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A livello istituzionale qualche segno di movimento in questo senso si
sta manifestando. In Europa l’attenzione per l’open source è alta. La
Gran Bretagna ha reso obbligatorio l’open source per le pubbliche
amministrazioni, in Francia si privilegia l’open source nelle gare
d’appalto pubbliche e in Germania è in atto un processo di cambiamento che rivendica il software libero come preciso dovere dello Stato democratico.

Anche in Italia le cose si stanno lentissimamente muovendo, per ora
principalmente a livello regionale. La Regione Sardegna, che ha avuto
come presidente un informatico, è la prima ad avere un Ddl per il
passaggio obbligatorio all’open source.

Esistono leggi regionali per il pluralismo informatico e l’adozione di
standard aperti in Piemonte, Toscana, Umbria e Veneto, mentre a livello locale non sono a conoscenza di realtà istituzionali che abbiano già implementato il processo di passaggio al software libero.

Il software libero si differenzia da quello proprietario in quanto mette
a disposizione non solo i programmi ma anche il codice che li genera
(codice sorgente), promuovendo lo studio e la modifica del codice al
fine di inserire nuove funzionalità o correggere eventuali errori. Nel
modello proprietario le cose funzionano diversamente: il produttore
vende software mantenendone l’esclusivo accesso al codice, quindi
mantenendone di fatto la proprietà. Viene venduta una licenza di
utilizzo, ma l’acquirente non ha la possibilità di modificare
autonomamente il programma, né di verificarne l’ ingegneria,
semplicemente perché non ha accesso al codice sorgente.

Il fornitore mette il lucchetto e ne tiene le chiavi. Qualsiasi modifica
deve conseguentemente passare attraverso di lui e alle sue condizioni.

Nel modello open source il codice viene pubblicato e messo a
disposizione di altri utilizzatori, che possono implementare nuove
funzioni e a loro volta ripubblicarlo documentando le modifiche
apportate, mettendo in moto un circolo virtuoso che apporta
miglioramenti in maniera ricorsiva.

In termini concreti questo significa che se ad esempio l’ospedale H
sviluppasse un software per la gestione delle cartelle cliniche del
reparto di medicina, potrebbe metterlo a disposizione degli altri
ospedali. Se all’ospedale K servisse un programma per le cartelle
cliniche di cardiologia, avrebbe il software di base già disponibile a
costo zero e non dovrebbe far altro che sviluppare un modulo per le
funzionalità specifiche di cardiologia, che rimetterebbe a sua volta a
disposizione degli altri ospedali. Questo meccanismo permetterebbe un
enorme risparmio di risorse economiche. Si tratta di un modo intelligente di tagliare le spese, di avere standard comuni e un certo livello di compatibilità.

Il software libero aiuta a risolvere anche molti altri problemi, come la
portabilità dei documenti informatici. Per i documenti informatici
esistono standard internazionali che troppo spesso non sono implementati nel software proprietario, o lo sono solo in parte. Anche dal punto di vista della sicurezza, i sistemi operativi open source (dei quali Linux è il più diffuso) sono praticamente immuni da virus informatici. Rendere più sicuri i singoli calcolatori significa rendere più sicura l’intera rete, a livello locale e a livello globale.

I vantaggi insomma sono molteplici e certamente non si esauriscono a
quelli qui elencati. Anche ai fini educativi l’open source per scuole
offre svariati strumenti di grande valore pedagogico. All’ allievo della
scuola elementare come al ricercatore universitario. Ed è proprio nelle
università, dove c’è maggiore cultura e maggiore innovazione, che l’open source ha preso piede nel nostro Paese, mentre nella scuola primaria e secondaria questo tipo di evoluzione è affidata al genio di qualche raro singolo docente.

Per la produttività da ufficio esistono suite libere (la più diffusa è
Open Office) di grande livello qualitativo , aderenti agli standard
internazionali e gratuite, ma molto spesso non vengono utilizzate
semplicemente perché gli amministratori pubblici ne ignorano l’esistenza.

Un fiume di milioni di euro viene speso in software proprietario, spesso
per avere le stesse funzionalità messe a disposizione dall’open source a costo zero. Dagli uffici dei comuni agli uffici di polizia, ai tribunali, agli ospedali, alle scuole, il meccanismo attuale di gestione delle risorse software è contrario ad ogni regola di trasparenza e nostri amministratori, almeno quelli più attenti ai cambiamenti, dovrebbero prenderne coscienza.

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