26 Marzo 2010

venerdì, 26 marzo 2010

Oggi dedico il diario a qualche considerazione che va oltre l’agenda. Un po’ perché gli incontri della giornata li poso riprendere anche in un altro momento, un po’ perché ne ho piene le tasche di un protagonismo giornalistico che non ha nulla a che fare con l’idea di costruire buona politica, confronto sulle idee, crescita di una comunità consapevole. Il "Trentino" di oggi titola a tutta pagina "Kessler all’attacco di Dellai". Della serie, facciamoci del male. Il Trentino rischia a breve di essere l’unica regione del nord a non essere nelle mani di una destra pericolosa e xenofoba, e noi non troviamo di meglio che svilire la nostra diversità, peraltro su questioni di ben poco spessore politico. L’oggetto di questa nuova querelle è la decisione da parte della Giunta provinciale di ritirare il DDL sul personale per un momento di ripensamento sulla materia, anche alla luce delle centinaia di emendamenti presentati dalla Lega. Una decisione legittima, che avrebbe dovuto essere concordata con la maggioranza con qualcosa di più che qualche telefonata, certo, ma questo riguarda più i rapporti fra esecutivo e la sua coalizione che non il confronto fra i diversi livelli istituzionali. L’unico errore compiuto in questa circostanza è tutto politico, ed è quello di aver annunciato il ritiro in aula senza prima aver concordato il ritiro contestuale anche del Disegno di legge (l’articolo unico sulla trasparenza) da parte della Lega. Perché dunque questo nuovo attacco da parte di Kessler? Qui non c’è in ballo solo il modo di interpretare il ruolo di presidente del Consiglio Provinciale. Che le due persone non si amino è risaputo. Un antico rancore dovuto al fatto che il figlio politico di Bruno Kessler non coincideva affatto con quello naturale. Non che le dinamiche personali non abbiamo peso, affatto. E sappiamo quanto l’ambizione possa fare cattivi scherzi. Così a seguirlo a ruota sono le dichiarazioni di Margherita Cogo, che rincara la dose. Ma anche qui, a che pro? Entrambi esponenti del PD del Trentino (e del gruppo di cui faccio parte), quel che appare ad un lettore qualsiasi è che ci sia una strategia del partito per delegittimare l’attuale esecutivo e la figura del suo presidente, considerato più un concorrente che un alleato decisivo per far vivere l’anomalia trentina. Dico con estrema chiarezza che non sono d’accordo. Se ci sono criticità da far emergere nella maggioranza, non c’è alcun problema, lo si faccia nelle forme costruttive di un confronto di merito sulle questioni, così come l’abbiamo fatto ad esempio sul Colbricon, arrivando a far cambiare le scelte già assunte dalla Giunta provinciale. A fare da cornice a questa vicenda c’è una situazione complessa che riguarda lo stato di salute dell’UpT, il partito di Dellai, all’interno del quale cresce la fronda contro il presidente e non certo da posizioni di apertura verso il PD, tant’è vero che le fibrillazioni riscontrate in questi giorni nella formazione delle alleanze per le elezioni comunali del 16 maggio vedono lo zampino di chi in questo partito vorrebbe riconsiderare l’alleanza con il centrosinistra. Come non capire che queste uscite giornalistiche altro non fanno che rafforzare questa fronda nell’UpT? La questione è dunque ben più politica. Credo che alla base vi siano diverse visioni di questa terra, nell’analisi della sua storia recente, del presente come del futuro del Trentino. Credo dovremmo parlarne, perché è un tema almeno per me dirimente, ma credo dovrebbe esserlo anche per quanto riguarda il PD del Trentino.  
26 Marzo 2010

venerdì, 13 aprile 2012

In serata a Mattarello si svolge l'incontro "Oltre l'illusione di una crescita infinita", organizzato da numerose associazioni del borgo a sud di Trento nell'ambito del ciclo "Nuovi stili di vita. Fra sobrietà, solidarietà, partecipazione". Relatori della serata siamo Dalma Domeneghini, dell'Associazione per la decrescita di Torino, e chi scrive. So bene che nel mio ruolo tanto di consigliere provinciale di maggioranza quanto di presidente del Forum mi si chiede coerenza, coerenza fra il dire e il fare, coerenza nei comportamenti. E per questa ragione non è affatto casuale che all'inizio del mio intervento scelga di proporre alle persone presenti l'epigramma di Andrea Zanzotto in una delle sue ultime interviste televisive prima di lasciare questo mondo. Che recita così: "In questo progresso scorsoio, non so se vengo ingoiato o se ingoio"...
25 Marzo 2010

giovedì, 25 marzo 2010

Oggi in programma c’era la terza seduta della sessione del Consiglio Provinciale. Il ritiro del Disegno di legge sul personale che tante polemiche ha provocato (la più recente proprio oggi sul Trentino con un’intervista di Gianni Kessler al Trentino che critica il presidente Dellai per aver fatto marcia indietro sul DDL della giunta), ha fatto sì che l’ordine del giorno venisse ultimato già nella giornata di ieri. Così ci si riprende il tempo per studiare e scrivere, nonché per una serie di incontri. Uno di questi è con il vicepresidente Pacher, con il quale affronto tre temi: la situazione dell’APPA, l’agenzia provinciale per l’ambiente, del suo funzionamento e potenziamento, delle sue relazioni con l’Azienda sanitaria, dei rapporti con gli enti locali e il territorio; il tema della gestione dell’acqua in Trentino su cui stiamo elaborando uno specifico Disegno di Legge; ed infine la questione dell’attuazione della legge sul Parco Agricolo dell’Alto Garda. C’è infine la questione del regolamento sugli impianti della telefonia mobile, che stanno sorgendo in maniera caotica in tutto il Trentino ma che mi rimane per oggi negli appunti. Temi sui quali con il vicepresidente proviamo ad indicare soluzioni ed un piano di lavoro. Ce n’è per i prossimi sei mesi, senza dimenticare che molte altri ambiti di intervento non meno importanti incombono. Ci vorrebbe un gruppo di lavoro per ognuno di questi titoli, una commissione ambiente del partito attiva e stimolante, un gruppo consiliare capace di lavorare come un collettivo. Nonostante si sia il gruppo consiliare di maggioranza relativa, ne siamo ancora ben lontani. Arrivo a casa ad un’ora decente. E così mi rimetto al lavoro davanti alla mia postazione internet di casa. Dopo cena, indosso invece i panni del telespettatore. Fra le centinaia di migliaia di persone che si sintonizzano sulla manifestazione spettacolo di Michele Santoro stasera ci sono anch’io. Non mi piace Santoro, ancor meno Travaglio ed in genere i talk show televisivi. Non amo l’idea che la proposta politica del centrosinistra si caratterizzi in negativo sulla figura di Berlusconi, considerandola una forma di subalternità. Ma oggi siamo in presenza di una tale involuzione politico istituzionale che ad essere in gioco sono i fondamenti della democrazia italiana. Per cui seppure per un attimo mi sento parte di quella moltitudine che cerca i modi per far sentire la propria voce. Santoro, Travaglio e compagnia continuano, anche a fine serata, a non piacermi. La sconfitta di questi anni non è stata il prodotto di un grande inganno, come qualcuno crede. Si è trattato di una sconfitta culturale prima ancora che politica. O si ricomincia da lì, o non se ne verrà a capo semplicemente dicendo tutto il peggio possibile di quel personaggio da operetta che da sedici anni, tranne un breve intervallo, guida questo paese. Per farlo occorre indagare quel che avviene nella nostra società (e la nostra capacità di comprenderlo), rivedere le nostre categorie interpretative, rimettere mano alle nostre idee e alle nostre proposte. Come vado dicendo da un po’, mettendo mano al nostro stesso vocabolario. So bene che la strada della politica è stata spesso resa impraticabile dalla politica stessa. E che dunque è più facile rincorrere il guru della situazione che prendere per mano il rancore di tanta povera gente. Ma non ci sono scorciatoie.  
25 Marzo 2010

martedì, 3 aprile 2012

Due argomenti su tutti nel diario di questo inizio di settimana, l'incontro di maggioranza sulla scuola e il seminario promosso da Punto Europa in preparazione del viaggio di studio presso le istituzioni europee di un folto gruppo di giovani trentini e non solo. E due anche i fatti che irrompono sul panorama politico nazionale, l'inchiesta giudiziaria che scuote profondamente la Lega che arriva fino al suo padre padrone e l'accordo che sembra essere stato raggiunto nella notte sulle misure governative sul lavoro e l'articolo 18...
23 Marzo 2010

martedì, 23 marzo 2010

Oggi inizia una tornata di Consiglio provinciale piuttosto nutrita di disegni di legge. Passa il n.78 "Modificazioni della LP sulle foreste e sulla protezione della natura…". L’unico neo è che in Commissione era stato introdotto un emendamento del consigliere Eccher sulla caccia (l’autorizzazione al transito sulle strade forestali di veicoli a motore per le attività di accompagnamento dei cacciatori…), cosa inaccettabile tanto che la mettiamo in discussione e la cosa viene sostanzialmente ridimensionata (per non sbagliarmi, ad ogni modo, voto contro l’articolo quand’anche corretto ). Arriva il rendiconto generale della PAT per l’esercizio 2008, un atto formale che pure evidenzia il positivo stato di salute delle casse trentine e anche questo viene approvato. Il vero scoglio all’ordine del giorno di questa tornata consiliare è rappresentato dalla legge sul personale della PAT: centinaia di emendamenti della minoranza e qualche punto controverso nella stessa maggioranza ne rendono incerto il cammino. Ma per oggi niente di particolare, se non il bisogno di protagonismo di una minoranza che non sa far altro che appellarsi demagogicamente al popolo come se l’esito del voto non rappresentasse nulla. Con Domenico c’è un rapporto di profonda amicizia, entrambi impegnati da una vita – pur in ambiti diversi – per affermare le cose in cui crediamo. E’ un po’ che non ci si vede ma nella nostra conversazione in pausa pranzo riprendiamo il confronto là dove l’avevamo interrotto qualche mese fa. C’è una comune preoccupazione per le derive che sta prendendo la politica (ma anche il giornalismo) per effetto di un progressivo e diffuso impoverimento culturale. E di una crescente incapacità di interrogarsi sui processi che avvengono nella nostra comunità, a cominciare dalle forme di riorganizzazione del potere economico. Conveniamo sulla necessità di uno spazio come quello proposto con "Politica è responsabilità" nell’indagare la sostanza come gli strumenti della democrazia e per questo gli chiedo di intervenire senza reticenze. Chiamo Ciro Russo in Argentina. Oggi la sua foto è su tutti i giornali locali, perché colpito da un mandato di cattura in Paraguay. Mi dice di essere tranquillo ma lo sento molto amareggiato e stanco. Ciro è una persona di rara forza d’animo, non l’ho visto scomporsi nemmeno di fronte alle calunnie più infamanti. E, negli ultimi anni, il logorio della calunnia, dei boatos giornalistici, è stato continuo, tanto che in più di una occasione mi sono trovato a chiedergli chi glielo facesse fare di continuare a fare quella vita, ogni anno migliaia di chilometri fra il Brasile, il Cile, l’Uruguay e l’Argentina a coordinare i circoli e l’attività progettuale della Trentini nel Mondo. E dall’America Latina all’Italia. Non è facile lavorare con l’emigrazione trentina, per una semplice ragione. Manca spesso un comune sentire che faccia da retroterra culturale all’agire dell’associazione. Inutile negarlo, le stesse comuni origini trentine sono andate col tempo smarrendosi, lasciando il campo a logiche talvolta opportunistiche e ai possibili vantaggi che ne possono venire. Il che può spiegare i piccoli grandi rancori, le cattiverie, la denigrazione. Ricordo quando il compianto Rino Zandonai mi parlava proprio di questo in relazione alle dinamiche interne alle comunità di origine trentina presenti nell’Europa orientale. Cerco, come posso, di fargli sentire la mia vicinanza. A fine giornata mi vedo con Mauro. Lavora all’Agenzia provinciale per l’ambiente che in queste settimane è stata nell’occhio del ciclone per effetto delle inchieste della magistratura sull’inquinamento ambientale. Un confronto molto interessante e ricco di stimoli sui quali lavorare per cercare di trasformare i mesi di lavoro della terza commissione nella sua indagine conoscitiva sull’inquinamento in proposte di ordine politico e legislativo. Quello sull’ambiente è uno dei temi che cerco di presidiare e gli chiedo di aiutarmi nel lavoro di elaborazione di tali proposte. Durante questo inizio di legislatura abbiamo portato a casa la salvaguardia del Colbricon e lo stop ai mega progetti idroelettrici sul Baldo – Garda. E questo, di per sé, darebbe significato al mio lavoro di questi mesi. Ma qualche altro traguardo lo possiamo mettere in conto.    Ah, dimenticavo. Durante la seduta pomeridiana arriva da Roma la notizia che il Consiglio di Stato ha rigettato il ricorso di chi voleva annullare le elezioni del novembre 2008. L’indomani, il direttore del "Trentino" parlerà di un "vento" avvertito dai cittadini per descrivere il sospiro di sollievo dei trentacinque consiglieri provinciali nei loro "comodi seggioloni". Un’immagine che farà sorridere, forse. Ma la notizia non mi dà alcun particolare sollievo.  
22 Marzo 2010

lunedì, 22 marzo 2010

Ieri abbiamo riposto il vestito palestinese più grande del mondo tessuto dalle donne di Hebron e dei villaggi vicini e piantato un ulivo proveniente da Gerusalemme nel parco Santa Chiara di Trento.  Atti simbolici Tutto bene, dunque, all’insegna del dialogo e del politicamente corretto. Ciò nonostante non riesco a sbarazzarmi di un’inquietudine di cui pure ho parlato nell’articolo che il Trentino ha pubblicato sabato e che trovate nella home page di questo sito. Perché nelle strade di Hebron e in tutta la Palestina c’è chi spara e chi viene ammazzato, chi attua la pulizia etnica e chi la subisce, chi si prende l’acqua e chi ne viene espropriato. Sono convinto che il dialogo debba essere cercato malgrado tutto, ma non posso tacere il fastidio verso chi non riconosce il sopruso, verso un far parti uguali fra disuguali, per usare l’espressione tanto cara alla scuola di Barbiana. Ho visto lungo le strade dello Stato di Israele troppi ulivi secolari tagliati di netto alla base del loro tronco per emozionarmi di fronte alla posa di una giovane pianta di ulivo in un parco di Trento. Troppi pini piantati per nascondere le macerie di antichissimi villaggi palestinesi rasi al suolo, per applaudire il rappresentante del Keren Kayemeth Leisrael, un’associazione ecologista che, come viene scritto nel loro sito web, «… nel 1901 iniziò a raccogliere in tutto il mondo i fondi necessari al riscatto della Terra d’Israele, la stessa Terra che oggi tutela con varie attività: ha bonificato paludi e piantato più di 200 milioni di alberi, ha livellato il terreno per la costruzione di infrastrutture e case, ha aperto strade e costruito bacini idrici per la conservazione dell’acqua piovana, ha fatto indietreggiare il deserto creando spazio per gli abitanti del paese». Quegli alberi, mi spiace, non rappresentano affatto un impegno ambientale. Quelle strade non sono state strumento di comunicazione fra le genti e quegli insediamenti sono avvenuti con la pulizia etnica della Palestina. E’ andata così, che ci piaccia o no. C’è anche un’altra narrazione, che parla di Europa e di Olocausto, che rivendica un risarcimento da parte dell’umanità intera che di quella tragedia porta con sé la responsabilità e che quella tragedia non ha avuto la capacità di elaborare per davvero.   Tutto questo non significa che oggi non si debba partire da quel che la storia, nel bene e nel male, ha prodotto. Partire dai quei ragazzi che in quei luoghi sono nati, dalle speranze di pace come dalle paure che accendono ed agitano le vite. Ed anche da tutte le persone che a Trento in questi giorni hanno cercato un dialogo che strideva con quel che stava accadendo in Palestina. Le vie della pace sono difficili, proprio perché le narrazioni faticano ad incontrarsi, ma è per questo che la pace non è banalizzabile. Nemmeno negli atti simbolici. E nemmeno nell’anticonformismo istrionico di Emir Kusturica che si presenta a Bolzano in serata, di fronte ad un cinema Cristallo pieno come nelle grandi occasioni. Che Kusturica sia un grande del cinema balcanico non ci piove. Personaggio controverso, amato ed odiato. Lui, che a Sarajevo è nato e che quella città dovrebbe amare nonostante "non sia più quella di prima", non può dire che la gente di Bosnia Erzegovina ha votato per un partito nazionalista e lì è cominciata la guerra perché questa lettura degli avvenimenti è un insulto alla sua stessa intelligenza. Perché se quella città è cambiata è anche perché qualcuno l’ha tenuta sotto assedio per tre anni e mezzo. Eppure la gente applaude le sue battute scherzose ed anche gli apprezzamenti non proprio lusinghieri verso altri uomini e donne della cultura di quel paese che non c’è più e che la pensano diversamente da lui. Narrazioni diverse. La pace è farle dialogare. Ma la cosa che mi sorprende e mi addolora (ed infastidisce un po’, per la verità) è come si possa rivendicare tutto quel che si è fatto senza un briciolo dell’autoironia proverbiale di questa gente. La colpa è di qualcun altro, mentre tu (in questo caso Kusturica) sei rimasto quel che eri. Il che, peraltro, non è di per sé una grande prerogativa. Luka Zanoni, amico e caporedattore di Osservatorio Balcani e Caucaso che ha il compito di intervistarlo, fatica a reggere il dialogo senza mandarlo al diavolo. Diciamo pure che la pace non si aiuta nemmeno così. Potrà costruirsi anche "la città di seconda mano", Mokra Gora, al confine fra la Serbia e la Bosnia, luogo di pace e di bellezza naturalistica come lui la definisce, ma gli orrori di quella valle che ho attraversato tante volte per andare da Kraljevo a Sarajevo passando per Visegrad non si cancellano tanto facilmente. E le storie di vita che lì sono state cancellate non si possono accontentare di un regista che l’ha comprata con quattro soldi.  
21 Marzo 2010

martedì, 10 aprile 2012

... Leggo tutto d'un fiato "Sarajevo, il libro dell'assedio" curato dall'amico Piero Del Giudice e presentato proprio in occasione del ventennale a Sarajevo. Raccoglie brani, testimonianze, racconti dell'assedio. Piero si concede solo la prefazione, nemmeno firmata, affinché a parlare di quei tre anni e mezzo di inferno fossero loro, i sarajevesi che decisero di non andarsene per non darla vinta agli assedianti. Quel loro rimanere fu un grande atto di civiltà, ma alla fine - è triste doverlo riconoscere - hanno vinto i moderni barbari perché la città ne è uscita profondamente ferita, i signori della guerra sono diventati influenti uomini d'affari, le persone anziane a vivere di dignità come sanno fare ma che faticano a mettere insieme il pranzo con la cena...
19 Marzo 2010

venerdì, 19 marzo 2010

Due flash. Il primo è lo stupore nel vedere la scarsa attenzione che viene dedicata dai quotidiani locali al Congresso della Cgil del Trentino. La Camera del lavoro di Trento conta quasi quarantamila iscritti, il suo congresso muove migliaia di delegati nelle categorie e a livello confederale, è un pezzo importante della dialettica sociale e democratica di questa terra. Le cose che qui vengono proposte e decise hanno un peso specifico non indifferente, gli interventi che vi si svolgono, le parole anche solo sul piano dei saluti che vengono portati, segnano impegni e responsabilità. Perché dunque dedicarvi così poca attenzione? Forse perché – come ha detto Dellai al congresso – la relazione del segretario Burli non si presta al "tritacarne mediatico" cui tende la rappresentazione di questo tempo? Forse perché prova ad interrogarsi sul nodo di fondo dell’uso delle prerogative dell’autonomia, accettandone la sfida? E’ davvero sconcertante come, di fronte ad un elemento di innovazione culturale, i giornali non riescano a cogliere. Eppure è proprio di questo che c’è bisogno. Problema molto serio. Potrei dire le stesse cose per i temi che oggi affrontiamo in Officina Medio Oriente. Si può scegliere la retorica del dialogo, oppure affrontare le questioni nella loro cruda e difficile realtà. E’ questo il secondo flash che vi voglio proporre. Si può parlare di quanto è bello mangiare insieme, cristiani, ebrei, mussulmani… oppure mettersi in discussione davvero, interrogandosi sul perché di una tragedia infinita, predisponendosi a dire parole dure verso la propria parte (o quella che si ritiene tale), tanto più dure quanto questa si dimostra più forte. Il contrario di quello che avviene. E, nel far questo, sapendo introdurre elementi di discontinuità. Proviamo a farlo nella serata "La pace, oltre i confini" all’ex Convento degli Agostiniani, nel momento forse più politico del confronto di questi giorni, ma alla fine ognuno dei relatori va per la sua strada ed il tentativo di porre il tema di una prospettiva post-nazionale nel dibattito sul futuro di quella parte cruciale del Medio Oriente e, a guardar bene, del mondo, cade nel vuoto. Quando tocchiamo il tema dell’Europa (perché l’Europa è un progetto politico post nazionale) è già tardi. Praticamente, un’occasione perduta. Ne parleremo a Milano, sabato prossimo, quando c’incontreremo per dar vita ad una nuova associazione culturale che dall’Europa allarghi il suo sguardo sul Mediterraneo. Lo ritengo un nodo cruciale, tanto da averlo proposto come orizzonte sul quale caratterizzare l’azione del Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani nei prossimi mesi. Perché è dalle strozzature della storia che bisogna ripartire. Nel dibattito butto lì la questione: le nuove guerre dette post ideologiche diventano scontro di civiltà, ci portano cioè ai nodi irrisolti della storia. Per questo si accaniscono contro la cultura, le biblioteche nazionali, le città. E’ davvero paradossale che culture millenarie come quelle ebraica e palestinese, che di questi intrecci sono state il lievito, non si accorgano dell’imbarbarimento che ne viene. Bossi, che da animale politico qual è l’ha capito da tempo, agita la "battaglia di Lepanto", la cristianità contro l’oriente. Analogamente, la gente comune – pur nell’appannamento generale – ha compreso istintivamente che il privilegio di un sistema di vita insostenibile lo si difende solo se un pezzo dell’umanità sarà condannata all’esclusione. La tragedia, e la sconfitta, è che gli va bene così. E’ ormai mezzanotte quando ne parliamo con Ali e Silvia, nel bellissimo scenario di piazza del Duomo.  
18 Marzo 2010

giovedì, 18 marzo 2010

Ore 8.30, sopralluogo al confine fra Lavis e Zambana dove la Wind ha installato un suo ripetitore della telefonia mobile. Decisione assunta dal Comune di Lavis ma che grava a ridosso delle prime case di Zambana. Uno sgarbo, insomma. Basta alzare lo sguardo e si possono notare a stretto raggio visuale altri due impianti, di altre compagnie telefoniche. Una proliferazione senza senso, impattante e comunque dannosa. Ne parliamo con alcuni abitanti del posto che da mesi cercano a suon di carte bollate di far valere le loro ragioni, ma convengono che la soluzione non può che essere politica, ovvero darsi un regolamento provinciale che metta un po’ d’ordine alla questione. Con il consigliere Bombarda decidiamo di farcene carico. Da Zambana ci trasferiamo a Cadino, dove alle 10 è previsto un sopralluogo della Terza Commissione consiliare sui terreni dove è prevista la realizzazione del biodigestore. Come a Lasino, anche qui centinaia di firme per dire che non si deve fare. Il luogo prescelto è una delle rare aree del fondovalle dove non ci siano abitazioni nel raggio di quasi un chilometro, in una zona di scarso pregio agricolo, piuttosto degradata di suo (proprio oggi ho presentato in Consiglio provinciale una "question time" sulla sporcizia lungo la strada statale del Brennero fra San Michele all’Adige e l’inizio del Sud Tirolo, adiacente fra l’altro all’area in questione). Le caratteristiche dell’impianto (di ultimissima generazione) sembrano dare tutte le garanzie e comunque una soluzione alla situazione costosa e insostenibile dell’esportazione dell’umido fuori provincia bisognerà pure trovarla. Ma questo non basta, visto che a qualche consigliere dell’opposizione non sembra vero di poter saltare sulla protesta di turno. Vedo in giro una grande disonestà intellettuale. Rientriamo a Trento. Un paio d’ore in ufficio e poi, nel pomeriggio, al congresso della Cgil del Trentino. Lo scenario è quello dell’interporto a Trento nord, uno dei molti "non luoghi" che s’incontrano nella nostra periferia urbana. Un palazzo di vetro che potrebbe essere collocato in qualsiasi luogo (o meglio in nessun luogo) tanto è anonimo. Dolorose eredità che lasceremo dietro di noi. Il Congresso inizia con il racconto di alcuni ragazzi che s’interrogano sul sindacato, non male l’idea. Interviene in apertura (credo sia la prima volta) il sindaco di Trento, per un saluto niente affatto rituale che entra invece nella condizione sociale del nostro tempo. Un bell’intervento quello di Alessandro Andreatta. E poi, a seguire, la relazione del segretario generale uscente Paolo Burli. Il peso della tensione si coglie nel suo volto teso e nemmeno la fine delle dodici fitte cartelle del suo intervento sembrano far posto ad un sorriso. Quella di Burli è una relazione intensa e stimolante. Che s’interroga sul rancore e su un benessere che non ci rende felici. Sul ruolo del sindacato, che dev’essere contrattuale più che di supplenza politica. Il che non impedisce una sua capacità di sguardo sulle contraddizioni che emergono nella nostra società e sulle necessarie linee di innovazione per il futuro. Un ruolo contrattuale non solo sul piano del conflitto sociale, che ha nel rapporto con la Provincia Autonoma di Trento uno snodo cruciale, di cui si colgono le scelte positive (come si è affrontata la crisi globale) come i ritardi (nella direzione di un’economia sostenibile). Ne emerge un sentirsi parte di una "comunità autonoma" (concetto caro al presidente Dellai) che responsabilmente cerca il proprio destino. Anche questa è una piccola interessante, novità. Mi piacerebbe interloquire. Vedo un tema, in particolare, solo sfiorato dalla relazione di Paolo, ascrivibile a quello più generale dell’interdipendenza,  che richiede una visione che dovrà essere almeno europea e senza la quale ben difficilmente verremo a capo delle nuove forme che assume il lavoro. Di situazioni come quelle di una manodopera impiegata in Trentino ma che ha i propri riferimenti contrattuali in Romania o altrove. Perché se effettivamente vogliamo interrogarci sul rancore è anche da qui che dovremmo partire, comprendendo che questo sentimento nasce dalla paura verso il futuro. Perché, ad esempio, sono i soggetti più deboli a non volere l’Europa? L’apertura delle frontiere viene intesa come la ragione di una progressiva precarizzazione, che innesca una potenziale guerra fra poveri che dà spazio alla chiusura e a chi di queste preoccupazioni si erge a paladino. Sono problemi veri, che investono i lavoratori dipendenti in primo luogo. Fili scoperti, che dobbiamo avere il coraggio di prendere per mano. Come, in positivo, dobbiamo avere chiaro del valore straordinario dell’autonomia. Non c’è tema che oggi non passi attraverso un uso intelligente delle nostre prerogative autonomistiche, dalla conoscenza, agli ammortizzatori sociali, alla gestione delle nostre risorse quali la terra, l’energia, l’acqua. Temi che sono al centro dell’intervento del presidente Dellai, un intervento politico e intelligente come lui sa fare. Penso fra me quale potrebbe essere il modo per interloquire in forme diverse con il sindacato, perché le ragioni che hanno portato all’avvio di "Politica è responsabilità" riguardano anche le soggettività sociali di questa nostra comunità. Mi riprometto di parlarne con Paolo appena il congresso sarà alle spalle.  
18 Marzo 2010

martedì, 28 febbraio 2012

Provo angoscia per quel che sta avvenendo in queste ore in Val di Susa. La scelta di salire su un traliccio dell'alta tensione mettendo in gioco la propria vita ci racconta di un conflitto che non trova più margini di mediazione. Che si sono tagliati i ponti di comunicazione, che la vittoria di una parte comporta l'annichilimento dell'altra e che il conflitto è destinato così a produrre solo frustrazione e rancore. La lotta nonviolenta ci insegna invece che uno spiraglio va sempre lasciato o ricercato, per una soluzione che non sia umiliante per ognuna delle parti, a prescindere da chi vince e da chi esce sconfitto, nella ricerca spesso dolorosa di un compromesso che faccia maturare la contraddizione...
16 Marzo 2010

martedì, 16 marzo 2010

Ieri ho ricevuto un messaggio di Paolo Malvinni, i suoi complimenti per il sito di "Politica è responsabilità" e un rimbrotto per non aver risposto ad una proposta di lavoro teatrale sui temi della memoria rivolta nei mesi scorsi al Forum. Nel mare di messaggi, capita di non trovare il tempo di rispondere o di selezionare distrattamente. Allora mi scuso telefonicamente con lui e ci mettiamo d’accordo di vederci all’indomani. E’ così che ci incontriamo alla Biblioteca comunale di Trento. Gli parlo del lavoro che abbiamo iniziato al Forum trentino per la Pace e i Diritti Umani per uscire dalle secche della ritualità e del pacifismo di maniera. Dell’itinerario su "Europa e Mediterraneo" che tratteggerà il nostro lavoro da qui fino almeno all’estate 2011, del lavoro di ricostruzione di senso per le parole che usiamo, scavando nei concetti di pace, solidarietà, diritti umani per indagarne i lati inconfessabili come ad esempio la "felicità della guerra". Avverto di aver toccato corde sensibili. Sono felice di scoprire che sono temi che lo appassionano e sui quali ha aperto un suo personale percorso di ricerca. Mi consiglia dei testi e mi offre la sua collaborazione. E’ così che si creano sentieri di approfondimento e di ricerca, per cercare di uscire dalla crisi profonda in cui è finita la pace. O meglio, il pacifismo. La cui agenda, se c’è, non sa fare altro che rincorrere gli eventi e le emergenze. Lavoro un paio d’ore in ufficio e poi vado alla sede del PD del Trentino dove è convocata una riunione congiunta fra Coordinamento e Gruppo consiliare provinciale. In discussione i più importanti Disegni di Legge all’esame del Consiglio provinciale: il DDL n.80 sulla riforma sanitaria, il n.90 sul personale  della Provincia, la riforma sul commercio e quella sulla promozione turistica. Tranne che sui primi due, che arriveranno in aula in tempi brevi, sul resto apriamo solo l’istruttoria, demandando alle Commissioni del partito un lavoro di approfondimento. Un secondo punto di spessore è la questione delle nomine di competenza provinciale, tema assolutamente delicato su cui sappiamo esserci una sensibilità particolare nell’opinione pubblica. Affrontiamo la cosa sul piano del metodo, senza entrare nel merito delle stesse, per dire come queste debbano essere assunte in piena autonomia dalle istituzioni preposte, fatti salvi i criteri di competenza, onestà e visione politica che dovrebbero caratterizzarle. Il che non significa non prendersi le proprie responsabilità anche nell’indicare persone all’altezza, considerato che la nostra comunità ci giudicherà anche per queste scelte. C’è fra tutti un pieno accordo. Discutiamo infine della situazione che segna la fase di preparazione delle elezioni amministrative che in Trentino si svolgeranno domenica 16 maggio. Roberto Pinter, che insieme al segretario Michele Nicoletti segue con attenzione ed equilibrio questa delicata partita, delinea un quadro ancora molto incerto. La situazione è piuttosto ingarbugliata, per effetto delle tentazioni presenti nel blocco di centro (UpT, Patt, Udc) di sperimentare maggioranze variabili o imporre candidature irricevibili, oppure per effetto di dinamiche locali difficilmente governabili. La situazione più importante è quella di Rovereto, dove pure il centro sinistra autonomista ha raggiunto un positivo accordo sul nome di Andrea Miorandi. Una proposta bella e innovativa, accettata anche dalla locale sezione dell’Udc ma smentita dai vertici provinciali di quel partito che invece insistono per ricandidare il sindaco uscente Valduga. Tanto da determinare l’uscita della sezione locale dal partito e la presentazione di una loro lista civica in appoggio ad Andrea Miorandi. Qualche margine di incertezza c’è ancora, anche perché è stato per primo Lorenzo Dellai ad avanzare nei mesi scorsi l’ipotesi di riconferma di Guglielmo Valduga. I problemi più grossi ci sono ad Arco. Anche qui, ad una prima candidatura proposta dall’UpT e dallo stesso presidente Dellai di Mattei è corrisposta un’altra candidatura da parte della maggioranza locale dell’UpT e del Patt verso la persona dell’ex sindaco Morandini. Mentre sulla prima c’era una larga convergenza, sulla seconda niente affatto perché considerata espressione dei poteri forti. Solo che le difficoltà su Arco si riverberano anche su Riva del Garda dove una soluzione era stata raggiunta, ma anche su Mori (UpT spaccato in due) e su Ala. Senza dimenticare la spaccatura, ormai irrimediabile, di Levico che ha visto la rinuncia del sindaco Stefenelli, la cui uscita polemica verso l’UpT (trovate la sua lettera nella sezione "PD del Trentino" di questo sito) ha riempito le cronache locali nei giorni scorsi. Ne esce un quadro preoccupante proprio dello stato di salute del nostro principale alleato nella coalizione provinciale, l’Unione per il Trentino, fragile e dilaniato al suo interno da interessi contrastanti. Che la presidenza Dellai tiene insieme ma che lascia trasparire profonde incognite per il futuro. Una ragione in più per trovare le forme e i luoghi per consolidare le linee politico-programmatiche dell’alleanza di centro sinistra autonomista e per rimettere in moto un processo di ricomposizione di una soggettività politica territoriale capace di andare oltre l’attuale assetto partitico. Ma questo è un altro discorso, che pure non intendo fare cadere, e la spessa proposta di "Politica è responsabilità" va proprio nella direzione di dar vita a luoghi di fluidificazione del pensiero oltre ogni appartenenza.