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Sono trent’anni che sulla scuola si misura l’incapacità della sinistra di interpretare l’autonomia trentina. Non era infatti tanto diverso negli anni ’80 il dibattito sulla provincializzazione della scuola, con una buona parte delle organizzazioni sindacali allora attestate a difesa di una competenza fino a quel punto nazionale. Come non era diverso il confronto sulle scuole dell’infanzia equiparate, viste a sinistra come un retaggio democristiano piuttosto che un patrimonio della nostra comunità. E la stessa cosa è stata nel 2005 con la riforma Salvaterra sull’autonomia scolastica, questa volta con la Cgil del Trentino che si schiera coraggiosamente (non senza contraddizioni) a difesa della riforma, contro l’opinione dello stesso sindacato nazionale.

Un ritardo culturale che si trascina, dunque, e che continua a produrre a sinistra le stesse incomprensioni e lacerazioni. Incapaci di pensiero autonomistico. Perché – è questa la mia opinione – che si debba mettere mano ai criteri di reclutamento e di verifica della qualità degli insegnanti è questione matura. La valutazione degli insegnanti rappresenta lo sviluppo logico conseguente del sistema provinciale di valutazione della scuola trentina. D’altra parte, è necessario rendere più dinamica la composizione delle graduatorie per gli incarichi, evitando una sorta di fossilizzazione in una passiva attesa di sistemazione definitiva nei ruoli. Sulle modalità la discussione deve aprirsi a tutto campo. Specie se una proposta formalizzata ancora non c’è, pur essendo un impegno contenuto nel programma di legislatura. Una guerra preventiva, oltre ad essere indice di diffidenza (e in una coalizione di governo non è esattamente il massimo, ma questo è un nodo tutto politico che ci trasciniamo dall’avvio di questa legislatura) ha l’effetto del riavvolgere la pellicola e di rivedere un film già visto.

Consapevoli di questi ritardi culturali occorrerebbe un po’ di prudenza da parte dell’amministrazione provinciale sul piano del metodo, ovvero della partecipazione alle scelte, sapendo che questo comporta sì tempi più lunghi ma che le riforme senza consenso poi si arenano, come in parte è avvenuto con la riforma dell’autonomia scolastica. Ma qui interagiscono altri fattori di natura squisitamente politica. Il fatto è che su questo ritardo culturale della sinistra, il presidente Dellai un po’ ci gioca, ben sapendo che le conseguenze negative sul piano del consenso ricadono in particolare sul PD. Ma il PD, a sua volta, non può limitarsi al ruolo di controllore a valle dell’operato del "suo" assessore ma essere suggeritore/ispiratore a monte di proposte innovative.

Misuriamo su questa vicenda, che pure è solo all’inizio, il vero nodo irrisolto della politica trentina: se cioè sappiamo guardare ad una comunità autonoma capace di sperimentare livelli inediti di autogoverno in una prospettiva insieme alpina ed europea o se rimanere ancorati ad una politica "nazionale" che non ha più nulla da dire per il semplice fatto che la cifra del tempo (e dei problemi da affrontare) è sempre più territoriale e sovranazionale.

Venirne a capo richiede un cambio di passo culturale prima ancora che politico. La discussione sul partito territoriale, in fondo, sta tutta qui.

1 Comment

  1. Gloria ha detto:

    Ciao, mi hanno girato l’intervento di Michele sul blog intorno ak conservatorismo culturale e politico dei democratici e della sinistra di fronte a qualsiasi proposta di cambiamento – innovazione scolastica; ringrazio da parte mia, ci siamo sentiti un po’ meno soli. Gloria (che fatica a ragionare e riflettere di questi tempi!!!)