaio 2018

C’è molto da scrivere

(1 gennaio 2018) Iniziare il 2018 con una campagna elettorale non potrà di certo aiutare la politica ad essere migliore. La XVII legislatura della Repubblica Italiana, iniziata il 25 marzo 2013, sembrava essersi esaurita già poche settimane dopo l'insediamento del Parlamento, ma in realtà è giunta quasi alla sua scadenza naturale.

Nonostante in molti auspicassero il ricorso alle elezioni anticipate, non senza motivo (considerato lo stravolgimento degli schieramenti con cui si era andati al voto), abbiamo invece conosciuto una fase di “stabilità condizionata”, dove cioè la scomposizione e ricomposizione delle alleanze (e delle appartenenze) ha favorito la nascita di tre governi (Letta, Renzi e Gentiloni) all'insegna di un'austerità insincera, del populismo centralistico e autoritario e – dopo la secca sconfitta nel referendum – della gestione dei suoi ultimi mesi nel favorevole contesto di una ripresa globale, fra diffusa precarietà e qualche sussulto di civiltà, anche grazie al manifestarsi di altre maggioranze parlamentari.

23 Dicembre 2017

Gemmazioni

“Tempi interessanti” (74)

Se c'è una cosa in particolare che mi convince di questo nostro “Viaggio nella solitudine della politica“ è la sua capacità di gemmazione. Nel senso che non c'è itinerario che non generi qualcosa d'altro, come a comporre un mosaico che di volta in volta si arricchisce. Di storie, sguardi, sensibilità, idee, proposte...

... Questo ci racconta del valore generativo della ricerca e delle possibilità di un diverso racconto politico. Se nell'iniziare questo viaggio abbiamo cercato di metterci al riparo dalle emergenze e da un'agenda politica che le rincorre, è oltremodo interessante notare come ci si sia quasi naturalmente trovati ad essere “presenti al nostro tempo“.

20 Dicembre 2017

Autonomia, quel cambio di sguardo che serve all’Europa

di Michele Nardelli e Federico Zappini

La questione catalana sembra essersi incagliata nella storia del Novecento. Se non sapremo proporre un approccio diverso, indicare nuovi scenari, immaginare paradigmi inediti, sarà ben difficile disincagliarla. E se l'orizzonte di ciascuna delle parti (ma anche dell'Europa e a ben vedere di ognuno di noi) rimane ancorato ai concetti di sovranità da un lato e di autodeterminazione dall'altro, sarà difficile venirne a capo. Può infatti sembrare paradossale, ma nella contrapposizione sulla Catalunya i principali protagonisti la pensano sostanzialmente allo stesso modo.

La situazione non è poi così diversa da ciò che avvenne nel 1999 nella crisi del Kosovo, oggi silenziata ma non per questo risolta, tanto è vero che per il diritto internazionale il Kosovo è ancora una regione della Serbia nonostante la sua indipendenza sia stata riconosciuta da 114 Paesi.

15 Dicembre 2017

Autonomia, quel cambio di sguardo che serve all’Europa

Da Pieve di Soligo a Trento, nuova tappa del viaggio

Dopo l'incontro di Pieve di Soligo – “Autonomie cooperanti. L’utopia di un’Europa che si fonda sull’autogoverno territoriale” – a conclusione del V itinerario del "Viaggio nella solitudine della politica", ci siamo interrogati su come dare continuità a quella conversazione, continuità peraltro sollecitata da molte delle persone che vi hanno partecipato. Abbiamo così immaginato di proporvi due o tre cose.

In primo luogo una riflessione da titolo “Autonomia, quel cambio di sguardo che serve all'Europa” che, proprio a partire dalle idee che ci siamo scambiati nel borgo di Andrea Zanzotto, definisse un profilo nel quale riconoscerci e aprire uno spazio di discussione.

Partendo dalla visione, ovvero dalla tenuta sul piano del pensiero verso un mondo sempre più interconnesso e a geografie variabili che sembra stupirsi di fronte al continuo manifestarsi della crisi della struttura rigida e tutt'altro che resiliente dei confini e degli Stati nazionali sovrani. Per comprendere la fatica delle istituzioni democratiche e dei corpi intermedi deputati alla rappresentanza politica (partiti, movimenti, associazioni, comunità) nel definire il proprio ruolo e i propri strumenti in relazione al "mondo che sarà". E infine per cercare di riportare in superficie la cultura e l'approccio federalista come possibile schema per un ripensamento dell'Europa politica (l'Unione, ma non solo) provando a sfuggire dalle narrazioni troppo retoriche (dalla generazione Erasmus in giù...) e stressare le proposte sul tavolo, come ad esempio il modello da molti sostenuto degli Stati Uniti d'Europa.


Trento, Gallerie di Piedicastello

Autonomia, quel cambio di sguardo che serve all'Europa

8 Novembre 2017

Fra centralismo e disgregazione, una terza via

Nei giorni scorsi si è svolto a Cagliari un interessante dibattito dal titolo "La questione sarda: indipendenza, autonomia, Europa dei popoli”. L'incontro, organizzato dall’associazione SardegnaEuropa, aveva come obiettivo quello di focalizzare la “Questione Sarda” nel contesto spazio temporale europeo. All'incontro (vedi locandina in allegato) ha partecipato fra gli altri anche Lorenzo Dellai il cui intervento riporto volentieri.

 

di Lorenzo Dellai

Il nostro è un Paese strano, anche per quanto riguarda i temi dell'autonomia dei territori e del regionalismo.

Un anno fa - difronte alla Riforma Costituzionale - l'opinione nettamente prevalente era che "finalmente" si sarebbe modificato il Titolo V del 2001, perché era stata una fuga in avanti e serviva ricostruire un più forte potere centrale. Quella Riforma fu poi bocciata dal Referendum, ma non certo per contrarietà a questo punto, che anzi era da quasi tutti ritenuto necessario.

A un anno di distanza, si celebrano due Referendum Regionali che invece chiedono di attuare quel Titolo V ed altre Regioni stanno dichiarando la volontà di procedere in questa direzione pur senza convocare consultazioni popolari. Siamo un Paese schizofrenico.

Del resto, tutta la partita del Regionalismo in Italia è stata gestita senza un disegno compiuto. L'impianto dello Stato è rimasto fortemente centralista e l'introduzione delle Regioni Ordinarie nell'ordinamento – non a caso attivato con notevole ritardo dalla previsione costituzionale – non ha comportato un ripensamento del modello istituzionale centrale.