3 Novembre 2015

martedì, 3 novembre 2015

... E poi spazi immensi, una luce che solo il Messico ti regala, il Popocatépetl1 che dai suoi 5.452 metri rumoreggia immerso nelle nuvole, la periferia di Puebla che sembra non finire mai (che con i suoi sei milioni di abitanti è solo la quinta città del paese), le grandi pianure coltivate, le aride colline bruciate dal sole (e da una siccità anche qui mai così dura), le spettacolari foreste di cactus ed infine Oaxaca, la capitale della regione del cacao, di un'immensa biodiversità studiata dai botanici di tutto il mondo (qui si sono scoperte oltre novecento diverse specie di felci), di antiche regole di autogoverno e infine di radicate tradizioni culturali. Una di queste il culto dei morti, diffuso in tutto il paese come eredità pre-ispanica ma qui particolarmente forte e festoso tanto da diventare una forma di attrazione turistica...

29 Ottobre 2015

giovedì, 29 ottobre 2015

Siamo arrivati la notte scorsa a Città del Messico. Che emozione riabbracciare i nostri amici, Carlos e Pano, persone speciali con le quali abbiamo costruito negli anni una relazione speciale. Ci siamo conosciuti nell'ormai lontano 1994. Con Alberto Tridente, andammo in questo meraviglioso paese a seguire la campagna elettorale di Cuatemoc Cardenas...

1 Ottobre 2015

giovedì, 1 ottobre 2015

Sono rientrato da Parigi, dopo un breve soggiorno. Era la prima volta che visitavo per qualche giorno questa città (altre volte c’ero stato ma solo di passaggio), molte le immagini che ho cercato di catturare nella più grande capitale dell’Unione Europea (ma non dell’Europa, che per la cronaca e non solo è Istanbul). Mi piace annusare l’aria, osservare i dettagli, guardare i volti dei passanti, girare per i mercati nelle piazze, andar per librerie e osterie. Parigi esibisce quelle parole che vedi scolpite quasi ossessivamente sugli edifici che segnano la storia di questa città: libertà, eguaglianza, fraternità. La culla dell’illuminismo del resto abita qui, sempre in bilico fra rivoluzione e restaurazione. Ma cosa rimane di quelle parole? Fra l’arco di trionfo e la torre Eiffel mi capita di ascoltare il racconto di una guida turistica ed è una sorta di soliloquio fra re e imperatori, battaglie e conquiste, primazie nella grandezza dei luoghi e nella civiltà. La “grandeur” viene fuori a piene mani, ben oltre ciò che pure ci si può aspettare. Ed in effetti qui è tutto grande: i palazzi, i teatri, i viali, le vie… perfino il tricolore che campeggia sui Champs Elysees ti racconta di un mito di grandezza che non ha pari. Qui misuri più che altrove che cosa significa essere immersi nei paradigmi del passato, dello stato-nazione in primo luogo. E’ quasi paradossale. A dispetto di una società multietnica e multicolore, a Parigi non respiri affatto un’atmosfera europea. Un sentire che non sembra nelle corde di questo paese, delle sue istituzioni come dei suoi cittadini. Allo stesso modo i territori sono tasselli di un ferreo assetto centralistico, come se il concetto di autogoverno qui non avesse proprio cittadinanza. Non che l’idea federalista europea altrove stia attraversando stagioni migliori, basta scorrere le percentuali dei votanti in occasione del rinnovo del Parlamento europeo nei 28 paesi dell’Unione o assistere al penoso confronto sull’accoglienza dei rifugiati per comprendere quanto sia diffuso il suo declino. Malgrado ciò nella capitale francese hai come la sensazione di trovarti altrove, tanto è forte lo spirito nazionale e tanto sono marginali i segni di una nuova cittadinanza sovranazionale: nello scorrere i titoli dei giornali, osservando le proposte di lettura di una libreria, ascoltando un telegiornale. Immaginare le forme di una cessione di sovranità verso una dimensione politica sovranazionale, in un contesto del genere, appare semplicemente improbabile. Come stupirsi dunque che proprio in questi giorni di soggiorno parigino la Francia abbia dato il via in forma assolutamente unilaterale ai bombardamenti in Siria contro i combattenti dell’autoproclamato Stato Islamico? Come già avvenne tre anni fa con i bombardamenti sulla Libia, basta che venga paventata la messa in discussione dei propri interessi nazionali ed è sufficiente per la Francia motivare un suo intervento militare. Contro le regole del diritto internazionale, tanto nessuno le farà pagare lo scotto. Era così ai tempi del dominio coloniale che, a guardar bene, per la Francia non è mai stato definitivamente archiviato. O forse ci siamo dimenticati l’Algeria, la guerra d’Indocina e gli esperimenti nucleari nell’oceano pacifico, nei cosiddetti possedimenti d’oltremare? La fraternità? Le conseguenze, oggi come ieri, erano allora e sono oggi disastrose. La Francia possiede del resto il terzo apparato militare (e nucleare) a livello mondiale, inferiore solo a quello degli Stati Uniti e della Cina. E’ il prezzo della libertà? Quanto all’eguaglianza, per quel poco che posso cogliere in un tempo così breve, le divisioni sociali qui appaiono nette e corrispondono molto spesso ai diversi colori di questa società multietnica ma profondamente classista. Basta dare un’occhiata a chi lavora nei cantieri o al lusso sfrenato di interi quartieri del centro, talmente ostentato da provare imbarazzo. Nel quartiere latino dove, grazie all’amico Rino, abbiamo il piacere di alloggiare, il clima sembra diverso. Librerie ogni cinquanta metri, botteghe artigiane accessibili, locali alla portata dei giovani… Ma basta parlare con una signora che gestisce una bancarella in un piccolo mercato rionale per capire da che parte tira il vento… Da questa visita a Parigi mi porto via un duplice sentimento, la maestosità dei luoghi ed il suo esserne prigioniera. Autocompiacimento e solitudine. L’Europa, vista da qui, sembra davvero lontana.
16 Settembre 2015

mercoledì, 16 settembre 2015

... La riflessione sembra infatti incartarsi attorno al rapporto fra Stato e territori, come se il cambio di paradigma, che pure emerge come necessità in qualche intervento, rappresentasse un dettaglio. Lo ha ben compreso Aldo Bonomi che lo invoca nella sua relazione, così come nel confronto che segue il professor Enzo Rullani (Facoltà di Economia dell'Università Ca' Foscari di Venezia) che con ancora più forza invoca questo scarto di pensiero. Ma in che cosa consiste questo cambio fatica ad emergere, forse anche perché questo metterebbe in difficoltà chi fra i presenti ancora pensa alla centralità dello stato nazionale. Perché questa è la questione: andare oltre il paradigma dello stato-nazione...

10 Settembre 2015

giovedì, 10 settembre 2015

Sono felice di partire fra un paio d’ore per un piccolo viaggio attraverso l’Italia. Sarò oggi e domani a Firenze, dove questa sera, al centro studi internazionali della Cisl di Fiesole, partecipo alla presentazione del libro “L’Europa in discussione” che raccoglie una serie di riflessioni proprio sulla crisi del progetto europeo, mentre domattina sarò relatore in quella stessa sede al seminario “La cooperazione (sindacale) internazionale nell’economia dell’interdipendenza”. …Venerdì sera sono invece a Chiavari (in Liguria) per vedermi con Emilio Molinari, compagno e amico di una vita di impegno politico e sociale. Di tanto in tanto ci scambiamo lunghe telefonate, ma il piacere di rivederci ha a che fare, oltre che con l’amicizia, con lo sguardo inquieto sulle cose di questo mondo. Poi sabato e domenica a Camogli per festeggiare con tanti amici il compleanno di Joan Haim, in quella casa che ho nel cuore per le nostre lunghe conversazioni insieme a Massimo Gorla, carissimo amico che se ne è andato qualche anno fa. Infine lunedì a Milano, per il seminario promosso da Barca, De Rita e Bonomi nell’ambito di Expo 2015 sulle esperienze di sviluppo territoriale. La bellezza del coltivare idee e relazioni…
28 Giugno 2015

domenica, 28 giugno 2015

Sono in Sardegna per qualche giorno di riposo, mare, sole e qualche buona lettura. Nella Sardegna vera, non quella finta confezionata per un turismo estraneo allo spirito dei luoghi.

L'agriturismo Guthiddai nei pressi di Oliena è un piccolo paradiso di quiete che con Gabriella abbiamo scoperto molti anni fa, fra il Golfo di Orosei e il parco nazionale del Gennargentu, le fonti di Su Gologone e il Supramonte...

16 Giugno 2015

martedì, 26 gennaio 2010

"Niente di vero sul fronte occidentale" è il titolo del nuovo lavoro editoriale di Ennio Remondino, giornalista Rai per anni inviato nelle aree di guerra, dedicato ad un tema di grande rilievo come quello della verità nei contesti di guerra, laddove cioè la verità viene regolarmente cancellata. Viene presentato in una sala della Regione che non riesce a contenere le quasi duecento persone che partecipano all’iniziativa. Con Ennio ci siamo accompagnati negli anni delle guerre e dei dopoguerra balcanici, uno sguardo il suo mai banale nonostante lo strumento – quello televisivo – più adatto alla semplificazione piuttosto che all’approfondimento; il lavoro di ricerca dell’Osservatorio Balcani e Caucaso divenuto in questi anni un punto di riferimento imprescindibile per scandagliare quella parte d’Europa; i percorsi di cooperazione di comunità con i quali abbiamo costruito decine e decine di relazioni fra il nostro paese e l’ex Jugoslavia. Uno sguardo, quello di Remondino, profondo ma anche ironico, mai di parte… pure in un contesto dove, anche nella diplomazia internazionale e rispondendo a criteri di appartenenza o di affinità politica o religiosa, hanno sposato una delle narrazioni in campo. Narrazioni che le guerre non hanno fatto altro che irrigidire e radicalizzare. Uno sguardo che prova a stare nella realtà, ad abitare – come uso dire – i conflitti, a "capire per raccontare" come dice Remondino, cercando di praticare un giornalismo d’inchiesta e di informazione capace di autonomia di giudizio. Lo stesso si potrebbe dire per una cooperazione che dovrebbe saper interrogarsi con curiosità, fatta di mille caffè o the, grappe o rakije, da prendere guardandosi negli occhi con i nostri interlocutori prima di mettere in campo interventi concreti. O per una politica che invece di rincorrere le emergenze (o la loro rappresentazione mediatica) dovrebbe saper intervenire attraverso la diplomazia preventiva e le istanze del diritto internazionale. Cose rare, purtroppo. Quando Ennio arriva in sala accolto da un applauso appare emozionato a veder davanti a sé tanta gente accorsa ad ascoltare le sue parole, un riconoscimento al suo lavoro di anni, quasi un ringraziamento per i tanti reportage talvolta realizzati in condizioni impossibili. Il libro, che presentiamo con le parole mie e quelle dei giornalisti Pino De Cesaro e Fabrizio Franchi, ha come sottotitolo "Da Omero e Bush, la verità sulle bugie di guerra": è un racconto che parte da lontano, che tratta con sorprendente ironia e leggerezza alcuni passaggi cruciali della storia scritta con la penna dei vincitori. Così Ulisse è un bugiardo e un disadattato sociale, reduce di una sporca guerra, Aristotele un filosofo spione, Garibaldi un galeotto e avventuriero e il generale Custer "il figlio della stella del mattino", ovvero quello che aveva l’abitudine di attaccare i piccoli villaggi indiani prima dell’alba. Remondino aggiunge carne al fuoco raccontando dei cadaveri disseppelliti di Timisoara per una rivoluzione dei servizi segreti o dell’attacco Nato all’ambasciata cinese di Belgrado come pura e semplice ritorsione di partite giocate altrove, bugie e sberleffi di stato o di apparato. E tante altre storie. Nelle parole di Remondino si scorge anche l’amarezza per un giornalismo "arruolato", "embeddet", quello che si inaugurò nella guerra del Golfo o quello che gronda di sensazionalismo. Ed anche un po’ di stanchezza verso una Rai che lo ha spedito in punizione ad Istanbul, senza peraltro capire il carattere strategico di realtà come quella turca… ma da lì solo quel killer invasato e prezzolato di nome Ali Agca per l’informazione nostrana fa notizia. Ennio a novembre andrà in pensione, mi dice che gli piacerebbe collaborare con l’Osservatorio Balcani e la cosa mi fa brillare gli occhi. Sono le 1 e 30 del mattino quando metto piede a casa. Ero partito al mattino presto per Bologna, dove ho incontrato i ragazzi del Liceo Manzoni per parlare di Europa di mezzo, di Balcani, dei messaggi che lungo un decennio quei luoghi hanno continuato ed ancora continuano ad inviarci e non abbiamo saputo ascoltare. Giornata intensa e pile esaurite.  
6 Giugno 2015

sabato, 6 giugno 2015

Da mercoledì sono a Messina per una tre giorni di manifestazioni nel sessantennale della Conferenza che si svolse in questa città (e nella vicina Taormina) nei primi giorni di giugno del 1955, mettendo le basi per il successivo Trattato di Roma, l'atto che più di altri segnò la nascita dell'Europa politica.

Parlarne dopo più di mezzo secolo con questo obiettivo non ancora pienamente raggiunto, potrebbe sembrare fuori luogo, ma non è affatto così. Perché l'Europa che abbiamo è quella degli Stati nazionali, perché questa Europa ancora non scalda i cuori e forse perché, malgrado l'apparenza – come scrive Paolo Rumiz nel suo ultimo lavoro – oggi c'è meno Europa di cent'anni fa. ...

21 Maggio 2015

giovedì, 21 maggio 2015

... Così ha preso corpo la nostra vicinanza, “cuginanza” l'abbiamo chiamata nei nostri incontri fra il Trentino e la Calabria negli spazi che le nostre sensibilità ci portavano a condividere, dalla Locride a Sarajevo, da Teano a Mazara del Vallo, aggiornando di volta in volta questo nostro sguardo euromediterraneo. Tanto che nei prossimi giorni avremmo dovuto essere insieme nella città che ti ha chiamato a fare l'assessore alla cultura, in occasione del sessantesimo anniversario della Carta di Messina che dell'Unione Europea ha rappresentato uno dei mattoni iniziali. E lo saremo, vedrai.

Le cose ora sembrano andar meglio, tanto che ieri ci siamo scritti qualche parola. Con l'esortazione, da parte mia, a rimettersi per bene perché di quel cuore e di quella sensibilità europea e mediterranea non solo c'è un grande bisogno, ma perché di matti come noi che nella loro vita non hanno mai detto “questo non si può fare” non ce ne sono proprio tantissimi ...

4 Aprile 2015

mercoledì, 24 marzo 2010

La rappresentazione delle istituzioni che ha dato oggi il Consiglio della Provincia Autonoma di Trento è il segno dei tempi. Non vorrei mai che le mie parole si confondessero con le grida dell’antipolitica. So bene quanto la diversità trentina sia importante, specie se confrontata con quel che accade tutt’intorno. Ma non si può nemmeno far finta di niente, non vedere il degrado e l’imbarbarirsi della politica come l’impoverirsi delle istituzioni. Oggi avevamo all’ordine del giorno la riforma del personale. Una legge importante, che ha impegnato le forze politiche, la commissione legislativa ed infine la giunta con una sua proposta che in buona sostanza riprendeva buona parte delle sollecitazioni venute dal dibattito. Qualche contraddizione nella maggioranza, ma niente di che… Nonostante ciò, nonostante verso le opposizioni si sia aperta non una linea di comunicazione ma un’autostrada, lasciando separato uno dei punti (quello sulla trasparenza) dal testo generale affinché venisse approvata questa proposta come contributo appunto delle opposizioni, la Lega annuncia l’ostruzionismo e centinaia di emendamenti. Di fronte a questa situazione e considerata la non urgenza del provvedimento, ma anche per evitare di paralizzare i lavori dell’aula per chissà quanto, la Giunta decide di ritirare il provvedimento e di riportarlo in aula quando ci saranno elementi di rasserenamento del clima. Ne conseguiva che anche il Disegno di legge (di un solo articolo) della minoranza (quello sulla trasparenza) venisse ritirato. La Giunta, sbagliando, non concorda tale consequenzialità e apriti cielo. La Lega va avanti e prova ad incassare. Riunione della maggioranza dove prevale, in nome del fatto che comunque il testo era stato condiviso in Commissione, l’idea di approvare il DDL come atto di buona volontà, pur rimarcando l’irresponsabilità dell’atteggiamento ostruzionistico. Bastano queste parole perché l’aula diventi una gazzarra, linguaggi da caserma, insomma uno spettacolo indecente. Il Disegno di legge comunque passa all’unanimità, con un’astensione che proprio non mi piace. La Lega va presa drammaticamente sul serio. Invece noi ne abbiamo riso, abbiamo riso della loro rozzezza, senza comprendere che la Lega, l’ho scritto e detto più volte, rappresenta il fenomeno politico più moderno di questo paese, nel senso che più di ogni altro riesce ad interpretare gli umori e gli istinti più inconfessabili che covano nella nostra società. E, a forza di sorridere, oggi è il primo partito del nord di questo paese o rivendica di esserlo. E’ il vero soggetto egemone dentro il centrodestra, lo è culturalmente ed anche politicamente. Nemmeno in Trentino possiamo stare tranquilli. Certo, qui i processi di spaesamento che hanno segnato il resto del nord sono attenuati da un diverso contesto economico, sociale e culturale, e dunque lo spazio, il brodo di coltura del leghismo, è per il momento minore. Non è detto però che la situazione non possa cambiare e ciò dipenderà non poco dalla capacità che dimostreremo di saper coltivare la nostra diversità (e l’autonomia in primo luogo). Intanto iniziamo ad avvertire anche qui, specie nelle valli più prossime alla vandea, i segnali dell’imbarbarimento, anche in termini di consenso elettorale come si è visto nelle elezioni per la Camera ed il Senato. C’è una deriva che ci deve preoccupare. E’ l’istintiva reazione verso ogni cosa che potrebbe mettere in discussione una realtà di seppur relativo privilegio. Anche una piccola pensione può esserlo, anche una casa Itea lo è, anche la sicurezza di un lavoro… se rapportato a chi non ce l’ha o riceve 3/400 euro per lavorare 10-12 ore al giorno. Chiedetevi, ad esempio, perché la gente è contro l’Europa se non per effetto dell’intuizione che un progetto politico come questo comporta una riconsiderazione del nostro complessivo tenore di vita? Ho continuato a ripeterlo in questi anni: nell’espressione "il nostro tenore di vita non è negoziabile" c’è la fine dell’umanesimo, cioè la barbarie dell’esclusione. La paura e la solitudine abitano qui. La Lega sa bene come interpretarla… e noi ne ridiamo. Quando finisce il Consiglio non sono ancora le 18.00 e quindi faccio in tempo a partecipare all’incontro "Impresa solida – Impresa solidale. Fare impresa con i diversamente abili" che si tiene a Palazzo Trentini, promossa da Fondazione Fontana, Handicrea, IPSIA del Trentino, Mani Tese, Valore Sociale, Impresa Solidale. In particolare, gli interventi di Piergiorgio Cattani e di Graziella Anesi sono una lucida testimonianza di quanto difficile sia per una persona portatrice di handicap rapportarsi al lavoro. La responsabile di "Handicrea" s’interroga sulla solidità della sua impresa e mi viene immediatamente da chiedermi quanto lo sia la politica, quanto siano consolidate le conquiste di civiltà fatte su questo terreno negli anni passati. Penso in cuor mio che in realtà oggi si viva anche su questo terreno, analogamente a molti altri ambiti sociali come il disagio e la malattia mentali, dando per scontate scelte legislative e retroterra culturali maturati negli anni ’60/’70 e che invece non lo sono affatto. Penso a questo paese ma ancor più al fatto che nell’Unione Europea le scuole speciali sono ancora in vita in 25 paesi su 27, figuriamoci altrove. Penso ad esempio che nei paesi ex comunisti ancor oggi esiste la laurea in "difettologia" il che la dice lunga sull’approccio culturale che impera in questi paesi. Ricordo come fosse ieri quando, più o meno una decina d’anni fa, ospitammo a cena a casa nostra due insegnanti provenienti dalla Bielorussa (in Trentino nell’ambito dell’accoglienza dei bambini di Chernobyl) le quali erano scandalizzate che qui si perdesse tempo con bambini con handicap che non avrebbero mai potuto ripagare i loro costi sociali. Non ci fu nulla da fare, il nostro era lusso per ricchi… Del resto è quel che regolarmente avviene nelle scuole private e, talvolta, anche in quelle pubbliche, quando i genitori che chiedono l’inserimento dei loro ragazzi diversamente abili si sentono rispondere che sì, si può fare, ma che ci sarebbero scuole più "attrezzate" delle loro. Vi lascio immaginare quale possa essere la reazione di questi genitori. Nel dibattito seguono le testimonianze di Davide Galesso, Diana Quinto e Pierino Martinelli, il quale racconta in maniera molto efficace di come si ponga il tema della "diversa abilità" in un paese come […]
24 Marzo 2015

venerdì, 11 giugno 2010

...Credo che il PD del Trentino debba darsi dei propri moduli formativi, tanto sul piano provinciale che sul territorio. Ma non credo ad una scuola di formazione politica di partito. Non solo perché lo schema delle "Frattocchie" ha fatto il suo tempo, ma soprattutto perché oggi i partiti non sono portatori di una "visione del mondo" esclusiva. Penso cioè ad una formazione politica che si rivolga alle persone interessate a prescindere dalla loro "appartenenza politica" e dunque in grado di raccogliere una domanda formativa ampia e trasversale ai partiti di uno stesso schieramento...