9 Aprile 2017

Solitari della politica

di Francesco Picciotto

Il mio amico Michele Nardelli ha cominciato il suo viaggio nella “solitudine della politica. Intendo accompagnarlo. Almeno per un pezzo del tragitto.

In questo “orribile” tempo preelettorale, mi piace immaginarci come due viandanti muniti di zaino che percorrono una via sacra, una di quelle ormai perdute nella memoria della gente, una via che attraversa città dove si svolgono incredibili feste pagane. E noi impegnati, con la nostra mappa ormai scolorita, con la nostra bussola un po’ smagnetizzata, a cercare quel sentiero oramai ricoperto dall’asfalto, quella traccia perduta sotto strati e superfetazioni.

E’ così che me lo immagino il “nostro viaggio”, il nostro “Pellegrinaggio in Oriente”, Caro Michele, ma come tutti i cammini sacri che si rispettino ci sono alcune condizioni da rispettare, alcuni presupposti dei quali bisogna tenere conto.

29 Marzo 2017

L’ulivo e il senso del limite

(29 marzo 2017) Ulivi centenari, talvolta millenari. Come in Palestina, anche nel Salento la prima sensazione che ho provato avvicinandomi a queste meraviglie della natura è stata la fragilità delle nostre esistenze, quel profondo rispetto che provi verso le cose più grandi te, come se delle piante potessero infonderti il senso del limite.

Vedere – come avviene in Palestina – queste sculture naturali tagliate come segno di disprezzo per qualcosa che rappresenta la storia degli altri o – come accade in questi giorni nel Salento – strappate dalla terra per far posto alle magnifiche sorti di un progresso che non sa interrogarsi sulla propria insostenibilità, prova in me un senso insieme di dolore e di indignazione.

8 Marzo 2017

Continuare a cercare per continuare a capire assieme.

Una lettera di Aldo Bonomi intorno al libro di Marco Revelli "Non ti riconosco" (Einaudi, 2016)

Caro Marco,

ti scrivo, come spesso accaduto anche in passato in analoghe circostanze, per ragionare insieme della discontinuità che attraversa il sociale, l’economia e la politica. Nelle passate occasioni mi era più chiaro comprendere le linee di discontinuità che andavano delineandosi. Nel passaggio dal fordismo al postfordismo mi era chiara la discontinuità tra le voragini urbane e sociali lasciate dalla FIAT a Torino e l’emergere della fabbrica diffusa, del capitalismo molecolare, orfani nella scomposizione sociale del soggetto operaio massa. Il motivo di questa mancanza di chiarezza credo risieda nel fatto che non di discontinuità dobbiamo parlare oggi, ma di vero e proprio salto d’epoca.

Guardando a ciò che resta dei modelli di sviluppo, loro la chiama crescita, della società e della politica, mi domando se non ci resti che sussurrare, o urlare, “non ti riconosco più” e ritirarci in buon ordine nel racconto di microcosmi e di territori resilienti, magari facendo rete con Magnaghi e la sua rete dei territorialisti alla ricerca del “vento di Adriano” o di un’altra globalizzazione “dal basso”, oppure se valga la pena di alzare lo sguardo e continuare a cercare per continuare a capire oltre l’invito di Candido “Dobbiamo coltivare il nostro orto”, evocato in un tuo scritto sul Manifesto. O ancore se valga la pena continuare nella fatica di Sisifo dello scomporre e ricomporre il farsi della società nel salto d’epoca dell’accelerazione, con lo sguardo delle lunghe derive braudeliane del potere, del mercato e della civiltà materiale.

 

 

26 Febbraio 2017

Lo zaino e la topolino amaranto

"...l'idea che in primavera allo zaino delle terre alte si affianchi la topolino amaranto di un altro viaggiare attraverso i borghi e le città del bel paese..."

(31 gennaio 2013) Quello che trovate in allegato è il testo della relazione tenuta da Michele Nardelli il 24 gennaio scorso dal titolo "La bellezza del passare la mano. Rottamatori e rottami: ma l'unico linguaggio è quello dello sfasciacarrozze? E' possibile trasmettere le esperienze, le passioni e le competenze in politica, senza costringere qualcuno a portarci via, a forza, dai luoghi del potere?", tenuta nella cornice della Scuola di formazione politica "Danilo Dolci" di Roma.

24 Febbraio 2017

Grandi opere, il fascino dell’unico modello di sviluppo che conosciamo

 

di Tonino Perna

(15 febbraio 2017) L’esito del duro scontro acceso intorno alla questione del nuovo stadio a Roma, e magari le dimissioni del prestigioso assessore Berdini, non riguarda solo la capitale. È una battaglia che ha un valore simbolico per tutto il nostro paese.

È da almeno vent’anni che si discute animatamente e si lotta duramente in alcuni casi (come per il Tav in Val Susa) sulle grandi opere prospettate di volta in volta come la panacea di tutti mali, unica prospettiva per il rilancio dell’economia, l’immagine e il futuro di un determinato territorio.

Purtroppo, bisogna dire che la resistenza dei movimenti ambientalisti e di una parte della sinistra (a cui negli ultimi anni si era aggiunto il M5S) non è stata finora sufficiente a bloccare questa hybris che si manifesta con più forza nei momenti di crisi economica come quello che stiamo attraversando.

Poco prima di perdere il Referendum l’ex premier ha tirato nuovamente in ballo il Ponte sullo Stretto come prospettiva realistica con cui rilanciare quest’area del nostro Sud che presenta altissimi tassi di inoccupazione giovanile ed una fuga da questo territorio che ormai è diventato un esodo. Ci piaccia o no, le Grandi Opere esercitano un fascino sulla gran parte della popolazione perché il modello di sviluppo che abbiamo visto ed interiorizzato è questo e non riusciamo a immaginarne un altro.

21 Febbraio 2017

La crisi del Partito Democratico

di Roberto Pinter*

(21 febbraio 2017) Ho seguito sconfortato i lavori dell'assemblea nazionale del PD. Non tanto per quello che è stato detto, che a parte qualche eccezione è stato un dibattito all'altezza del dramma vissuto dal partito, ma proprio per la mancanza di rispetto che a parole era stato invocato dal segretario.

Le espressioni di insofferenza di chi mal sopporta l'altro la dicono più lunga di ogni altra frase e applauso di circostanza: mentre i Veltroni di turno si prodigavano per richiamare il progetto originario, buona parte della platea applaudiva solo chi si adeguava alla linea dettata da Renzi per nulla preoccupata di una possibile scissione.

L'unica possibilità di evitare una scissione era nelle mani di Renzi e Renzi, abilissimo a cogliere le contraddizioni della minoranza,non ha mosso un solo dito, anzi ha rincarato la dose guardandosi bene da qualsiasi autocritica (sembra che il referendum l'avesse vinto) e sfidando gli avversari.

17 Febbraio 2017

Alla ricerca delle lucciole

«Il viaggio a me sembra la forma d'intimità per eccellenza, forse perché consente il dialogo ma accoglie anche il silenzio: rispetta le solitudini, lascia spazio al discorso interiore e alla contemplazione. Il paesaggio che scorre cattura lo sguardo, è un pensiero condiviso. Così l'andare insieme assomiglia molto al vivere insieme: c'è un rapporto di coppia, un percorso più o meno accidentato, il tempo necessario ad arrivare in fondo»

Paolo Cognetti, "A pesca nelle pozze più profonde" (Minimum fax)


di Federico Zappini

(17 febbraio 2017) Se non fosse già stata usata in mille altre occasione si potrebbe far riferimento alla metafora biblica della traversata del deserto. Bene si adatterebbe alla solitudine da cui abbiamo deciso di partire, se non fosse che il contesto politico dentro il quale ci muoviamo non è caratterizzato solo da un'interminabile serie di vuoti (linguistici, valoriali, organizzativi) ma anche e soprattutto da un livello di saturazione ("l'abbagliante luce prodotta dalla modernità", così come la descrive Huberman [1]) che opprime e che disorienta. Lo spazio della riflessione, dell'approfondimento, dell'analisi e del confronto - alla base di qualunque sistema politico e sociale che pretenda di funzionare - è oggi quanto di meno praticabile e accogliente si possa immaginare. Saturo appunto, in un mix letale di conformismo e indifferenza.

7 Febbraio 2017

I nostri talebani

Nei giorni scorsi se ne andato l'amico Predrag Matvejevic. Dopo le parole scritte in suo ricordo, volevo omaggiarne la scomparsa con la pubblicazione del piccolo saggio che nel 2005 costò a Predrag la condanna da parte del Tribunale di Zagabria a cinque mesi di carcere. Un diario fra luoghi cari che in questi anni ho imparato a conoscere e ad amare. (m.n.)

di Predrag Matvejevic

Con una comitiva delle rete televisiva franco-tedesca "Arte", che ha realizzato una trasmissione dedicata ai Balcani, sono arrivato recentemente a Mostar. Due settimane dopo ho raggiunto Sarajevo, dove il "Centar André Malraux", francese, ha organizzato un incontro di scrittori europei. Noi, nati in quel paese, possiamo fare ben poco da soli: ci siamo accapigliati, inimicati, divisi, riducendoci alla miseria. Nel mio diario le impressioni riportate nei due viaggi si intrecciano e si accavallano.

La prima volta sono arrivato dall'Italia via mare, col traghetto Ancona-Spalato, proseguendo lungo la valle del fiume Neretva fino a Mostar. La seconda volta sono arrivato a Sarajevo passando per Vienna. E da Sarajevo, in compagnia di un centinaio fra scrittori e giornalisti, mi sono avviato verso la mia città natale - Mostar. Abbiamo viaggiato in un treno che, dopo l'ultima guerra, fa raramente la spola su quella linea ferroviaria. Una volta i vagoni, passeggeri e merci, passavano ogni giorno, e più volte al giorno.

Da studente, lavorai alla costruzione del tratto di strada ferrata fra Konjic e Jablanica con le brigate giovanili. Si chiamavano "azioni di lavoro volontario". Il nostro accampamento si trovava nei pressi di Ostrozac. Si andava al lavoro prima che il sole riscaldasse fino all'arsura la terra e l'aria; dopo mezzogiorno facevamo il bagno nei rami del fiume Neretva. Ricordo gli strani, fiabeschi colori dell'alba, il biancore della pietra che emergeva dalla notte, i cespugli bagnati di rugiada, le limpide acque del fiume, i suoi vortici, le sue sponde, le rocce carsiche dell'Erzegovina. A incoraggiarci era il sole che si levava, la luce si spandeva. "Costruiremo il nostro paese più bello di prima", dicevamo. Era il nostro sogno. Molti di noi credevano nella propria fantasia. Io compreso. Invidiavo i miei compagni più forti che erano in grado di lavorare di più e di fare meglio: quella ferrovia collegava la Bosnia all'Erzegovina, univa la Jugoslavia.

29 Gennaio 2017

Le stesse emozioni, cinquant’anni dopo

(27 gennaio 2017) Non c'è solo il dovere del ricordo di uno dei più grandi cantautori italiani. C'è che Luigi Tenco è qualcosa che è entrato con le sue parole e il suo volto nell'immaginario di chi come me negli anni '60 si affacciava alla vita e cominciava a comprendere che il mestiere di vivere era qualcosa che non si sarebbe imparato tanto facilmente. Il secondo 33 giri che girava per casa (il primo era "Le quattro stagioni" di Vivaldi) lo conoscevo a memoria (ancora oggi per la verità) ed era una raccolta di "Ballate e canzoni" di Luigi Tenco. Insieme a Fabrizio De Andrè rappresentarono la colonna sonora della mia adolescenza. Quasi mio malgrado, devo riconoscere, perché quel ragazzo di strada che giocava a tutto quello che si poteva nei bar del quartiere in un primo momento era un po' refrattario ai testi impegnati che Carlo, mio fratello più grande, mi faceva conoscere. Non vivevo, a quel tempo, le due cose in contraddizione e del resto il fascino del biliardo è rimasto nelle mie corde anche oggi, anche se non ci gioco da chissà quanto tempo. Come quei testi indimenticabili che, riascoltandoli cinquant'anni dopo, ancora mi danno le stesse emozioni. Anzi, la fragilità che lo scorrere degli anni porta con sé, ti scopre ancor più vulnerabile. Ciao "ragazzo mio", non avremmo combinato granché ma almeno ci abbiamo provato e, malgrado questo mondo senza idee, non ci siamo ancora stancati di farlo.

PS. In quel vinile c'erano, fra gli altri, questi due pezzi, uno rimasto famoso l'altro un po' meno, che vi voglio proporre.

https://youtu.be/dbWrZ6bkrr8

https://youtu.be/CgBHwUZVWE4

28 Gennaio 2017

Comunità, aprirsi alla partecipazione

di Alessandro Branz *

(28 gennaio2017) In questi ultimi mesi le Comunità di valle del Trentino hanno approvato, sulla base di una normativa provinciale, un’importante modifica dei rispettivi statuti, finalizzata ad attivare, in occasione dell’adozione di un atto amministrativo da parte della Comunità, appositi processi partecipativi che coinvolgano nell’assunzione della decisione i cittadini ed i soggetti interessati alla problematica in oggetto. Si tratta di percorsi di discussione pubblica, debitamente organizzati, che vanno promossi prima che l’atto amministrativo sia adottato in modo definitivo, e che prevedono il confronto, il dialogo e lo scambio di opinioni fra i partecipanti, in vista della ricerca di una soluzione condivisa da proporre alle istituzioni competenti.

 

27 Gennaio 2017

Memoria di ogni giorno

di Ugo Morelli *

«Sii minimalista. Aiuta una persona. Solo una. Puoi sempre farlo. Fallo adesso». Così conclude il suo libro sulla memoria il direttore del Memoriale e Museo di Auschwitz, Piotr M. A. Cywinski. Viene da ascoltarlo non solo come antidoto alla retorica, nemica dell’assunzione diretta ed effettiva della responsabilità; ma anche come proposta di partire da ognuno di noi per comprendere quali vincoli e quali possibilità incontriamo quando ci confrontiamo con le differenze.

Siamo in un’epoca in cui i diritti universali sono messi in discussione per il ritorno da ogni lato della predominanza dei diritti particolari; ogni voce che ragioni di una società egualitaria tace o al massimo sussurra inascoltata; non riusciamo a prevedere e ad affermare effettivamente il rispetto delle differenze, di ogni differenza, rischiando ad ogni momento di alimentare nuovi capri espiatori.

23 Gennaio 2017

La giungla di Calais racconta molto di noi

Un breve racconto, la sceneggiatura di un film su questo tempo

Nel mese di agosto mi sono recato con mia moglie Soheila Mohebi e mio figlio in Francia. Lì avevamo intenzione di girare un documentario sulla “giungla di Calais”, ormai quasi del tutto smantellata. Quei giorni mi hanno segnato profondamente e ho capito che il cinema non è sufficiente a raccontare ciò che ho visto. Ho deciso così di provare a spiegare Calais e la sua umanità negata attraverso questo breve racconto, conscio del fatto che nessuna lingua e nessun alfabeto potranno mai sopperire alla mancanza d’umanità di quel luogo. Non è possibile raccontare la giungla, ma la giungla racconta moltissimo di noi. Mentre scrivevo questo racconto sono venuto a sapere che durante le riprese del documentario il fratello di uno dei protagonisti è stato ucciso nella giungla assieme ad altre sette persone, accoltellato da alcuni trafficanti, per il semplice fatto di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato. Episodi come questi a Calais erano all’ordine del giorno. Mi sono poi finto un rifugiato che voleva raggiungere la Gran Bretagna e ho parlato con un volontario-trafficante dell’associazione di volontariato inglese Auberge, il quale mi ha fornito informazioni per raggiungere la Gran Bretagna, come i costi e i trafficanti ai quali mi sarei dovuto rivolgere. I dialoghi contenuti in questo racconto sono avvenuti realmente, non il frutto della mia fantasia. (r.m.)

di Razi Mohebi

Un uomo stava ritto in piedi davanti al cancello di Auberge, impietrito e attonito teneva il figlio per mano mentre le sue dita affusolate stringevano quella manina sempre più forte.