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Quella notte mi sono svegliato all’improvviso… e mi sono ricordato… Djordje V. è un mio amico dell’università. Maledetta vecchiaia. Maledette dimenticanze. Djordje V. era uno studente brillante della Facoltà di lettere moderne e parallelamente studiava alla Facoltà di arte drammaturgica. Era un attivista del ’68, teneva discorsi infuocati nel palazzo di Kapetan Miša, scriveva per “Lo Studente” e “Le vedute”, organizzava dibattiti su letteratura e politica al Centro culturale studentesco. E poi è scomparso dalla vita pubblica. Cosa gli era accaduto? Dove era scomparso? Non avevo la più pallida idea, non lo avevo visto per venti, trent’anni…

La mattina mi sono seduto in macchina e sono andato al “Laza” (ospedale psichiatrico di Belgrado, ndt). Ho abbracciato il mio amico chiedendogli: “Come mai sei qui? Quale è il problema?”.

Parlava piano, la voce si sentiva appena: “Ieri sera, verso la mezzanotte, sono sceso a buttare la spazzatura. Avevo indosso solo l’accappatoio, dato che il cassonetto è vicino, proprio sotto il mio palazzo. Ho gettato la spazzatura nel cassonetto ma assieme alla spazzatura ho gettato anche le chiavi di casa che tenevo in mano. Era notte, pioveva, non sapevo cosa fare. Mi sono arrampicato e sono entrato nel cassonetto pieno di immondizia… non sono riuscito a trovare le chiavi. Lì vicino c’è una stazione di polizia. Mi sono recato alla stazione in quelle condizioni, tutto sporco, per chiedere aiuto, mi guardavano con molto sospetto. Mentre spiegavo l’accaduto è passato il camion della spazzatura e ha svuotato il cassonetto andandosene via. Sono impazzito, ho cominciato ad urlare, imprecare… I poliziotti mi hanno rinchiuso e l’indomani mi hanno portato al “Laza”. La sfiga vuole che questo è accaduto a weekend appena iniziato, per cui di nuovo ho cominciato ad urlare ed infuriarmi quando mi è stato detto che il medico sarebbe arrivato solo il lunedì. Mi hanno quindi tenuto dentro dandomi dei tranquillanti. Quando mi ha visitato, il medico mi ha chiesto di fornirgli il nome di qualche amico o parente che avrebbe garantito per me. Tu non mi crederai: non avevo nessun nome da dargli. Mia moglie è morta. Mia figlia vive in Nuova Zelanda, hai idea di dove è? Dall’altra parte del globo terrestre… non so mai quando lì è mezzanotte e quando mezzogiorno? E chiamo sempre nel momento sbagliato, quando loro dormono, così ho smesso di chiamarli e anche loro hanno smesso di chiamare me. All’improvviso ho capito di essere solo al mondo, di non avere nessuno…”.

“Ma dai, a questa età siamo tutti soli, viviamo lo stesso…”

“Non ho un motivo per vivere. Non servo più a nessuno e a nessuno mancherò quando non ci sarò più. Quando mi sono trovato nei guai, all’improvviso ho realizzato che non avevo nessuno a cui chiedere aiuto. Tutta la vita ho aiutato gli altri ed ora che io avevo bisogno non c’era nessuno. Mi sono ricordato di te casualmente. Leggo i tuoi testi sui giornali. Grazie, per essere venuto”.

“Domani andrò a casa tua con un fabbro. Cambierò la serratura, ti porterò la chiave e tutto sarà a posto”.

All’indomani sono andato con un fabbro a casa del mio amico. L’appartamento sembrava come se qualcuno fosse appena uscito: sul tavolo i giornali ed una tazzina di caffè bevuta a metà, la luce e la tv accesi. Abbiamo cambiato la serratura, ho preso la nuova chiave e mi sono diretto all’ospedale. In camera ho trovato il letto vuoto.

“Dove è il mio amico?”, ho chiesto. – “È morto la notte scorsa”, ha risposto il medico. – “Era malato?” – “No…” – “E allora di cosa è morto?” – “Di solitudine e tristezza…” – “E si può morire di solitudine e tristezza?” – “Come vede, si può”.

Ho organizzato il funerale. Al funerale eravamo presenti solo il defunto ed io. Da sua figlia ho ricevuto un messaggio col quale diceva che non può venire dalla Nuova Zelanda perché è divorziata e non ha nessuno a cui lasciare i figli. Mi chiamerà quando verrà a Belgrado per vendere la casa del padre. Mi ha chiesto se posso registrare il funerale e mettere la foto su Facebook. Ho risposto che non so come si fanno queste cose…

Ho fatto fare un necrologio sui giornali per il mio amico. Sono venuto al kafić ed ho aperto i giornali affinché tutti vedessero cosa stavo leggendo. Il cameriere mi ha portato il caffè. Non ha detto nulla. Mi ha solo dato una strana occhiata. Il caffè era freddo e amaro…

*Predrag Perišić è professore presso la Facoltà di Arte drammatica di Belgrado, il quotidiano Politika ospita una sua rubrica di racconti brevi

1 kafić = bar caffè

2 Komšija = vicino

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