8 Giugno 2021

Processo Mladic, confermato l’ergastolo

Oggi, 8 giugno, il Meccanismo residuale del Tribunale penale internazionale dell'Aja ha emesso il verdetto finale a carico di Ratko Mladi, comandante di stato maggiore dell'esercito serbo bosniaco (VRS), confermando la sentenza di primo grado al carcere a vita (da www.balcanicaucaso.org)

di Nicole Corritore

Latitante per ben 16 anni, oggi, dopo 26 anni dal primo mandato di cattura e tre anni e mezzo dal primo verdetto, Ratko Mladi è stato condannato in appello dal MICT  (Meccanismo residuale del Tribunale penale internazionale dell'Aia per i crimini nella ex Jugoslavia che a gennaio 2018 ha sostituito l'ICTY) al carcere a vita confermando così la sentenza di primo grado.

Mladi, nato nel 1942 nel villaggio di Boanovii vicino a Kalinovik a circa 70 km da Sarajevo, è stato militare di carriera nell'esercito popolare jugoslavo (JNA) e nel maggio 1992, un mese dopo l'inizio della guerra in Bosnia, è stato nominato comandante di stato maggiore dell'esercito serbo bosniaco (VRS) il cui comando ha mantenuto per tutto il conflitto e fino ai primi mesi del 1996.

“È una persona molto, molto pericolosa”, disse la procuratrice capo del Tribunale penale internazionale per l'ex-Jugoslavia dal 1999 al 2007 Carla del Ponte, quando Mladi era ancora un ricercato.

 

6 Giugno 2021

La frattura e la ricomposizione. Ritrovarsi, riflettere, riprogettare.

di ***


LA FRATTURA

Il 2018 politico, guardato dalle lande periferiche e autonomiste del Trentino, è stato un anno di grandi e dolorosi stravolgimenti. Sembra passato un secolo.

Il 4 marzo si svolgono le elezioni politiche. Nessuno dei tre poli principali (fatica vistosamente il csx, il cdx si scopre a trazione leghista, esplode il M5s che arriva quasi al 33%) ottiene una vittoria tale da garantire la costituzione di un Governo.

La frammentazione emersa dalle urne e la litigiosità tra le varie forze politiche porta contemporaneamente a una crisi istituzionale lunga quasi tre mesi, alla nascita del primo governo Conte – detto giallo/verde – e ad una legislatura schizofrenica, fatta di maggioranze a geografie variabili, anzi variabilissime. Governo Draghi compreso.

Prende il via l’estate sovranista. Salvini Ministro dell’Interno applica (sostenuto dai suoi alleati) la dottrina “cattivista” nei confronti dei migranti sulla rotta mediterranea e verso chiunque tenti di esprimere loro solidarietà. Una dottrina con radici profonde. Il M5s tenta – con risultati ambivalenti – di intestarsi alcune grandi questioni sociali (te la ricordi l'“abolizione della povertà?”) e ambientaliste.

Il centro-sinistra, in tutte le sue molteplici e litigiose rappresentazioni, fatica a riorganizzarsi, ad esserci.

La fotografia del Censis parlava di sovranismo psichico. Un sentimento prima che una proposta politica. E’ la stagione che segna il passaggio dal rancore alla cattiveria.

 

1 Giugno 2021

La sfida di un destino comune

Nei giorni 3 e 4 luglio 2021 si svolgerà a Genova il X Congresso di Slow Food Italia. Circa settecento delegati si riuniranno in parte in presenza e in larga parte in collegamento per dar vita ad un nuovo passaggio che abbiamo chiamato La sfida di un destino comune.

Un orizzonte tracciato nel documento di visione che – insieme agli altri documenti congressuali sulla biodiversità, sull'educazione e sulla advocacy proposti dal Consiglio Nazionale uscente e dalla nuova squadra candidata alla direzione dell'associazione – si propone di declinare il buono, pulito, giusto e per tutti nel contesto di crisi (ambientale, climatica, sanitaria, sociale, demografica, economica ma anche culturale e politica) che investe il nostro tempo.

Una proposta che si rivolge a tutte le persone e le realtà collettive che oggi si pongono criticamente verso un modello di sviluppo palesemente insostenibile e all'origine della sindemia in corso.

Un invito alla lettura.

25 Maggio 2021

Un unico paese, dal Giordano al Mediterraneo

Nella scorsa notte è giunto finalmente il cessate il fuoco. Dopo morte e distruzione, il fatto che le armi tacciano non è certo un dettaglio. Rimangono le ferite, il dolore e le macerie. E rimane intatta l'aggressività del governo israeliano e dei coloni verso Gerusalemme est e i territori palestinesi. Non mi pare ci sia un granché da festeggiare, se non nella logica farsesca di chi si attarda a pensare che una soluzione di pace e giustizia possa essere affidata al confronto militare. Così l'esito di questi giorni terribili è l'ennesima sconfitta della politica e l'accreditamento di un nemico di comodo come Hamas. Un esito prevedibile, che sposta ancora più inditero le lancette della pace. (m.n.)

 

di Ali Rashid *

Non ci sono parole per esprimere il dolore, lo sbigottimento e l'indignazione per quanto si sta consumando nella terra dove sono nato e per i crimini contro la popolazione civile, in particolare nella striscia di Gaza. E per la complicità di una diplomazia internazionale incapace di chiedere anche semplicemente il cessate il fuoco.

Sono stanco di indignarmi e di piangere. L'intero arco della mia vita è andato così. Un dolore che la mia generazione si è portata appresso per settantatre anni, da quando con la proclamazione dello Stato d’Israele senza nemmeno chiedere alle popolazioni che abitavano quelle terre cosa ne pensassero, venne cancellata la Palestina dalle carte geografiche.

Ma si può cancellare un nome e un popolo che affondano le loro radici nel cammino della storia, delle religioni e delle civiltà del Mediterraneo? Fu davvero una catastrofe (la Nakba come diciamo noi), come altre del resto. L'ordine internazionale scaturito dalla fine della prima e della seconda guerra mondiale venne disegnato dalle potenze occidentali in base ai loro interessi coloniali. Per la nostra gente fu l'occupazione militare della maggiore parte del territorio storico della Palestina, l'espulsione di due terzi della popolazione (un crimine chiamato “pulizia etnica”), la distruzione di più di 480 villaggi palestinesi, l’insediamento di immigrati europei di religione ebraica nelle loro case, l'uso della forza per attuarlo. Per il diritto internazionale sono crimini di guerra che solo la falsa coscienza dell'Occidente ha permesso ad Israele di violare impunemente.

19 Maggio 2021

La metafora del nostro tempo

 

Un anno fa usciva “Il monito della ninfea”. Un invito alla lettura e all'incontro.


(20 aprile 2021) Sono trascorsi quasi due anni e mezzo da quella notte di fine ottobre 2018 quando la furia del vento abbatté 42.500 ettari di bosco e foreste dolomitiche. Si trattò dell'evento di maggior impatto sugli ecosistemi forestali mai avvenuto in Italia, cambiando in questo modo il volto di 494 Comuni, per un territorio complessivo di due milioni e 306 mila ettari spalmati sull'arco alpino orientale.

In un contesto nel quale gli avvenimenti si consumano in pochi giorni, a volte in poche ore, il lasso di tempo che ci separa da quel tragico evento può sembrare sufficiente per metterlo in archivio.

Se pensiamo che in questi due anni è accaduto di tutto, non solo il susseguirsi di altri eventi estremi che hanno scosso gli ecosistemi in ogni parte del pianeta ma soprattutto una sindemia che ancora sta devastando la vita di miliardi di persone, l'uragano Vaia potrebbe oltremodo apparire come un fatto verso il quale non riservare ulteriore attenzione.

Questo mettersi le cose alle spalle senza averne colto il monito non va bene. Allo stesso modo continuiamo a guardare gli avvenimenti come se fossero compartimenti stagni quando invece tutto si tiene. «Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe» scrive Walter Benjamin nel suo scritto dedicato all'Angelus Novus. Un'esortazione che vale anche per questo nostro tempo, che ci dovrebbe aiutare a riconoscere le connessioni fra le cose che accadono e solo apparentemente estranee l'una all'altra.

 

 

18 Maggio 2021

Il Concerto di Baghdad. Un omaggio al maestro Franco Battiato

Quello che qui potete vedere è il filmato del “Concerto di Baghdad” di Franco Battiato. Realizzato il 4 dicembre 1992 al Teatro nazionale di Baghdad, il concerto si svolse in prossimità della prima guerra del Golfo che fece precipitare quel paese in una condizione di profonda sofferenza. 

Il concerto era parte dell'iniziativa umanitaria per l'infanzia irachena promossa da Un ponte per Baghdad. La sua realizzazione fu possibile grazie alla mediazione di Ali Rashid, allora vice ambasciatore palestinese in Italia. Ad accompagnare Franco Battiato, l'Orchestra dei Virtuosi Italiani e dall'Orchestra Sinfonica Nazionale irachena, con la direzione di Mohammad Othman, Antonio Ballista e Giusto Pio.

https://youtu.be/otuDAwqOE20 

15 Maggio 2021

Rovesciamenti

«Tempi interessanti’ (114)

In queste ore mi chiedo come sia stato e sia possibile il capovolgimento della verità, tanto da far diventare aggressori gli aggrediti. Potremmo darci le solite risposte più o meno corrispondenti ai nostri schemi interpretativi, scomodando il ruolo delle grandi potenze piuttosto che l'azione degli apparati del consenso o dell'influenza delle lobbies economico-finanziarie. Che pure ci sono e non sono di certo estranee in quella che Nelson Mandela definiva la più grande questione morale del nostro tempo. Al tempo stesso credo che sulla tragedia che si consuma dal 1948 nella Mezzaluna fertile del Mediterraneo si possa misurare oltre ogni immaginazione la falsa coscienza dell'Occidente. O forse pensiamo che quel che si consuma in queste ore nel Vicino Oriente sia dovuto all'odio primordiale fra arabi ed ebrei? No, non c'è nulla di più falso di questa contrapposizione di comodo.

Perché arabi ed ebrei, di comune origine semita, sono state nella storia popolazioni culturalmente affini. Protagonisti, insieme, delle antiche civiltà orientali, alle quali dobbiamo le prime forme di urbanità e di architettura civile, la nascita delle religioni monoteiste, le magnificenze e i saperi dell'età dell'oro che creò i presupposti – grazie all'espansione araba nel Mediterraneo e al grande movimento delle traduzioni1 – dello stesso rinascimento europeo. Semmai lungo questa storia comune arabi ed ebrei sono state vittime degli stessi oppressori che hanno esercitato nei loro confronti logiche di dominio, crociate e guerre di religione, colonialismo e suprematismo razziale. ...

 
9 Maggio 2021

Nutrire le acque. Il pesce che mangiamo e il suo impatto sull’ambiente

Quasi la metà delle specie ittiche d’acqua dolce in Italia è a elevato rischio di estinzione (48%) e molte devono competere con specie esogene importate. Prevenire la distruzione di delicati ecosistemi e ripristinare quelli originari è possibile, ma occorrono progetti che assecondano la natura. Il ruolo dei consumatori è centrale. Riprendiamo questo interessante articolo dal sito https://altreconomia.it che ringraziamo per la disponibilità.


di Lorenzo Berlendis e Davide Boni*


I pesci non parlano. Non è una buona scusa per non metterci in loro ascolto. Ne va del nostro futuro, non solo alimentare. A livello globale, metà del pesce che mangiamo proviene da allevamenti e a breve supereremo la parità, in favore della piscicoltura. Attività spesso improntata su pratiche atroci, con ricadute pesanti sulla nostra salute, su quella delle acque, dei mari e non solo. Basta dare un occhio ai video che denunciano il “lato oscuro” della moda sushi come, ad esempio l'inchiesta di Animal Equalitydedicata all’allevamento dei salmoni in Scozia: pesci estremamente richiesti dal mercato occidentale.

Il report “Dead loss” - curato dall’Ong britannica Just Economics - analizza i costi e le ricadute negative delle cattive pratiche di allevamento dei salmoni in Gran Bretagna. Nel corso degli ultimi anni la mortalità dei pesci è più che quadruplicata: dal 3% nel 2002 a circa il 13,5% nel 2019, solo negli allevamenti di salmone scozzesi. Circa un quinto di questi decessi è imputabile a infestazioni da pidocchi di mare, che si nutrono di pelle e muco di salmone, di fatto mangiando i pesci vivi.

Ma una delle maggiori contraddizioni di questo sistema di produzione è che per nutrire i salmoni, pesci dalle innate abitudini migratorie, si utilizza un’enorme quantità di pesce selvatico, spesso pesce azzurro. Il sistema di allevamento del salmone sottrae così a virtuali acquirenti circa un quinto del pescato selvatico annuale mondiale, pari a circa 18 milioni di tonnellate l’anno.

 

4 Maggio 2021

Il virus etnico

 

Tra i danni del coronavirus in Alto Adige – Sud Tirolo, anche quello al dialogo fra gruppi linguistici. Le tensioni sui tamponi nasali a scuola ne sono un segnale. Che però non sembra ascoltato.

di Mauro Cereghini

(4 maggio 2021) La pandemia da covid-19 ha fatto molti danni. I morti, anzitutto. E poi le perdite economiche, lo stravolgimento della vita sociale, l'isolamento in casa... Nella nostra provincia, rischia di aggiungersi un danno in più: quello alla comprensione e al dialogo tra gruppi linguistici. Almeno in quella parte di vita pubblica che si è scelto di tenere rigidamente separata per gruppi, e cioè la scuola. Un dirigente giorni fa riconosceva sconfortato che un anno di covid-19 ha portato indietro le lancette di decenni. Ultimo è il caso dei test nasali autosomministrati– i famosi tamponcini – ma prima ne sono venuti altri come la scuola d'emergenza o l'obbligo delle mascherine ffp2. Tutti casi in cui l'autonomia provinciale ha introdotto norme diverse da quelle nazionali, in sé magari utili, ma senza il confronto e la mediazione culturale con i destinatari del mondo italiano.

 

 

4 Maggio 2021

Il ponte della retrocessione ecologica

di Tonino Perna*

Ancora una volta, per l’ennesima volta, si ritorna a parlare del Ponte sullo Stretto di Messina, dopo l’approvazione di un progetto, uscito dal cilindro della commissione istituita ad hoc dal governo Conte-bis. Si tratta di un’ossessione, di un accanimento terapeutico, nei confronti di un territorio fragile che nel corso del tempo, dalla Magna Grecia ad oggi, ha dovuto subire più di venti terremoti devastanti, fenomeni di bradisismo (così si è inabissato a metà del XVI secolo il porto naturale di Reggio), smottamenti e frane delle colline di sabbia che si affacciano su uno degli spettacoli naturali più affascinanti del pianeta. Dalla Lega a Forza Italia, da Fratelli d’Italia al Pd (soprattutto i deputati calabresi e siciliani) tutti uniti a chiedere che si proceda con il progetto esecutivo e poi si appalti questa “grande” opera.

Sulla stampa locale si leggono dichiarazioni fantasmagoriche: «la più grande attrazione del mondo»…«milioni di turisti …», «180mila nuovi posti di lavoro…». Persino il presidente della Svimez, stimato e rispettabile economista mainstream, si è innamorato di questa idea, senza tenere conto di studi indipendenti sulla fattibilità. Basti solo pensare al distacco di un centimetro ogni cinque anni delle due sponde(rilevato dai satelliti), oltre alla grande faglia tettonica che attraversa lo Stretto e potrebbe risvegliarsi (gli scongiuri non bastano! ). Ma, quello che più preoccupa, è l’aver messo da parte, ignorato, cancellato, qualunque discorso sull’impatto ambientale, mentre tutti straparlano di “transizione ecologica”.

 

28 Aprile 2021

Ammodernare l’insostenibilità?

Questo Pnrr è un piano di ammodernamento di un modello di sviluppo insostenibile, non promuove la transizione ecologica e non affronta alla radice le cause delle crisi che stiamo vivendo

Comunicato di Slow Food Italia

(27 aprile 2021) Si addensano molte nubi nel cielo del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. C’era da aspettarselo, tale è la posta in palio (complessivamente il Presidente Draghi parla di 248 miliardi di euro investimenti) e tali sono gli interessi solleticati da questa enorme quantità di denaro.

Pnrr, Slow Food: «Non è una strategia per la transizione ecologica»

«Quella che emerge dalla lettura del Pnrr non è una strategia per la transizione ecologica ma piuttosto un programma per l’ammodernamento del Paese. Come se all’origine delle crisi che stiamo vivendo ci fosse principalmente una condizione di arretratezza dell’Italia rispetto al contesto globale e non, invece, un problema di modello di sviluppo. La transizione dovrebbe essere un passaggio da un modello all’altro e non un aggiustamento, pur se profondo, di un modello che si vuole perpetuare. Per fare un esempio: nei capitoli dedicati all’agricoltura si propone il rinnovo del parco macchine, che può anche non voler dire nulla in termini di transizione ecologica o, addirittura, può avere effetti negativi, se dovesse tradursi nel passaggio a mezzi sempre più pesanti che compattano sempre più i suoli», afferma Francesco Sottile, a nome del Comitato esecutivo di Slow Food Italia.

 

16 Aprile 2021

Transizione ecologica, le parole sono importanti

di Carlo Petrini

(12 aprile 2021) Uno spettro si aggira per l'Europa: lo spettro della transizione ecologica. Da qualche mese queste due parole hanno iniziato a frequentare in tandem la nostra quotidianità. Il green deal europeo le ha introdotte tra le priorità del piano di sviluppo Ue per i prossimi anni, e in Italia abbiamo dedicato loro addirittura un ministero nuovo di zecca. Come a dire che la strada per uscire dal pantano di un modello di sviluppo soffocante e distruttivo è stata finalmente trovata in un fortunato binomio.

Tuttavia, come direbbe Nanni Moretti in una delle scene più riuscite del cinema italiano, «le parole sono importanti» e per questo andrebbero usate con cura. Transizione indica qualcosa che cambia radicalmente, che passa da una condizione a un'altra in una trasformazione decisiva. E una transizione il passaggio dall'adolescenza all'età adulta, il passaggio dal Medioevo al Rinascimento, il percorso di chi decide di cambiare sesso. Roba forte. Ecologica indica invece il riferimento alla sfera della relazione tra un essere vivente e il proprio ambiente naturale, la maniera in cui una specie si adatta e prospera nel proprio habitat. La necessità stessa di una transizione ecologica esprime dunque in maniera inequivocabile l'urgenza di un ribaltamento del modo in cui noi esseri umani abitiamo il pianeta.