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19 Marzo 2019Melita, parte di noi
28 Marzo 2019Il primo mandato di accusa nei confronti di Karadzić è datato 25 luglio 1995. Dopo aver lasciato la presidenza della Republika Srpska all’allora vice Biljana Plavšić, Karadzić entrò in latitanza. Venne poi arrestato il 22 luglio del 2008 in Serbia e messo sotto processo presso il Tribunale Penale dell’Aja per la ex Jugoslavia (TPI), un processo durato 5 anni prima che arrivasse la prima sentenza e nel corso del quale sono stati ascoltati quasi 600 testimoni.
Il 24 marzo del 2016 è stata emessa la sentenza in primo grado a 40 anni di reclusione e Karadić è stato condannato di persecuzione, sterminio, omicidio, deportazione, terrore, genocidio, crimini commessi nel corso del conflitto avvenuto in Bosnia tra il 1992 e il 1995. L’accusa di genocidio è stata confermata solo per quanto avvenuto a Srebrenica e non per le altre zone della Bosnia Erzegovina per cui la richiedeva l’accusa e cioè le sette municipalità di Kljuc, Sanski Most, Prijedor, Vlasenica, Foca, Zvornik e Bratunac. “Secondo la versione del Tribunale”, scriveva Andrea Oskari Rossini per OBCT il 25 marzo 2016, “dunque, il genocidio è stato commesso solo nel luglio ’95, a Srebrenica, ma la leadership serbo bosniaca non aveva un piano genocidario nei confronti della popolazione bosniaco musulmana fin dall’inizio del conflitto. È questa la parte della sentenza che più è stata criticata dai sopravvissuti e dalle associazioni delle vittime”.
Il 22 luglio dello stesso anno è stata depositata – presso il Meccanismo residuale per i tribunali penali internazionali, subentrato al Tribunale Internazionale dell’Aja nel dicembre 2017 – la richiesta per il processo di appello, sia da parte dell’accusa sia da parte di Karadzić che ha impugnato 50 punti della sentenza di condanna.
Per approfondire vai alla pagina dedicata al processo a Radovan Karadić, sul sito del MICT