2 Maggio 2016

giovedì 7 aprile 2016

... In nome del consenso e della paura, il veleno che ci fa smarrire il valore dell'attraversamento. Eppure si tratta della nostra storia, anche fra queste montagne. O forse ci siamo dimenticati che a Moena, nel cuore delle Dolomiti, c'è un quartiere che si chiama Turchia? Che la parola “bait” che nel nostro dialetto vuol dire baita di montagna viene dall'arabo e vuol dire casa (Bait al Hikma, si diceva a Baghdad per indicare la “Casa della saggezza”)? Che la parola alambicco, tanto famigliare nella nostra tradizione locale di produttori di grappa, viene dall'arabo al-inbiq? ...

23 Marzo 2016

mercoledì, 23 marzo 2016

Nel giorno in cui la capitale di quel che rimane dell'Unione Europea viene colpita dagli attacchi terroristici sono all'Istituto Tambosi Battisti di Trento a parlare, fra Europa e Mediterraneo, di uno “scontro di civiltà” che non esiste e che pure sembra auto avverarsi.

7 Marzo 2016

lunedì, 7 marzo 2016

... Negli stessi contesti cittadini, nella stessa fascia d'età, nello stesso passaggio di tempo... registro in queste tre occasioni d'incontro nelle scuole trentine modi d'essere, approcci e sensibilità anche molto diverse. Rispecchiano condizioni sociali e stimoli culturali che pure ci raccontano molto di questa nostra terra. In realtà tutti a loro modo (e a saperli prendere) attenti ed incuriositi, a testimonianza di quanto ci sia da investire nella conoscenza e nel senso critico di questi ragazzi. Una lezione di geografia, anche per me.

1 Marzo 2016

martedì,1marzo 2016

Fra il non più e il non ancora... Nel tardo pomeriggio di venerdì 26 febbraio ha preso il via il percorso “Fra il non più e il non ancora” proposto dall'associazione “territoriali#europei”, percorso che ci accompagnerà per tutto il 2016 attraverso la ricerca di uno sguardo lungo sulle contraddizioni del nostro tempo. Si tratta di tre itinerari (“Alle radici della paura” - “Tra passato e futuro” - “Cambi di paradigma”), nell'intento di offrire alla nostra comunità, impegnata in un un difficile passaggio del suo cammino, una diversa narrazione sul presente. Il primo appuntamento (il programma completo sarà disponibile non appena avremo definite le disponibilità dei relatori e dei luoghi) è stato dedicato alla necessità di sviscerare il concetto tragicamente moderno di “scontro di civiltà”, evocato come possibile cornice della fine dell'umanesimo...

12 Gennaio 2016

martedì, 12 gennaio 2016

E’ gennaio. Lungo la strada che sale verso Merano piove a dirotto. Qui s’incrociano la Val Passiria, la Val Venosta e la Val d’Ultimo che in questa stagione dovrebbero essere colme di neve. Ma al posto del manto bianco c’è solo il grigio di un tessuto industriale che centra ben poco con lo spirito del luogo e con un inurbamento che nella seconda metà del Novecento ha cercato di banalizzare l’unicità di un centro come Merano che l’anno prossimo festeggia il settecentesimo anniversario della sua prima carta di autogoverno. Chi a questo prestigioso anniversario ci sta lavorando è il nuovo vicesindaco Andrea Rossi, che con Mauro Cereghini incontriamo a pranzo. E’ alla sua prima esperienza amministrativa, con le deleghe a scuola e cultura italiane, giovani, integrazione e decentramento. Ma quella di Merano non è una giunta delle tante che l’hanno governata nel corso degli anni. Al ballottaggio del maggio scorso è stato eletto sindaco Paul Rösch, candidato dei Grünen, ed è la prima volta che Merano elegge un sindaco tedesco non espressione della SVP, esperienza unica tra le realtà medio-grandi del Sud Tirolo. Dopo una lunga trattativa a luglio si è formata una giunta formata da Verdi/lista civica del Sindaco Rösch (3), SVP (2), PD (1) e una civica di centro-destra (1), un esperimento inedito piuttosto che una grosse-koalition. Lui mi racconta dell’entusiasmo e delle aspettative verso questo cambiamento politico ma anche della fatica a cambiare quando è debole l’assunzione di responsabilità da parte dei cittadini e ancora la politica non comprende appieno il significato del voto dei meranesi, cercando responsabilità specifiche (lo scarso appeal del candidato della SVP, ad esempio) invece che coglierne il segnale generale. Vale per il partito di raccolta che deve ripensarsi senza il paternalismo rassicurante dei padri fondatori, vale per gli altri partiti della coalizione più attenti a conservare la propria rendita di posizione (nazionale o locale che sia) che a valorizzarne gli elementi di sperimentazione. Non nasconde nemmeno la difficoltà di chi per la prima volta si cimenta su un terreno inesplorato, ma il fatto stesso di parlarne denota un’onestà intellettuale che di questi tempi è merce rara. Da parte mia – sono qui anche per questo – racconto del percorso che abbiamo avviato in Trentino con “territoriali#europei”, dei tempi distesi che abbiamo deciso di darci nella consapevolezza che dalla crisi della politica non si esca con un colpo di teatro ma attraverso un paziente lavoro di ricostruzione delle coordinate di fondo, culturali prima ancora che politiche, che la fine di un tempo richiede. Sempre che l’ambizione non sia quella di cavalcare il tempo presente ma di comprenderlo e di interagire con esso, fuori da logiche emergenziali o di mero consenso. Parliamo anche dello stato dell’arte nell’azione di governo delle nostre due comunità provinciali e della partita sul Terzo Statuto che ci accomuna anche se le strade per arrivarci sembrano percorrere itinerari diversi. E pensare che durante la scorsa legislatura era partita proprio dal Trentino la proposta di legge regionale (vedi home page) per definire le modalità di un processo partecipato (la Convenzione). Ora qui in Sud Tirolo/Alto Adige quella stessa proposta è già in fase di avvio, quando invece in Trentino è ancora tutto in alto mare. O nel cassetto di qualche segreta stanza, considerato che la stessa fine del DDL regionale sembra aver fatto l’elaborato del gruppo di lavoro incaricato dall’allora Giunta Dellai di stendere un progetto per una nuova stagione della nostra autonomia. Sempre che non si pensi che il terzo statuto possa ridursi alla peraltro improbabile difesa dell’esistente di fronte al vento neocentralista che attraversa il paese (ne parla oggi il prof. Roberto Toniatti nel suo editoriale sul Corriere del Trentino). Consideriamo quanto siano lontane, malgrado la vicinanza, le nostre comunità autonome trentina e sudtirolese. Un po’ per la diffidenza che ancora permane verso una Regione vissuta in Sud Tirolo come imbroglio trentino, un po’ per la fatica ad uscire dalla rassicurante rappresentazione etnica, un po’ ancora per il processo di omologazione che – dopo anni di anomalia – segna la politica trentina. E dunque la necessità di ridurre le distanze, magari trovando nei prossimi mesi occasioni di dialogo e di ricerca comune. A cominciare proprio dal Terzo Statuto e da quello sguardo europeo e sovranazionale che potrebbe aiutarci anche nell’immaginare una nuova fase della nostra autonomia.
3 Dicembre 2015

giovedì, 3 dicembre 2015

Padova, mercoledì scorso. L'aula magna dell'Istituto Ruzza è piena di insegnanti, qualche volto maschile, per la quasi totalità donne. Non mi sorprende perché negli ambiti formativi che mi capita di seguire è quasi sempre così, come se il bisogno di apprendimento negli adulti riguardasse solo una metà del cielo. Ma tant'è. L'incontro sia svolge nell'ambito del percorso ideato dalla Fondazione Fontana attraverso la World Social Agenda. ...

27 Novembre 2015

venerdì, 27 novembre 2015

Giovedì scorso ero a Modena, nella sala della Fondazione Teatro San Carlo, un po’ il cuore antico della città, per il Convegno dal titolo suggestivo “Modena, stazione di Modena”. I migranti arrivano in treno e queste sono le parole con le quali vengono accolti. Loro però non sanno che cosa li aspetta, o forse sì perché Modena è una città ricca e dunque forse si aspettano di condividere un po’ di quella ricchezza. Ma 400 ospiti diventano invece un problema. Numeri irrilevanti se rapportati alla popolazione, agli sportelli bancari e agli altri presunti indicatori del benessere, ma non per un immaginario collettivo che si auto alimenta di paure (e di quel che la gente vuol sentirsi dire) che i talk show televisivi spargono a piene mani pur di fare audience. Accade in una piccola città di provincia come Modena, ma è lo stesso in tanti altri luoghi compreso il civilissimo Trentino che forse è ancora più ricco. Ed è importante quindi che le istituzioni locali, nel loro insieme, s’interroghino su quel che sta avvenendo, non soltanto con l’arrivo di persone da altri mondi ma anche nel proprio tessuto sociale atomizzato ed impaurito, per cercare risposte non banali oltre la presunta emergenza. Proprio di questo si è discusso in un pomeriggio fitto di immagini, racconti, pensieri, esperienze concrete che hanno connesso la città di Modena con le moderne rotte degli immigrati, con la storia vicina e lontana di altri esodi e migrazioni, con la propria stessa coscienza civile fino a chiedersi che cosa ne è di quella comunità che nel secondo dopoguerra aveva ospitato nelle famiglie operaie e contadine della zona settantamila bambini provenienti dal Mezzogiorno d’Italia. Il tutto a partire dal racconto di Luigi Ottani e Roberta Biagiarelli che l’estate scorsa hanno accompagnato per qualche giorno la rotta dei migranti in Macedonia. Ne verrà anche un libro fotografico e non solo. Nonostante il giorno infrasettimanale e un orario pomeridiano, la sala è gremita di persone attente, volontari, operatori sociali e dell’immagine, amministratori locali, nuovi cittadini. Fra loro anche il nuovo arcivescovo di Modena-Nonantola Erio Castellucci, persona impegnata dalla parte degli ultimi. Cinque ore fitte di parole e di immagini raccolte nel mondo e nei vicoli di questa stessa città, per indagare su questo nostro tempo. Nel mio intervento parlo delle rotte che nel corso del tempo hanno portato a dar corpo a questa Europa smarrita e che tende a dimenticare la propria stessa storia. Altri parlano di rotte balcaniche e africane, altri ancora delle loro esperienze sul piano dell’accoglienza e della cittadinanza. Voci molto diverse, c’è materiale su cui riflettere dice l’assessora Giuliana Urbelli, perché tutto questo deve servire a motivare ulteriormente, in una certa misura ripensare e qualificare un impegno sul campo che richiede passione, competenza e quello sguardo lungo senza il quale ci si limiterà a ricorrere ciò che viviamo come un problema e che invece è semplicemente l’esito di questo tempo.
15 Novembre 2015

domenica, 15 novembre 2015

Diario messicano. Sesta ed ultima puntata. A staccare la spina proprio non ci riesco, nemmeno quando non ci sono connessioni cui accedere. E dunque anche questo mio breve racconto sul viaggio in Messico che volge al termine risente di uno sguardo che non si stanca mai di cercare. E questo non malgrado, ma anche grazie al piacere di quel che la vita ti offre, l’amicizia in primo luogo, lo spettacolo della natura, i sapori della cucina pre-ispanica di Pano o quelli del Cardenal a due passi dallo Zocalo di Città del Messico. In questa infinita metropoli ci starei giorni e giorni a curiosare per le strade delle molte città che la compongono, ad incrociare volti interessanti che sembrano rubati agli affreschi di Diego Rivera, a visitare i luoghi della storia e l’immenso museo antropologico, a bere tequila all’Opera o in altri locali. Certo, con il privilegio di avere con te persone che ci vivono e ne conoscono i lati più segreti come quando andammo qualche anno fa nel locale dove si esibiva Chavela Vargas, cantante di origine portoricana ma che divenne col tempo una delle icone del Messico, nel quale un giorno spaccò la chitarra sulla testa di una sua amante che stava lì con un’altra donna. O nella casa dell’amico Fernando Mendez a Malinalco, dove ancora vive l’antico rituale del Temazcal, parola che viene dal nahuatl temazcalli (“casa del vapore”) che nella Mesoamerica veniva usata come parte di una cerimonia curativa con la quale si purificava il corpo e la mente, ma anche di autocoscienza collettiva. Purtroppo, in questa occasione a Città del Messico ci stiamo solo poche ore, il tempo di fare due passi in centro e di risolvere un po’ di problemi logistici per il ritorno. Perché accade che la Lufthansa cancelli i nostri voli di rientro, dovendo così optare per un altro piano di volo il giorno successivo a quello previsto, con scalo negli Stati Uniti. Il che comporta un visto di transito che prevede la presentazione del proprio pedigree, nonché il pagamento dello stesso. Ogni tanto capita anche a noi “occidentali” di comprendere che cosa significa l’umiliazione della frontiera… Poche ore di volo ed eccoci in un altro mondo, che però si inchioda di nuovo nello sciopero degli assistenti Lufthansa che lascia a terra oltre mezzo milione di persone e che paralizza non solo un paese dove i treni sono tradizionalmente in orario ma a cascata una fetta importante del traffico aereo globale. Fermi per un giorno intero a Francoforte, negli spazi impersonali di un aeroporto nel cuore della Germania, privo di collegamento internet e dove se ti va bene ti scaricano in un nuovo volo che parte se sei fortunato dieci ore più tardi. Nella sicura, forte ed efficiente Germania, dopo la truffa delle Volkswagen taroccate, ora questo sciopero che – al di là del disagio che ne può venire – per certi versi la rende più umana. Perché in questo viaggio ci rendiamo conto che hostess e steward invecchiano anche loro. L’astensione dal lavoro riguarda il taglio delle pensioni, non ne sappiamo molto di più. Ma certa è una cosa: non si può immaginare di volare dalla mattina alla sera senza pensare che questo non abbia conseguenza alcuna sul fisico di questi lavoratori e lavoratrici. Si taglia il personale, non certo il numero di voli. Nemmeno il tempo di rientrare a Trento e, nell’ascoltare in autostrada un radiogiornale, veniamo riportati all’amara realtà di un allucinante dibattito sul diritto delle persone a farsi giustizia da sé. Un sindaco padano, intervistato da un cronista accondiscendente, dice cose che fanno rabbrividire, sul diritto di sparare a casa propria ma anche per strada. Bentornati in questo mondo, dove la paura fa strame di buonsenso e di civiltà. Gli umori sono diventati rancore ed il rancore progetto politico. Mentre questo accadeva la sinistra, elitaria e un po’ snob, nemmeno si accorgeva di quel che stava covando nei luoghi del rancore, le nostre krčme, le locande balcaniche che a guardar bene potevamo vedere anche sotto casa nostra. Tutti contro tutti, con le unghie pronte all’aggressione verso tutto ciò che, diverso o famigliare che sia, ti insidia nel tuo possesso o nel bisogno spasmodico di sicurezza. Così va il mondo, ben prima di Parigi.
11 Novembre 2015

mercoledì, 11 novembre 2015

... Nella sua bella casa di Oaxaca, Mary Kay segue con un certo stupore i miei ragionamenti sulla necessità di fermare un modello di sviluppo fondato sulla crescita illimitata, che è già ben oltre la sostenibilità e che ci sta portando alla guerra, quella stessa guerra di cui parla, in buona sostanza inascoltato, Papa Francesco. E di strade inedite di liberazione che la politica, ancorata ai vecchi paradigmi ed incapace di interpretare un tempo nuovo, non avverte nemmeno il bisogno di cercare. Non trovando di meglio da fare che ancorarsi alla rivoluzione francese. Un cambio di paradigma richiede una metamorfosi profonda, ci vorrà tempo e spazi di confronto. La cosa bella è di essere qui a parlarne fra persone che vivono, pensano ed operano in mondi diversi, a decine di migiaia di chilometri l'una dall'altra. Dialoghi che potranno proseguire usando al meglio ciò che le nuove tecnologie ci permettono di fare.

9 Novembre 2015

lunedì, 9 novembre 2015

Visti da lontano. La nonviolenza, la "sinistra italiana", il congresso dell'upt

Diario messicano. Quarta puntata

... Qualcuno potrebbe pensare che, viste da lontano, le nostre miserie politiche possano apparire irrilevanti, ma non è affatto così. Perché in buona sostanza i nodi al pettine – pur nel carattere specifico di ogni realtà – sono sostanzialmente gli stessi qui, nei paesi europei o nei territori che conosciamo più da vicino. L'interdipendenza è questo in fondo, rende piccolo il villaggio globale e richiede visioni alte e profonde affinché l'autogoverno non diventi una strada per rivendicare privilegi e chiusure. ...

7 Novembre 2015

sabato, 7 novembre 2015

... Quando ci svegliamo di buon mattino, eccolo finalmente il grande oceano. E, di nuovo, colpisce la forza della natura. Le sue onde mettono a nudo la tua insignificanza. L'idea dell'uomo signore del mondo, malgrado il delirio che chiamiamo progresso, appare in tutta la sua arroganza e stupidità. Perfino la tua carnagione nel sole dei tropici ti fa sentire inadeguato, consigliando di accostarti con prudenza ad un luogo verso il quale noi europei abbiamo un debito non ancora elaborato, men che meno saldato. Anzi. I flussi della globalizzazione, il pensiero unico, le leggi del mercato, i suoi simboli, l'incapacità di fare i conti con la propria storia fanno il resto, esponendo queste comunità a forti processi di omologazione culturale e materiale. In fondo non molto diversi, in ogni parte del mondo...