22 Aprile 2010

giovedì, 22 aprile 2010

Sono piuttosto preoccupato per la tenuta della maggioranza che governa la nostra autonomia. Non mi riferisco alle fibrillazioni di cui spesso parlano le cronache giornalistiche, né al clima fra i partiti della coalizione che invece mi sembra, nonostante le difficoltà emerse nella formazione delle alleanze in vista delle elezioni comunali di maggio, tutto sommato positivo. E confermato dalla stessa riunione dei rappresentanti dei partiti e dei consiglieri della maggioranza che si tiene in serata nella sala Wolf della Provincia. Sono preoccupato per altri aspetti, ben più profondi delle scaramucce tanto care al pettegolezzo. Il primo riguarda l’orientamento della base sociale che ha sin qui espresso in Trentino il centro sinistra autonomista. Il secondo è la difficoltà di interpretare questo tempo da parte della politica. Di entrambe questi temi ho intenzione di scriverne nei prossimi giorni, quando troverò un momento di concentrazione. Ma la riunione di questa sera della maggioranza mi conferma in queste preoccupazioni che vi espongo succintamente. In primo luogo perché non ci si interroga affatto sulle trasformazioni anche rapide che avvengono nella nostra società, quasi dando per scontato che l’onda lunga di quel che accade in Italia qui non possa attecchire. E’ la prima questione. Il "blocco sociale" che ha espresso la diversità della nostra provincia rispetto al resto del nord di questo paese ha le sue principali radici nell’autonomia (una lunga tradizione di autogoverno) e nell’assetto proprietario riconducibile alla cooperazione trentina. Un blocco sociale che oggi però mostra crepe vistose, ben evidenziate dai fattori di crisi che investono alcuni comparti della cooperazione, che in questi anni sono stati protetti ma non aiutati a crescere sul piano della qualità delle produzioni come del loro ruolo sociale. La seconda questione è la fatica della politica a leggere il presente. Ci si affida ai sondaggi piuttosto che alle analisi, alla ricerca del consenso invece che alla crescita culturale, all’assecondare corporativismi anziché raccogliere e lanciare sfide nuove. Discutiamo della situazione economica in Trentino e ragioniamo ancora attorno ai punti di crescita del PIL senza accorgerci che nelle ragioni che erano alla base della crisi finanziaria mondiale nulla è cambiato. Tanto che il presidente degli Stati Uniti proprio oggi andava a Wall Street per cercare di indicare alcune regole per mettere le briglia allo strapotere dei titoli derivati, mentre noi nemmeno ci poniamo il problema di come utilizzare le potenzialità del nostro territorio (a cominciare dal sistema delle casse rurali) per rompere l’assedio della finanziarizzazione. Anche in Trentino, "tutto è come prima" dicono i bene informati. Oppure. Dovremmo avere la capacità di vedere come la globalizzazione sta cambiando il mondo del lavoro. Ne fa un cenno Ale Pacher nella riunione della maggioranza, quando descrive un dato piuttosto preoccupante: ditte di progettazione che concorrono ai bandi con offerte che indicano ribassi dell’80% perché tanto a lavorare è qualcuno che sta a diverse migliaia di chilometri, in India ad esempio, con paghe incommensurabili e contratti da schiavi. Lo stesso potremmo dire con la tendenza sempre più invasiva di lavoratori comunitari che arrivano a lavorare in Italia ma con i contratti dei loro paesi magari stipulati da ditte nostrane che lì hanno trasferito le loro attività. Lo stesso concetto di welfare andrebbe affrontato con una particolare attenzione alle traiettorie individuali (ho letto con particolare interesse il contributo di Michele Guarda nell’ambito del confronto su http://www.politicaresponsabile.it/ nel confronto sulla tesi welfare-lavori proposta da Franco Ianeselli). Per non parlare delle questioni che ho posto da tempo, del controllo sulle enormi masse di denaro che si riciclano nel mattone o nella terra, invadendo e condizionando interi comparti dell’economia dei territori. Ma di questo non si discute nella riunione di maggioranza. Vedo un solco fra la realtà dei partiti e le necessità di una politica capace di guardare oltre l’orizzonte del giorno per giorno. In realtà manca un minimo comun denominatore che possa fare da collante alla coalizione, servirebbe qualcuno che ci lavora, istruendo gli incontri, promuovendo riunione a tema, favorendo la fluidificazione dei pensieri. Di tutto questo spero di riuscire a parlarne con il presidente Dellai, visto che della coalizione dovrebbe essere il garante e al quale una visione ampia certamente non manca. E di un altro aspetto, che riguarda da vicino tutto questo, quello dell’educazione permanente. Perché solo una comunità consapevole è in grado di abitare il tempo della globalizzazione senza subirne gli effetti perversi. Ne parlo in avvio di giornata con Dario Ianes, al quale propongo di far parte di un gruppo di lavoro che sto mettendo insieme per elaborare un Disegno di legge proprio dedicato al tema dell’educazione permanente (se qualcuno è interessato, si faccia vivo). E’ infatti mia convinzione che uno snodo decisivo per una comunità responsabile sia proprio quello dell’agire sulle motivazioni delle persone, sulla capacità di guardare in maniera non conservatrice alla propria attività professionale, sulla disponibilità al cambiamento, sulla voglia di mettersi in gioco, sulla necessità di interrogarsi sulle proprie certezze e sui propri saperi. Penso a quanta parte della pubblica amministrazione richiederebbe una capacità di innovazione a fronte di contesti profondamente cambiati e alle straordinarie potenzialità che si potrebbero attivare. E di come questo valga anche per la cooperazione o per il settore privato. Dario con il suo collega Fabio Folgheraiter ha fondato nell’ormai lontano 1984 le Edizioni Erickson, oggi casa editrice leader in Italia nel settore degli studi pedagogici, dell’apprendimento e dell’handicap, con un fatturato che supera gli 8 milioni, con un catalogo di 1.173 opere e oltre settanta dipendenti. Lunedì prossimo, fra l’altro, ci sarà l’inaugurazione della nuova sede a Gardolo. Forse sarà l’occasione per parlarne. Diverso è l’argomento, ma della necessità di un approccio responsabile con il mondo si parla anche nell’incontro promosso nel pomeriggio dalle Acli e dal CTA (l’organizzazione turistica aclista) che ha come oggetto il turismo responsabile. Sono fra i relatori dell’incontro e pongo esattamente questo problema: il viaggiare non solo come occasione di sostegno a processi di sviluppo locale in situazioni impoverite tipico del turismo responsabile, ma come modo di abitare i conflitti e per avere uno sguardo vivace e strabico sulla modernità, […]
21 Aprile 2010

mercoledì, 21 aprile 2010

A cena con noi c’è Ciro Russo, coordinatore dei progetti finanziati dalla Provincia Autonoma di Trento in sud America. Con Ciro c’è una vecchia amicizia fin dai tempi in cui era segretario della FIM, il sindacato metalmeccanico della Cisl trentina. Conclusa quell’esperienza, era la fine degli anni ’80, se ne andò per conto della PAT prima in Mozambico e dal 1992 nel Chaco, nel nord dell’Argentina, dove è rimasto in tutti questi anni per seguire i progetti della "Trentini nel Mondo". Non esattamente un luogo di vacanza visto che se la regione dove Ciro normalmente risiede viene chiamata "Pampa dell’inferno" un motivo dovrà pur esserci. Un ruolo di grande responsabilità considerato che gran parte dell’emigrazione trentina ha avuto l’America Latina come destinazione. Ciro non è certo persona da farsi intimidire di fronte alle responsabilità, viene per così dire dalla gavetta, anch’egli figlio di migranti pugliesi, operaio alla Alumetal di Mori, poi protagonista con Bepi Mattei di quella straordinaria vicenda sindacale e politica che fu negli anni ’70 la FLM trentina. Ricordo ancor oggi quella certa diffidenza con cui Ciro osservava questi giovani militanti della nuova sinistra con i quali si stava avviando un percorso politico comune, anticipando in Trentino il processo che diede vita a Democrazia Proletaria. Lui, come buona parte degli attivisti della FIM Cisl, militava infatti del Partito di Unità Proletaria di Vittorio Foa, Pino Ferraris e Silvano Miniati. Io venivo dall’esperienza di Avanguardia Operaia, organizzazione politica che in Trentino aveva un certo radicamento nell’Università, nelle scuole e nei quartieri, fatta di giovani intellettuali, "quadri" come si diceva allora. Mondi e storie diverse che s’incontravano. Poi col passare degli anni diventammo amici, qualche vacanza insieme al Bohinjsko Jezero quando ancora c’era la Jugoslavia, il comune impegno in DP del Trentino e successivamente nel dar vita a Solidarietà. E’ dal 1992 che Ciro mi invita ad andare in America Latina per vedere i progetti e le attività della Trentini nel Mondo. Non ho mai trovato il tempo, imperdonabile. Eppure la cooperazione internazionale, proprio a partire da quegli stessi anni, è diventata un territorio importante del mio percorso umano e politico. In compenso, abbiamo continuato a scambiarci idee e pensieri sui temi della mondialità e, nonostante la distanza fisica, la nostra amicizia è andata crescendo. Anche partendo dalle difficoltà che una cooperazione non banale porta con sé, a cominciare dalle critiche che quando pesti sui piedi a qualcuno o non assecondi qualcun altro circondano il tuo lavoro. Nella consapevolezza che quando decidi di abitare crinali tanto complessi sbagliare è pressoché inevitabile. Ma un conto sono le cattive parole che ti cadono addosso quando ti trovi a compiere scelte che per un motivo o per l’altro possono cambiare la vita e i destini delle persone (quante volte di fronte a certi articoli di giornale che facevano eco ai "boatos" ho detto a Ciro "ma chi te lo fa fare"), altro è quel che è accaduto nelle scorse settimane, quando la magistratura del Paraguay si è prestata alle ritorsioni di persone allontanate dall’attività della Trentini nel Mondo incriminando Ciro Russo ed emettendo nei suoi confronti un mandato di cattura. Il Paraguay è la classica "repubblica delle banane", dove non c’è uno stato di diritto e dove tutto si gioca attraverso l’amico dell’amico. Così si può finire "ricercati" perché hai provato a demolire dei gruppi di potere che avevano come obiettivo quello di intercettare i fondi della PAT. La cooperazione è anche questo, e Ciro lo aveva già imparato a sue spese in Mozambico, quando nel rifiutarsi di pagare tangenti aveva rischiato di lasciarci le penne. Già un paio d’anni fa, come Trentini nel Mondo, si erano posti il problema se stare o meno in quel paese, e proprio Ciro aveva insistito di mantenere aperti alcuni progetti rivolti alle comunità locali (anche trentine, visto che giustamente quando si opera in un territorio, non puoi rivolgerti solo ad una parte dei suoi abitanti), probabilmente fra le più povere dell’emigrazione italiana in Sudamerica. Evidentemente sottovalutando i pericoli che potevano essere in agguato in un paese dove basta una denuncia e un po’ di connivenze per mandare in galera qualcuno. Avevo sentito Ciro al telefono e via mail nelle scorse settimane per cercare di capire quel che stava accadendo. Ma stasera è un fiume in piena. Non l’ho mai visto così indignato. Per l’assurdità kafkiana di tutta questa vicenda, per l’incertezza delle reazioni, per la fragilità delle relazioni, per lo stesso atteggiamento di una parte della stampa trentina che ha provato – senza grande successo per la verità – a sbattere il mostro in prima pagina. Quella stessa stampa che qualche mese fa, di fronte alla tragedia che ha colpito la Trentini nel Mondo e l’intera comunità trentina con l’incidente costato la vita a Rino Zandonai (che della Trentini nel Mondo era il direttore), Gianbattista Lenzi (consigliere provinciale) e Luigi Zortea (Sindaco di Canal San Bovo), parlava di eroi della cooperazione e del valore dei legami profondi con i nostri migranti e che poi, con altrettanta facilità, si dispone a dare ascolto alle calunnie  piuttosto che reagire indignata. Ma anche questo fa parte del clima odierno, di una comunità sempre più fragile e provata nella sua coesione sociale. Costruire una comunità coesa nel saper affrontare le sfide del presente, prima fra tutte quella di usare le prerogative dell’autonomia per abitare la globalizzazione, dovrebbe essere il senso profondo anche del tessere un legame profondo con la nostra storia di popolo migrante. Invece sporchiamo tutto. Ciro aveva in programma di chiudere la sua esperienza in America Latina nel corso di quest’anno, ma ora, prima di ritornare definitivamente, intende uscire senza ombra alcuna questa vicenda, anche a costo di andare in Paraguay a difendersi nell’aula di un tribunale. Lo vedo più ancora determinato del solito, anche se l’amarezza pesa. Tante altre cose nel corso della giornata, ma di questo volevo parlarvi.  
20 Aprile 2010

martedì, 20 aprile 2010

Mi fa bene cambiare aria. Il rientro ed anche la riunione del Consiglio regionale sembrano più leggeri, un po’ per il fatto che il Consiglio scorre via senza intoppi, dopo essersi sbloccata la discussione sulla legge che riguarda i segretari comunali. Con la trattazione di una mozione sull’Iran chiudiamo anticipatamente i lavori, nella comune consapevolezza che è piuttosto inutile star in aula a perdere tempo, trattando mozioni che non interessano granché. E quella che il consigliere Morandini aveva presentato mesi e mesi fa sulla repressione in Iran è proprio una di queste. E’ mia forte convinzione che il Consiglio regionale dovrebbe occuparsi prevalentemente di questioni che hanno a che vedere con le relazioni internazionali, transfrontaliere, delle minoranze, immaginando una Regione definitivamente privata di competenze amministrative, assegnandole un ruolo di indirizzo in particolare attorno ai temi europei ed euroregionali. Accade invece che la miopia dei più, penso in particolare all’intervento di Pichler Rolle, porti a dire che di queste cose (in questo caso l’Iran) il Consiglio regionale non dovrebbe nemmeno discuterne. C’è davvero poca capacità di visione, specie se penso che grazie proprio all’ancoraggio internazionale la nostra regione ha potuto beneficiare di un’autonomia dinamica che oggi viene studiata in ogni parte del mondo. La mozione in questione, debitamente emendata grazie agli interventi del sottoscritto, dei consiglieri Dello Sbarba e Anderle, passa con l’astensione della SVP. E il consiglio si chiude qui. Vado da Pacher per concordare un po’ di cose sul Lomaso. Sotto la Provincia le Bandiere rosse dei Comunisti italiani e di Rifondazione, non so bene a protestare per che cosa, sono nella loro solitudine davvero patetiche. Eppure ci sono un paio di telecamere a riprenderle, "a prescindere" come direbbe Totò. C’è proprio bisogno di rovesciare lo schema dell’attuale rappresentazione politica, per non farsi imbrigliare in una storia che sembra ripetersi all’infinito diventando farsa. Rovesciare lo schema però non è semplice, in primo luogo perché la rappresentazione che s’impone è ancora quella nazionale. Più lo sarà, più i territori saranno sorvolati dalla politica "romana", più la Lega apparirà come l’unico soggetto pigliatutto, ad un tempo rassicurante ed antisistema, nonostante sia al governo del paese. Ne parlo con Riccardo Dello Sbarba in un intervallo del Consiglio regionale per capire se loro, come Verdi del Sud Tirolo, si stiano ponendo queste stesse domande. Difficile per loro immaginarsi di "auto proteggersi" in un PD altoatesino che per governare deve sostanzialmente rinunciare a contendere l’elettorato di lingua tedesca alla SVP. La quale mostra segni ormai evidenti di difficoltà proprio a mantenere il ruolo di "partito di raccolta". Epperò il problema se lo stanno ponendo, anche in considerazione che la federazione dei verdi di cui sono parte nelle ultime elezioni regionali è stata sostanzialmente cancellata. Anche il presidente Dellai se lo pone, visto che l’Api non vola e non rappresenta affatto territorialità diffuse. Occorrono due o tre anni di lavoro, come dice nella sua recente intervista al Trentino. E’ bene che se ne sia reso conto. Occorre altresì la capacità di scartare sul piano del pensiero, aggiungo io. Nei prossimi giorni proverò a parlargliene. Ma in tutto questo, quel che mi sorprende, è il vuoto del PD sul piano nazionale, più intento a rassicurare che ad interrogarsi. La risposta alle istanze federaliste di cui Romano Prodi si è fatto interprete lascia davvero di stucco: pensare che oggi il problema sia l’unità del paese anziché la capacità di sintonizzarsi con i territori e di ripensare così tanto i paradigmi quanto lo schema della politica vuol dire proprio non aver capito. E’ la percezione che ho sentendo in un programma televisivo quel che dice Massimo D’Alema parlando di alleanze. Con questa classe dirigente non andremo da nessuna parte.  
19 Aprile 2010

lunedì, 19 aprile 2010

Il mare è calmo, arriva in stanza una leggera brezza. Senj è un’antica città marittima, circondata dalle mura che la proteggevano dalle incursioni dei nemici, sovrastata dal castello degli Uscocchi che domina il golfo a sua volta circondato dalle isole fra le quali le piccole ed agili imbarcazioni riuscivano a mettere in scacco le grandi navi mercantili della Repubblica di Venezia. Lungo la litoranea il sole fa le prime prove d’estate. Passiamo il golfo di Bukari e Rijeka (la città di Fiume, capitale istriana dove ancora numerosa è la comunità di lingua italiana) ed è mattino inoltrato quando arrivo a Trieste. Eugenio prosegue in treno, io invece ne approfitto per salutare qualche amico. Chiamo Matteo Apuzzo. Ha lavorato per anni con la Fondazione Maritain, ha curato il master postuniversitario di Portogruaro dedicato ai Balcani ed ora è impegnato nella progettazione europea. E’ stato anche segretario provinciale della Margherita e poi nel PD, ma ora è ai margini del partito. Ci mettiamo a conversare in un caffè di piazza Unità d’Italia, è un po’ che non ci si vede e dunque molte le cose da raccontarci. Parliamo soprattutto di politica e anche lui conviene che è necessario cambiare lo schema di gioco a partire dai territori. Il clima politico in Friuli dopo la sconfitta di Illy di un anno fa non è certo favorevole e fra un anno la Provincia ed il Comune di Trieste torneranno al voto. Ma non si coglie alcuna capacità di indagare le ragioni della sconfitta, di allora come delle scorse settimane. Rimaniamo di organizzare un incontro per parlare di una prospettiva territoriale che oggi non c’è. Come sono strane le cose. Nella conversazione con Matteo parliamo di varie cose fra cui il programma del Forum sulla cittadinanza euromediterranea. In questo viaggio avrei voluto passare da Zagabria per vedere lo scrittore Predrag Matvejević e così scopro che proprio oggi Predrag è a Trieste per una conferenza sull’Europa. Così lo chiamiamo e dopo un quarto d’ora ci vediamo al caffè Specchi. Con Metvejević siamo amici e rivederlo è davvero un grande piacere. I suoi saggi sul Mediterraneo lo fanno una delle persone più sensibili e competenti sul nostro mare, il suo "Breviario Mediterraneo" è uno dei testi più affascinanti per immergersi nella sua storia. Ora sta lavorando su "Pane nostro", che il primo settembre uscirà nelle librerie italiane. E’ la storia del pane del mediterraneo, quel che il pane rappresenta nelle culture e nelle tradizioni che i marinai portavano di approdo in approdo. Nel programma del Forum c’è l’idea di una grande manifestazione sul pane, che vorremmo realizzare in una piazza di Trento con la narrazione di Predrag. E’ entusiasta dell’idea e così rimaniamo d’accordo. Nel caldo sole primaverile parliamo di tante cose, soprattutto quel che questo tempo ci sta riservando. E di come male è messa l’Europa in cui ha creduto insieme a Romano Prodi che gli aveva affidato il prestigioso incarico di seguire per conto della Commissione il protocollo di Barcellona sul Mediterraneo. Idee e progetti oggi caduti nell’oblio. Lo lascio dandogli una copia di "Darsi il tempo", Predrag mi chiede una dedica, cosa sempre difficile da scrivere ma che in questo caso mi viene d’istinto. Siamo nel golfo di Trieste, a due passi dal porticciolo nei pressi della vecchia stazione marittima si intravvedono delle meduse straordinariamente grandi ma anche altrettanto belle. Come bella è la sorpresa di rivedere Caterina, amica geografa che ha lasciato le sue antiche rotte per la musica. L’ho conosciuta qualche anno fa in un convegno sulle "Città divise" che Matteo Apuzzo aveva organizzato proprio qui, a Trieste. Ne venne un libro, edito dalla "Infinito edizioni", e l’amicizia con Caterina con la quale ho condiviso, fra l’altro, l’affetto per la bosanska kafa e per una città Mostar. Mi rimetto in viaggio verso Trento. I chilometri volano, ma non avverto fatica. Come amo l’andare, amo anche il ritorno.
18 Aprile 2010

domenica, 18 aprile 2010

Sarajevo. Il canto del muezzin mi sveglia al mattino presto e così, ancora un po’ assonnato, entro nello spirito del luogo. Ha un bel dire Kusturica che Sarajevo non è più quella di un tempo. E’ vero certamente che la guerra si è portata via almeno diecimila figli di quella città, che una parte della popolazione se ne è andata, che c’è stato un esodo dalle campagne verso la città che ne ha in parte modificato la composizione sociale, che la guerra l’hanno vinta i nazionalisti (di tutte le parti) e tante altre cose ancora. Eppure la forza di quella città ancora la vedi nella dignità delle persone anziane, nel fascino delle sue moschee, nella laboriosità dei suoi artigiani lungo le vie che dalla piazza della città vecchia salgono verso la collina. Sono contento di essere qui, seppure per poche ore. L’incontro che abbiamo programmato intorno alle attività sul turismo responsabile ha un esito positivo. L’aver scommesso qualche anno fa sul turismo responsabile come ambito di valorizzazione delle unicità dei luoghi, di ripesa economica ed insieme di conoscenza di un pezzo imprescindibile di Europa, non ha ancora dato i risultati che avremmo voluto nonostante il cuore del vecchio continente sia ai più largamente sconosciuto. Troppi ancora i pregiudizi, profonda l’ignoranza. Si preferisce farsi suggestionare da un povero diavolo come Brosio che, dopo la sua mamma e la coca, ha "visto" la Madonna a Medjugorje, apparsa una volta a Lourdes ma almeno un centinaio di volte nelle colline dell’Erzegovina dove l’industria del pellegrinaggio non conosce tregua nonostante il Vaticano e la stessa chiesa di Zagabria abbiano più volte diffidato dal culto di Medjugorje. Una storia che andrebbe raccontata, fatta di estremisti ustaša, fanatismo, traffici d’armi, colossal americani, scomuniche, rapimenti e… milioni di pellegrini. Nel pomeriggio scegliamo la strada più lunga per il ritorno, per il piacere di andarci a prendere la bosanska kafa a Mostar, nel piccolo locale nei pressi del "vecchio" ponte dove – quando mi capita di soggiornare nella capitale erzegovese – vengo al mattino presto a godermi il primo sole. Quello stesso ponte distrutto nella guerra dalle cannonate dei croati nell’intenzione di cancellare il simbolo della storia turca di questa città, colpi che partivano proprio dalle colline intorno alla città in fondo non troppo lontane dai luoghi delle apparizioni. Oggi quello stesso ponte ricostruito viene ammirato dai pellegrini italiani che dopo essere andati a Medjugorje almeno arrivano fin qui, ma che niente affatto s’interrogano su quel che è accaduto e nemmeno sanno che quel ponte veniva bombardato dagli amici di Padre Jozo che dell’industria di Medjugorje è il grande artefice. Alcuni di questi si fermano a parlare con noi, vengono da Milano e ci chiedono che cosa facciamo lì. Diciamo loro che stiamo arrivando da Sarajevo e ci guardano strani come a domandarsi "che cosa si può andare a fare a Sarajevo?". Proprio a questo dovrebbe servire il lavoro di associazioni come "Viaggiare i Balcani" e i viaggi di conoscenza che vengono organizzati, qui come in altri paesi della regione. E’ una grande scommessa, ma i luoghi di cui parliamo sono troppo interessanti da non indurci a desistere. Non abbiamo il tempo per fermarci oltre, vedere gli amici di qui, assaporare l’aria della Neretva. Dobbiamo ripartire e tiriamo fino ad arrivare a Senj, sul mare degli Uscocchi (i pirati che nel XiV e XV secolo assalivano le navi veneziane), dove ci fermiamo a prendere una frittura di calamari e a dormire. Ci risveglieremo l’indomani in riva al mare, là dove nasce la bora, il vento di Trieste.
18 Aprile 2010

domenica,1luglio 2012

Diario di viaggio nell'Europa di mezzo. Ultima puntata.

Mentre rientro in Italia mi arriva un messaggio: "Sono tornato dalla Bosnia domenica" mi scrive Jovan e aggiunge "Ratni profiteri non vedono l'ora per cominciare una nuova guerra". "Ratni profiteri" sono i profittatori di guerra e stanno ad indicare una chiave di lettura rispetto a ciò che è accaduto nella vecchia Jugoslavia all'inizio degli anni '90. Jovan è un profugo di guerra che vive e lavora in Trentino, a Borgo Valsugana. Siamo diventati amici, abbiamo più o meno la stessa età e spesso ci scambiamo senza infingimenti le nostre sensazioni su quel che resta del paese che è stato costretto a lasciare quasi vent'anni fa. Per questo, le sue parole mi suonano come pietre...

17 Aprile 2010

sabato, 17 aprile 2010

Da Trento a Sarajevo sono all’incirca 1200 chilometri. Pensare di andare e ritornare nel fine settimana è una piccola pazzia. Ma chi mi conosce sa che non sono nuovo a queste cose. Certo, gli incontri e le conferenze oggi si possono fare anche via skipe, ma il contatto diretto ti permette un rapporto più vero, specie quando devi non solo dire come la pensi ma anche prendere decisioni importanti. E quindi alle 9.00 del mattino parto in automobile, insieme ad Eugenio, uno dei collaboratori dell’associazione "Viaggiare i Balcani". Altri modi per arrivarci? Dall’Italia non ci sono voli diretti su Sarajevo e quindi se vuoi andarci in aereo devi fare scalo a Vienna o Monaco. O altre tratte ancora più complicate. Fra una cosa e l’altra, tempi morti, ci impieghi di più che in auto. Poi l’aeroporto di Sarajevo ti tira brutti scherzi, spesso i voli vengono cancellati, le condizioni atmosferiche non sempre sono buone (siamo in mezzo alle montagne, non dimentichiamolo). In questo caso, poi, la nube che viene dall’Islanda ha bloccato i voli di mezza Europa e se avessimo fatto la scelta di andarci in aereo saremo rimasti a terra. Non mi pesa il viaggio. Conversando, è l’occasione per confrontarsi su tante cose. Anche se, ad un certo punto del viaggio, mi viene da chiedermi se è giusto sobbarcarsi queste sfacchinate. Mi soccorre l’amore verso la Bosnia e una città come Sarajevo che ho nel cuore. C’è un bel sole caldo e quando oltrepassiamo il confine a Slavonski Brod è come tornare in un luogo un po’ anche mio, famigliare. E così, fra una cosa e l’altra, intorno alle 19.00 siamo a destinazione. Manco da questo paese da un anno e da Sarajevo ancora di più. Prima di ricevere il mandato consiliare ero da queste parti più o meno una volta al mese ed ora avverto nostalgia verso questi luoghi ed atmosfere che tanto mi hanno dato nel corso di questi anni. Eppure non è un bel vedere. Passato il confine, nonostante siano trascorsi quindici anni dalla fine della guerra, iniziano le macerie, lì a testimoniare nel loro aspetto funereo la tragedia della guerra. Sarajevo è ancora lontana, non ci sono che pochi chilometri di autostrada in BiH, le strade trafficate e controlli radar ovunque. E’ l’imbrunire che entriamo nella capitale bosniaca. Un piccolo alberghetto nella Bascarsija, la città turca, due passi per annusare l’aria. Domani ci attende una giornata faticosa.
17 Aprile 2010

mercoledì, 11 luglio 2012

... Per questo riflettere sul messaggio leopardiano diventa importante, così come sui nostri stili di vita che vanno radicalmente messi in discussione. Proprio ne La Ginestra il Leopardi criticava l'idea antropocentrica dell'uomo al centro del creato, da cui faceva scaturire l'appello alla solidarietà degli uomini in una lotta disperata contro la natura "matrigna" di cui la gentile e forte ginestra era il simbolo, per una convivenza fondata sul sentimento di fraternità che poteva nascere proprio dalla consapevolezza della nostra fragilità...
16 Aprile 2010

venerdì, 16 aprile 2010

Mattinata in terza commissione legislativa provinciale, per l’audizione dei soggetti sociali sul disegno di legge sulle piste ciclabili e pedonali. Istanze interessanti, ma mi colpisce come emerga così nettamente la rappresentazione del proprio particolare. Ciclisti amatoriali, sportivi, mountain bike, ski roll, podisti, amanti delle passeggiate, genitori con le carrozzine dei loro bambini… ma anche liberi professionisti, ambientalisti, gestori del trasporto pubblico, associazioni imprenditoriali, animalisti, ognuno portatore di istanze diverse e spesso contraddittorie. Provare a fare sintesi, ad esprimere un’idea di turismo diffuso e di stagionalità non tradizionali ma anche di un uso intelligente e creativo del tempo libero, non è facile ma vale la pena di provarci. La politica dovrebbe servire proprio a questo. Vado in ufficio dove completo la scrittura del diario del giorno precedente. Mi raggiunge Erica Mondini, vicepresidente del Forum. Le racconto dell’assemblea di qualche giorno fa alla quale non ha potuto essere presente e poi parliamo di Palestina. Parliamo anche delle elezioni comunali di Rovereto, comune di cui Erica è consigliere uscente. Ha deciso di non ricandidare ed è molto soddisfatta del clima nuovo che si respira nella città della quercia anche come effetto della candidatura di Andrea Miorandi: aria nuova e tanti giovani nella lista del PD del Trentino. Difficile dire se Miorandi potrà farcela al primo turno, anche perché la proliferazione delle liste e dei candidati sindaco penalizzano il centrosinistra. Sono infatti quattro le candidature a sinistra che non vi si riconoscono, fotografia di un cortocircuito ideologico ma anche di veti insopportabili: così Italia dei valori, Federazione della Sinistra, Verdi, Cittadinanza attiva, presentano loro candidati a sindaco. Eppure Miorandi non è uomo di partito (pur essendo di area PD), una candidatura giovane, di profondo rinnovamento, in rappresentanza di istanze ambientaliste e della cosiddetta società civile. Di seguito mi metto a preparare la conferenza della serata ad Albiano: l’incontro con il gruppo giovanile avrà come argomento l’Europa. Mi incuriosisce il fatto che a chiedermi di andare a parlare con i giovani di Albiano sia stato Mario Casna, consigliere provinciale della Lega. E mi chiedo che cosa mi attende… Verso le 18 vado a Mezzocorona dove presentiamo la lista del PD e il candidato sindaco espressione anche della lista di riferimento dell’UpT. E’ grande la soddisfazione di essere riusciti a presentare una lista di sedici candidati in una realtà difficile qual è il grosso centro rotaliano, espressione di storie personali, generazioni e sensibilità politiche diverse, ma anche di aver trovato una bella candidatura a nuovo sindaco come quella di Corrado Buratti. Rimango infatti positivamente impressionato dall’impronta politica delle sue parole e del programma. Purtroppo alle venti dovrei essere ad Albiano e devo scappar via. Due parole di augurio e l’impegno per proseguire il confronto durante e dopo la campagna elettorale. Albiano non è poi così distante ma imboccando soprapensiero la strada che da Lavis porta in val di Cembra bisogna fare un giro piuttosto lungo. I ragazzi però mi aspettano e poi mi stanno ad ascoltare per un’ora intera, nonostante qualcuno di loro avesse degli appuntamenti per la serata. Invece seguono attentamente le storie che racconto loro, dalla mitologia da cui prende nome il "vecchio" continente a quel decisivo passaggio di tempo che portò alla rottura fra oriente ed occidente. Per arrivare al Novecento e al "secolo degli assassini", fino allo "scontro di civiltà" dei giorni nostri. O alle geografie che non conoscono quand’anche riguardino l’Europa. Mi chiedono di ritornare per meglio mettere a fuoco le suggestioni che ho loro proposto, e francamente è una bella soddisfazione. Non so quanto le mie parole potranno funzionare da antidoto ai pregiudizi, ai luoghi comuni e alle derive del nostro tempo, ma intanto qualche dubbio e curiosità credo di essere riuscito a fargliela venire. E allo stesso Casna gli tocca di complimentarsi. E’ ormai tardi e domattina si parte per Sarajevo. E’ tanto che manco da quella città e nonostante sarà una sfacchinata di 2500 chilometri, l’idea di assaporare le atmosfere bosniache mi riempie di leggerezza.  
15 Aprile 2010

giovedì, 28 giugno 2012

...Migliaia di pellegrini reduci da Medjugorije (che lo stesso Vaticano non ha mai riconosciuto) affollano quelle strade di pietra e quel ponte che i nazionalisti cattolici hanno martellato fino a farne un cumulo di macerie, come avvenne in quel novembre del 1993 quando il ponte che a quella città dava il nome cadde a pezzi nelle acque gelide della Neretva. Erano simboli di una storia che gli amici di padre Zovko (il capo spirituale di Medjugorije) volevano cancellare. Mi chiedo cosa si porteranno via in termini di sapere queste persone che seguono il loro sacerdote o la guida con la bandierina di riconoscimento. Quale narrazione verrà proposta a questa gente sulla distruzione di quel ponte così come di Pocitelj, una perla dell'architettura ottomana a pochi chilometri da Mostar...
15 Aprile 2010

giovedì, 15 aprile 2010

Un fitto calendario di incontri, oggi.  Cominciamo in Commissione. Viene richiesta la presenza mia e del consigliere Bombarda in Seconda Commissione per illustrare la richiesta d’incontro proposta dal Comitato promotore della Legge di iniziativa popolare sul Parco Agricolo del Garda trentino, approvata dal Consiglio nell’ultima parte della scorsa legislatura. L’attuazione della legge langue perché incardinata sulla Comunità di Valle che ancora non c’è e quindi viene richiesta l’attivazione dell’articolo 7 della legge, ovvero l’intervento della PAT qualora, trascorsi 18 mesi dall’approvazione della legge, la normativa non abbia ancora trovato applicazione. Nei mesi scorsi ho incontrato più volte il Comitato promotore, ho proposto alla Provincia di fare "come se" attraverso un percorso di ricerca/approfondimento che faccia da ponte fin quando la Comunità non sarà operativa, perché non vada perso altro tempo. In questa direzione andava anche  l’interrogazione presentata con i consiglieri Bombarda e Dallapiccola. Ma la risposta venuta dall’assessore Gilmozzi riflette la freddezza con cui si era accolta a suo tempo la proposta di legge, affermando in buona sostanza che occorre aspettare la comunità di valle. Con Pacher eravamo d’accordo in modo diverso e quindi riproponiamo l’utilità di un intervento intermedio e, in questo senso, la Commissione si esprime favorevolmente all’ascolto del Comitato. Finisco questo primo incontro e corro alla sede del "Gioco degli Specchi" dove con il coordinamento dell’associazione parliamo di due cose. In primo luogo il tema dell’integrazione scolastica dei figli degli immigrati e, in questo contesto, del ruolo del Centro interculturale "Millevoci". Escono molte idee e chiedo loro di partecipare attivamente al blog che su questo tema si aprirà sul sito del Forum e di Vivo Scuola. Il secondo aspetto che affrontiamo è quello relativo al programma "Cittadinanza euromediterranea" proposto dal Forum. Il lavoro fatto in questi anni dal Gioco degli Specchi ha nei fatti anticipato una serie di contenuti e sensibilità che oggi andiamo a proporre con questo programma e quindi la sintonia fra noi è molto forte. Di seguito ci incontriamo con Danilo Merz della Coldiretti per illustrare la bozza del Disegno di legge sui fondi rustici alla quale sto lavorando da qualche settimana. Ci conferma come il problema sia effettivamente attuale e di una certa rilevanza e la proposta viene in linea generale condivisa. E’ anche l’occasione per uno scambio di idee sulla situazione dell’agricoltura trentina e in particolare del ruolo della Cooperazione trentina. Sulla quale emerge una comune preoccupazione: la cooperazione trentina da snodo cruciale della nostra diversità e autonomia rischia di diventare fonte di paralisi. Alle 15.00 ci sarebbe l’incontro della maggioranza relativamente alla legge di riforma del personale, ma devo andare alla sede del Forum per fare il punto sugli strumenti di comunicazione. Oltre al sito, da poco radicalmente rinnovato (http://www.forumpace.it/), abbiamo in ballo gli strumenti cartacei (brochure e "Appunti di Pace") ma anche il possibile rapporto con il mondo dell’informazione quotidiana e periodica. Occorre una strategia comunicativa per veicolare in modo semplice concetti complessi. Problema sul quale dovremo ritornare. Verso le 17.30 gli incontri sono finiti. Le agenzie battono la notizia dello "strappo" di Gianfranco Fini. Potrebbe apparire paradossale che il centrodestra si spacchi dopo l’esito favorevole delle elezioni regionali. Ma è proprio quell’esito elettorale e quel peso sempre più decisivo della Lega a far venire a galla le contraddizioni. Non so se avete fatto caso al voto di Vigevano. Al ballottaggio per il sindaco del grosso centro lombardo (un tempo roccaforte del PCI) erano arrivati il candidato del PdL e quello della Lega. Il risultato del ballottaggio è stato schiacciante (75 a 25%) a favore della Lega. Insomma, quel che emerge dal voto è l’egemonia politica del Carroccio sull’attuale maggioranza al governo.  Non è solo l’asse Berlusconi – Bossi, dunque, ma la presa d’atto che dentro l’alleanza di governo il soggetto che più di altri trae beneficio elettorale, sapendo interpretare le spinte più corporative e le paure, è sicuramente la Lega. Il suo espandersi verso sud indica inoltre come la sua proposta politica non si propone tanto o solo la rappresentazione di un territorio (il nord) bensì di un sentire postmoderno le cui coordinate culturali si avvertono in Sicilia come in Piemonte, in Italia come in Olanda, in Europa come negli Stati Uniti. In questo quadro appare disarmante il dibattito nel PD. Romano Prodi rilancia l’ipotesi di un partito di realtà federate e la reazione è un’alzata di scudi. Che sia questa la reazione romana non è affatto sorprendente. Ma invece se la prende con lui anche Massimo Cacciari perché avrebbe dovuto farsene carico prima, quando aveva il pallino nelle sue mani. Il quale ritorna a parlare di partito "del Nord", che poi con una cultura del territorio non c’entra un fico secco. Non vedo spiragli, troppi i personalismi, troppo il rancore. Ma soprattutto mi preoccupa l’assenza di un vero dibattito sulle ragioni di una sconfitta che non è di queste elezioni, ma storica. Che richiede altri pensieri, altre parole e probabilmente anche altre persone. Un altro schema di gioco, si è detto qualche mese fa. Personalmente proverò a dare il mio contributo in questa direzione.  
14 Aprile 2010

mercoledì, 14 aprile 2010

In Consiglio prosegue la discussione sul DDL della Lega sul numero di ragazzi stranieri per classe. Ma chi è lo straniero? Le bambine e i bambini, le ragazze e i ragazzi, nati in Trentino da famiglie provenienti da paesi altri che cosa sono? Stranieri? Eppure è così, fino ai diciott’anni di età sono apolidi, non hanno cittadinanza alcuna. Per queste persone l’italiano non sarà la lingua materna, ma è la lingua madre, molto spesso la insegnano ai loro stessi genitori, oltre ad avere l’opportunità di conoscere anche la lingua normalmente parlata in casa. Detta in altre parole, hanno sotto questo profilo una marcia in più. Per quegli studenti che invece sono da poco migrati nel nostro paese, la facilità d’apprendimento della nuova lingua è molto rapida, quand’anche la lingua scritta sia un po’ più ostica. Dov’è quindi il problema? L’integrazione non è solo la comprensione e l’uso appropriato della lingua, ma da tante altre cose, che rimandano in primo luogo ai luoghi comuni e all’ignoranza che pervadono le nostre comunità. L’integrazione scolastica oggi ha a che vedere in primo luogo con il pieno dispiegarsi del diritto di cittadinanza, il che significa riconoscere le identità che vanno incontrandosi, avere un po’ di dimestichezza con le storie e le geografie, con le letterature e le musiche e così via. Vuol dire ri-conoscersi. E poi diritti e cultura della responsabilità. Ma di chi sto parlando, di "noi" o di "loro"? Delle nuove frontiere dell’interculturalità abbiamo parlato la settimana scorsa nell’incontro per la nuova fase di "Millevoci", ma c’è un baratro fra come se ne è parlato in quella occasione e la discussione oggi in quest’aula. C’è nelle parole dei rappresentanti della Lega un astio e un rancore verso tutto quel che sa di cultura e di complessità, che riflette quel che si sente nei bar di paese, poi non tanto diverso dal disprezzo fra campagna e città, fra chi "lavora" e gli intellettuali, che si nutre di pettegolezzo, di leggende metropolitane, di volgarità urlate, di pornografia. Di questa descrizione del popolo loro sono l’espressione, certo. Non della dignità, ma dell’invidia e del rancore. Nonostante governino l’Italia da anni, loro sono i rappresentanti del popolo incazzato contro lo Stato e le istituzioni in genere, contro le regole e contro i soprusi delle burocrazie. Non importa che il loro premier sia il campione di tutti i privilegi e le immunità, quel che odiano sono la sinistra e l’incoerenza dei suoi rappresentanti che parlano della scuola pubblica e poi portano i loro ragazzi nelle scuole private. Sto parlando di scuola ma potrei descrivere con le stesse parole il risultato elettorale, il voto nelle province che sovrasta quello delle città, delle cinture operaie tradizionalmente di sinistra che ora votano per la Lega, un voto che nell’aula del Consiglio provinciale viene di continuo evocato per dire che chi comanda in Italia sono loro e che prima o poi toccherà anche al Trentino finire nelle loro mani. In effetti noi continuiamo a parlare alla razionalità delle persone, loro si rivolgono direttamente alle pance, agli umori, agli istinti più inconfessabili che magari c’erano già prima, ma che ora non conoscono freni inibitori. La Lega è come la guerra, uno spazio di libertà tribale dove tutto è possibile. La discussione sulla scuola è così la fotocopia di ogni altra discussione. Nel pomeriggio affrontiamo la mozione proposta dal nostro gruppo per avviare un lavoro d’indagine sulle povertà e sulle politiche si contrasto ed il tono non è poi tanto diverso. "Tutto si dà agli extracomunitari, niente ai trentini". Messaggi facili, demagogici, che fanno leva sul torto subito, che parlano all’incertezza del presente e alla paura del futuro. Che in Trentino ci sia un welfare considerato ai primi livelli, il reddito di garanzia introdotto con la finanziaria, servizi efficienti… non conta niente. Per tornare un attimo alla scuola, si dice che quella trentina è allo sfascio, ma chi viene da altre regioni ci dice che non abbiamo idea di quel che abbiamo. E forse nemmeno sanno che i nostri insegnanti hanno un contratto che porta nelle loro buste paga trecento euro in più rispetto ai loro colleghi italiani. Sempre meno di quel che dovrebbe prendere un educatore che fa bene il suo lavoro, s’intende. Ma infinitamente di più di quel che prende un insegnante rumeno che oltre tutto (si fa per dire) si trova a dover "comprare" i suoi alunni per "farsi" la classe e mantenere il suo posto di lavoro. O forse un insegnante rumeno non ha gli stessi diritti? Non che i rischi di impoverimento in Trentino non ci siano, sia chiaro. Non che un pensionato faccia salti, o che una famiglia che vive su un solo reddito possa stare tranquilla. Ed è per questo che abbiamo deciso di proporre un percorso di conoscenza al quale far seguire in sede di finanziaria adeguate misure di sostegno al reddito. Al tempo stesso dobbiamo uscire dalla demagogia e dirci che complessivamente viviamo oltre le possibilità. Che c’è un senso della sobrietà e dell’importanza delle cose vere da riprendere in mano affinché diventi motivo di cittadinanza consapevole e responsabile. Che c’è un tessuto sociale (che pure ha reso il Trentino diverso) da rimotivare. Una classe dirigente da formare e una narrazione da ricostruire. Fra questi pensieri scorrono le ultime battute del Consiglio provinciale. La proposta di legge della Lega viene bocciata. La nostra mozione sulle povertà approvata. Ma nell’uscire dall’aula alle otto di sera non ho una sensazione positiva. Piuttosto quella degli assediati.