10 Dicembre 2016

Il paesaggio non è cambiato. Quali insegnamenti dal voto di domenica scorsa?

«La maledizione di vivere tempi interessanti’ (58)

di Michele Nardelli

(8 dicembre 2016) In effetti sono queste giornate piene di sole, nonostante qui il freddo cominci ad essere pungente. Ma il paesaggio (quello sociale e politico) continua ad essere inguardabile, come lo era del resto anche prima del voto di domenica scorsa.

A San Basilio, quartiere popolare di Roma che negli anni '70 faceva parlare di sé per le lotte sociali, la gente caccia via una famiglia di immigrati dalla casa popolare che regolarmente era stata loro assegnata gridando “qui i negri non li vogliamo”. Un italiano su quattro è a rischio di povertà ma la corsa ai consumi voluttuari non accenna a diminuire. Ogni giorno ci sono due incidenti mortali sul lavoro, ma l'importante è far soldi (anche a scapito della sicurezza) e la velocità è diventata un valore. I cambiamenti climatici rendono i nostri territori fragilissimi ma non ti azzardare a proporre clausole di salvaguardia ambientale perché ti tiri addosso l'ira delle comunità. Siamo da tempo oltre la sostenibilità ma a Marrakech la conferenza sul clima si conclude con l'impegno, si fa per dire, di un regolamento per l'attuazione degli accordi di Parigi da stilare entro il dicembre 2018. L'Europa è devastata dai nazionalismi, ma ci si commuove di fronte all'inno di Mameli. La distruzione della città più antica del mondo (Aleppo) ormai non fa più notizia in una guerra che è già costata più di mezzo milione di morti, ma poi ci sembra naturale che il governo Renzi stanzi 14 miliardi di euro per gli F35...

 

 

 

7 Dicembre 2016

Certo il sole è sorto anche oggi, eppure…

Intorno all'esito referendario (1)

di Federico Zappini

(6 dicembre 2016) Il sole si è alzato anche ieri mattina. Alle 7.21 per la precisione. Questa volta non è servito aspettare l'alba per scorgere chiaro il risultato del referendum costituzionale. L'ormai tradizionale maratona di Enrico Mentana si è risolta in una poco avvincente gara dei 100 metri piani, corsa tra quelli che – moltissimi, troppi e decisamente impresentabili – si sono precipitati per intestarsi la vittoria e chi, in definitiva il solo Matteo Renzi, ha dovuto fare i conti con un risultato tanto rotondo quanto fatalmente decisivo per la propria esperienza di governo. Il tratto della velocità ha segnato l'ultima appendice di quella che è stata una lunghissima ed estenuante campagna. Interminabile nella sua fase di formazione e avvicinamento, repentina nella sua conclusione. Ritmi schizofrenici, come non poteva essere altrimenti. Ecco allora che la metafora della regolarità dei cicli solari, richiamata da Barack Obama nella notte che ha sancito la vittoria di Donald Trump e di conseguenza buona per ogni momento di ipotetica tragedia montante, risulta certo evocativa ma non del tutto rassicurante nel momento in cui alla certezza del sorgere e del tramontare quotidiano della nostra stella di riferimento non corrisponde un'analisi sufficientemente accurata delle condizioni di contesto sopra le quali quei movimenti si ripetono con tanta precisione.

7 Dicembre 2016

E dopo? Bisogna che qualcuno fermi questo delirio…

Intorno all'esito referendario (2)

di Roberto Pinter

(6 dicembre 2016) L'Italia, contro ogni logica e buon senso si è occupata a tempo pieno di una piccola e maldestra riforma presentata come lo spartiacque tra conservazione e futuro. E lo ha fatto seriamente perché mentre il mondo politico si contrapponeva ferocemente gli elettori si sono fatti una loro opinione, nel merito della riforma o nel merito del plebiscito chiesto da Renzi, e hanno detto la loro, senza seguire pedissequamente i leader che ora rivendicano impropriamente il risultato come un loro risultato, molti in dubbio fino alla fine, lacerati per le pessime compagnie, affatto compatti e significativamente plurali.

 

5 Dicembre 2016

Se il potere è più populista dei cittadini

Dal Corriere della Sera del 3 dicembre 2016 un significativo editoriale di Dario Di Vico.

di Dario Di Vico

Raccontando in anteprima ai suoi amici cosa aveva scritto nel cenquantesimo Rapporto Censis, Giuseppe De Rita ha ricordato il senso del dibattito che nel lontano 1973 divise Aldo Moro e Giulio Andreotti. Mentre il primo sosteneva che la politica dovesse orientare la società, il secondo rispose esattamente il contrario: «Deve solo assomigliarle».

In epoca di web dominante e di post verità può sembrare colpevolmente retrò ritornare a un dibattito tra i cavalli di razza della vecchia Dc ma De Rita lo ha fatto con lo scopo preciso di parlare dell’oggi e della circostanza per cui «chi governa sembra più populista di chi sta in piazza».

1 Dicembre 2016

Perché No? La riforma vista dal basso

Riprendo con piacere questo pregevole intervento (che sottoscrivo pienamente) di Gianni Lanzinger sul voto referendario di domenica prossima. Una riflessione che vale perfettamente anche per l'autonomia trentina.

 

di Gianni Lanzinger

 

Patriottismo costituzionale?

Per alcuni giorni ancora, si vive un'esperienza del tutto nuova nei rapporti tra la gente e le istituzioni: è come se le grandi affermazioni di principio del firmamento costituzionale fossero scese in terra e diventate parte della quotidianità, mescolate con le opzioni personali, le emozioni e le aspirazioni per il nostro imprevedibile futuro.

È un'esperienza di democrazia diretta che la Costituzione del '48 ci ha assegnato per via dell'articolo 138 (una procedura di “appello al popolo” quando la revisione della Costituzione non raccolga in Parlamento la maggioranza dei 2/3).

La ragione di questo chiavistello popolare imposto ai parlamentari era – ed è – chiara: un conto è governare (a maggioranza variabile) ed altro è invece mettere le mani sulla tavola fondamentale del comune patto sociale. Tale è infatti la nostra Costituzione che contiene un nucleo irriformabile (la forma democratica della Repubblica, d'ispirazione autonomista e solidarista).

29 Novembre 2016

Ponti da ricostruire…

di Alessandro Branz

Stiamo assistendo ad una “brutta” campagna referendaria, infarcita di toni polemici e caratterizzata dal palese tentativo di delegittimazione dell’avversario. In tal senso molto peggiore di quelle celebrate nella c.d. Prima Repubblica, allorquando - perlomeno - alla “vis polemica” si accompagnava l’approfondimento dei contenuti ed un confronto nel merito delle questioni. Per non parlare del clima di incertezza e disinformazione che si sta respirando, al punto da ingenerare immotivate paure (il c.d. “salto nel buio”) o previsioni poco attendibili (“se vince il NO non avremo più riforme per almeno trent’anni”…).

Tutto ciò va certamente attribuito alla natura dell’istituto referendario che, costringendo ad una scelta perentoria tra il SI ed il NO, dicotomizza il confronto, bipolarizza in modo ferreo la competizione ed alimenta le posizioni più radicali. Ma una grande responsabilità va anche attribuita all’uso strumentale che di questo referendum viene perpetrato dai maggiori leader politici (a partire, mi spiace dirlo, dal nostro Presidente del Consiglio), il cui tentativo tipicamente “populista” di attribuire al referendum significati che in realtà non ha, rischia di provocare nell’opinione pubblica danni difficilmente recuperabili in un prossimo futuro.

21 Novembre 2016

Roma/Trento. Così lontane, così vicine.

The battle of Rome... (3)

di Federico Zappini *

(30 settembre 2016) E’ difficile, ma estremamente stimolante, provare a interloquire a distanza – con una persona che nemmeno si conosce – fuori dal chiacchiericcio che ammorba il dibattito pubblico, nel solco di un ragionamento articolato che prenda in considerazione lo stato dell’arte del pensiero e dell’azione politica, a Roma come altrove. Dato per scontato – come si dovrebbe fare ormai senza dubbio alcuno anche in campo economico – che la crisi che stiamo attraversando non è congiunturale ma di sistema, si dovrebbero porre le basi per agire di conseguenze, ipotizzando interventi altrettanto sistemici e non estemporanei.

Rispondo con particolare piacere alle sollecitazioni romane di Silvano Falocco perché gli echi che provengono dalla Capitale trovano – non senza un pizzico di sorpresa – risonanza quassù al nord, in un contesto che a un primo sguardo potrebbe apparire totalmente altro dalla palude dentro la quale è bloccata la città di Roma. Area metropolitana contro piccola città montana. Simbolo del centralismo statuale contro capoluogo di una Regione e di una Provincia autonoma, ipotesi avanzata di decentramento e autogoverno del territorio. Stereotipo della disorganizzazione contro modello di efficenza riconosciuto e apprezzato. Differenze rilevanti, certo, ma che non riescono – almeno ai miei occhi – a nascondere le similitudini che avvicinano la condizione, per entrambe di difficoltà, delle due Giunte in carica.

 

20 Novembre 2016

Il futuro che abbiamo cercato di costruire

di Fabiano Lorandi

(20 novembre 2016) Lasciatemi dire. Sono a disagio quando sento “ quelli del PD che hanno fatto la scelta di votare NO rubano il futuro e vogliono che stiamo tutti in una palude”. Non è vero. Buona parte di loro l’hanno costruito, il futuro e risanate tante paludi e continuano a farlo.

Dal 1968 al 1978 la mia generazione, con la lotta e l’impegno politico e sociale, fuori e dentro le scuole, le università, le fabbriche, i luoghi di lavoro, le istituzioni, hanno conquistato: lo Statuto dei lavoratori, il divorzio, l’istituzione degli asili nido pubblici, la tutela delle lavoratrici madri, la scuola a tempo pieno, l’obiezione di coscienza al servizio militare, il nuovo diritto di famiglia con la parità uomo/donna, l’istituzione dei consultori sanitari, la riforma penitenziaria, la prevenzione e cura della tossicodipendenza, la legge Basaglia con la chiusura dei manicomi, l’equo canone, la legge sull’aborto.

Si è cambiato davvero il Paese. Il tutto in 10 anni e pensare che c’era il bicameralismo perfetto!

 

15 Novembre 2016

Il referendum e il Pd: il dilemma per la sinistra

di Roberto Pinter

(15 novembre 2016) Si avvicina il referendum che dovrebbe incidere sul futuro del nostro paese. Nel merito è sempre più evidente che la riforma non sconvolgerà la Costituzione né cambierà il paese. Se ne poteva fare a meno non perché non si possa toccare la Costituzione, ma perché non è certo il bicameralismo l'ostacolo che impedisce al paese di cambiare. E se lo fosse non è certo questa una riforma capace di superarlo in modo chiaro.

Non solo la riforma è una pessima riforma e pure pasticciata e non da risposte alle vere priorità di un paese che oltre alla crisi deve fare i conti con la corruzione, il malcostume politico, le inefficienze e la disastrata amministrazione pubblica, ma va anche in parte in direzione opposta a quella necessaria. Demolendo il regionalismo e rafforzando il centralismo, senza riformare lo Stato e preoccupandosi solo di semplificare e concentrare il potere, si continua ad andare nella direzione sbagliata per quanto ormai dominante. E anche le Autonomie Speciali dubito possano sentirsi garantite in questo contesto.

12 Novembre 2016

Lo sviluppo sostenibile per cambiare la politica

Scegliendo di rispettare i 17 «goals» ONU si rivoluzionano le scelte economiche a casa

da L'Avvenire del 9 novembre 2016

Invitato di recente dal Pontificio Consiglio della Cultura a presentare i progetti di ricerca dell'Istituto Italiano di Tecnologia per ridurre le disuguaglianze globali, a partire da quella alimentare, il direttore scientifico dell'Iit, Roberto Cingolani, ha elaborato – da fisico quale è – un'interpretazione termodinamica dei fenomeni migratori.

Partendo naturalmente dai numeri. In base al primo, la popolazione mondiale consuma circa 17 terawatt di potenza energetica, con una sperequazione enorme a livello geografico: la fetta della torta per i cittadini americani è infatti di 11,4 kilowatt a testa. In Europa e Giappone si scende a 6 kw, a 2 in Cina, se ne consumano circa 0,2 pro capite in India e ancor meno nel resto del mondo (e soprattutto in Africa).

 

10 Novembre 2016

Abbattere i muri dell’esclusione e dello sfruttamento

Il discorso di Papa Francesco al terzo incontro mondiale dei movimenti popolari

«...Chi governa allora? Il denaro. Come governa? Con la frusta della paura, della disuguaglianza, della violenza economica, sociale, culturale e militare che genera sempre più violenza in una spirale discendente che sembra non finire mai. Quanto dolore e quanta paura! C’è - l’ho detto di recente – un terrorismo di base che deriva dal controllo globale del denaro sulla terra e minaccia l’intera umanità. Di questo terrorismo di base si alimentano i terrorismi derivati come il narco-terrorismo, il terrorismo di stato e quello che alcuni erroneamente chiamano terrorismo etnico o religioso. Ma nessun popolo, nessuna religione è terrorista! È vero, ci sono piccoli gruppi fondamentalisti da ogni parte. Ma il terrorismo inizia quando «hai cacciato via la meraviglia del creato, l’uomo e la donna, e hai messo lì il denaro...»