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Rafforzare la nostra anomalia politica

In attesa di… vorrei esprimere due pensieri. Il primo riguarda lo scarto che c’è tra i partiti e il loro «popolo» di riferimento. In questi anni sono stati avviati significati percorsi collettivi che hanno tentato di ridurre tale scarto e di animare il dibattito. Non si è trattato di esperienze contro i partiti, ma tentativi di produrre un cambio di rotta, di ridurre la tendenza all’autoreferenzialità. L’esperienza alla quale ho partecipato, l’Associazione per una Comunità responsabile, testimonia quante potenzialità vi siano in un «luogo» dedicato ad una discussione libera, trasversale, capace di mettere a fuoco problemi e formulare proposte, Mi risulta vi siano esperienze di impegno civico e territoriale altrettanto significative. Così come di iniziative che si propongono di aprire finalmente un dibattito sui contenuti e non solo sulle formule. Passato il momento degli auspici e degli appelli, spesso ignorati e inascoltati, potrebbe arrivare il momento di un coinvolgimento diretto, di un’azione che da pre-politica diventa politica.

Il secondo pensiero riguarda direttamente le elezioni politiche. L’accordo sul Senato deve trasformarsi in qualcosa di più. A Bolzano, con la candidatura di Francesco Palermo, sembra davvero essersi aperta una fase nuova, promettente. Come Trentino spero riusciremo a essere protagonisti, magari a uscire rafforzati e più consapevoli della partita che si giocherà nei prossimi anni. Per poterlo fare consapevolmente dobbiamo portare in dote ciò che abbiamo saputo realizzare sul terreno dell’innovazione della nostra autonomia e grazie al mantenimento, in anni difficilissimi, della nostra «anomalia politica». Rispetto a quest’ultima, che si riassume nei tratti dell’età dellaiana, è necessario discutere senza ossessioni «discontinuiste». C’è molto lavoro da fare e da rivedere, ma c’è anche una solida base di buon governo sulla quale contare.

Giuseppe Ferrandi è Presidente Associazione per una Comunità responsabile

1 Comment

  1. stefano fait ha detto:

    Giuseppe Ferrandi ci invita a constatare l’esistenza, in Trentino, di “una discussione libera, trasversale, capace di mettere a fuoco problemi e formulare proposte”. La discussione indubbiamente c’è; sulla messa a fuoco e sulla costruzione di proposte (e alternative) ho le mie perplessità.
    Se devo giudicare la progettualità che emerge su “politica responsabile”, non posso che concludere che ha il freno a mano tirato. È evidente che c’è tutta la buona volontà del mondo e ci sono anche le competenze necessarie a realizzare praticamente tutto quel che va fatto – in questo senso siamo fortunati.
    Quel che però manca alla classe politica locale e nazionale è precisamente quel che chiedono disperatamente milioni di cittadini di destra, centro e di sinistra: una visione della società, una visione dell’uomo in seno alla società, un’esigenza di cambiamento in meglio, in cui i sacrifici abbiano un senso, diano dei risultati e garantiscano un “controvalore” solidale (da parte dei cittadini ricchi e delle nazioni europee ricche, che invece sembrano aver scelto la strada della secessione dal resto del mondo, come se non fossimo tutti interdipendenti e le disgrazie dell’uno non avessero mai alcun impatto sugli altri).
    Manca una classe politica in grado di esaminare obiettivamente le realtà (il più obiettivamente possibile), agendo di conseguenza. La politica è invece – è sotto gli occhi di tutti – dominata da interessi particolari e dogmatismi: logiche sicuritarie sempre più orwelliane, disegni di legge che vietano il revisionismo storico (cioè amputano la storiografia), l’invenzione del reato di clandestinità che spedisce in carcere centinaia di immigrati (1.238 al 31 dicembre 2011), l’inserimento nella costituzione di disposizioni che di fatto proibiscono le strategie di sviluppo messe in atto, tra gli altri, da Roosevelt, De Gaulle, Bruno Kreisky, Willy Brandt, Mario Cuomo e Olof Palme.
    Non c’è un’idea grande, una visione di lungo periodo, la politica alta e nobile che scalda i cuori – come quelle dei summenzionati statisti, appunto – ma solo il traccheggiamento – o, peggio ancora, la caccia di voti e di capitali lobbistici, nella grottesca speranza che i problemi si risolveranno in qualche modo da soli. Soprattutto, non c’è un’alternativa concreta al neoliberismo dell’ipercompetizione, della crescita compulsiva, del rifiuto dei limiti e dell’autodisciplina, della tracotanza, dell’austerità asservente, cioè di tutto ciò che distrugge le comunità, invece di renderle più coese, solidali, fiduciose, attive, audaci.
    Michele Nardelli fa bene a preoccuparsi della mania rotta matrice, perché se la Bundesbank e la Merkel avvertono che per i tedeschi il 2013 sarà un anno difficile, possiamo ben immaginare che razza di anno toccherà a noi! Sarà un anno di rabbia e di capri espiatori e il PD sarà il parafulmine (assieme alla Germania, se si rifiuterà di scendere a compromessi, e ad Israele e/o gli Stati Uniti, se avvieranno un’altra guerra in Medio Oriente).
    Quest’idea grande non può essere il semplice euro-regionalismo o l’europeismo e non basterà neppure un Francesco Palermo che unisca i gruppi etnolinguistici altoatesini e magari anche le due province intorno ad un rinnovato progetto autonomistico.
    Per uscire dall’impasse serve una visione globale e genuinamente democratica e quindi, tanto per cominciare, occorrono due precondizioni:
    * maggiore partecipazione democratica, nel senso illustrato nell’ultima parte di questo post (unica maniera per contrastare le pulsioni rottamatrici):
    http://versounmondonuovo.wordpress.com/2013/01/12/donata-borgonovo-re-i-suoi-critici-la-democrazia-partecipata/
    * il superamento dell’idea di una separazione tra una prospettiva locale che si occupa di cose locali da una nazionale che si occupa di questioni generali e globali (il Trentino sta facendo bene, in questo senso, ma dovrà fare molto di più, possibilmente assieme ad altre province, anche non limitrofe e non necessariamente solo italiane o europee). La grande lezione della globalizzazione è che l’apertura al mondo è anche una sfida locale. Il successo economico delle regioni nel processo di globalizzazione dipende dalla loro capacità di irradiarsi in tutto il mondo, formando partnership (partenariati) per scambiare capacità, prodotti, idee, esperienze, ecc. La ripresa, in Europa, dipende dall’impegno degli enti locali, dalla loro capacità di trovarsi vicino alle questioni transnazionali, nel contesto delle euro-regioni, per esempio, ma non solo (il progetto delle macroregioni, che piace tanto alla Lega, potrebbe essere sfruttato per dar vita ad una diplomazia macroregionale, distinta da quella nazionale, pur se nella cornice degli interessi nazionali, che andrebbero comunque declinati globalmente).
    Il successo di una grande idea, di un grande progetto, dipende dalla vitalità della democrazia locale e dall’impegno dei cittadini nella vita di tutti i giorni.
    Se il Pd locale non comincia a pensare in grande, se non prende a modello, pur nel suo piccolo, quelle magnifiche figure del passato (che, ahimè, dubito siano al centro dei pensieri dei nostri futuri rappresentanti in Parlamento) non solo non farà comunità e non farà l’interesse generale, ma rischia di essere visto come un intralcio.
    Troviamo il coraggio di essere un’autentica anomalia politica!