Sette anni fa, il martirio di Mohamed Bouazizi diede il via alla cosiddetta primavera araba. “Era un ragazzo che lottava per la vita, ma era stato marginalizzato, come tutto il popolo”, lo ricorda zio Salah. A Sidi Bouzid la situazione non è migliorata. E sono ripartite le proteste
di Simone Casalini *
(1 Gennaio 2018) Sidi Bouzid, sette anni dopo. La rivoluzione dei gelsomini è germogliata qui, nella profonda ruralità tunisina, e si è propagata nel mondo arabo in quello che la pubblicistica occidentale ha classificato “primavere arabe”. Ora l’inverno si espande tra gli olivi e i mandorli di Sidi Bouzid e tra le vite di una rivoluzione interrotta.
Era partita con l’immolazione di Tarek “Mohamed” Bouazizi, il 17 dicembre 2010, davanti alla sede del governatorato. Aveva 26 anni e un carretto per lo smercio di ortaggi e frutta con il quale manteneva la madre e due sorelle (ora trasferitesi in Canada). Quella mattina venne sequestrato dalla polizia con la giustificazione che non aveva la licenza anche se le indagini successive rivelarono che non era necessaria. Poi seguì un’ammenda di 20 dinari (6 euro).
“Mohamed era un ragazzo che lottava per la vita. Ma è stato marginalizzato come la maggior parte del popolo” ricorda Salah Bouazizi, lo zio che conduce una farmacia sull’avenue Burghiba dove giovani studenti, sindacalisti e frammenti di popolo sfilano come onde infrante per contestare la scelta di Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale di Israele. Salah è stato l’ultimo a sentirlo. Mohamed lo chiamò, alterato, per dirgli che gli stavano requisendo la bilancia. Gli chiese di temporeggiare qualche minuto, ma la disperazione di Mohamed non attese. Morì il 4 gennaio 2011 nell’ospedale grandi ustionati di Ben Arous e la sua parabola finale coincise con quella del dittatore Ben Ali costretto all’esilio in Arabia Saudita. Da lì s’incamminò la transizione democratica.