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La questione fa il paio con il disegno di legge sull’alternanza di genere nelle liste elettorali congelata nell’Aula del consiglio provinciale per le resistenze di una parte dell’opposizione e l’imbarazzo di una parte della maggioranza. Ci sono delle affinità tra i due piani che si concretizzano nella dimensione della rappresentanza. Anche le democrazie locali hanno bisogno di rispecchiarsi in un’immagine sociale più corrispondente alla realtà. Riequilibrare la presenza dei generi e favorire l’emergere di nuovi protagonismi fino a oggi sopiti è un compito della politica contro l’ancoramento all’equazione maschilista e razziale.

Il Trentino ha un ritardo rispetto alla normativa nazionale, ma non solo. Al di là del Mediterraneo, l’unica «primavera araba» finora riuscita, sebbene accompagnata da elementi di incertezza, è quella tunisina. La Tunisia ha una lunga tradizione di conquiste in campo femminile — è il Paese arabo più avanzato — che risale al Code de statut personel del 1959 quando Habib Burghiba, il presidente della decolonizzazione, introdusse il divorzio, vietò la poligamia, impose un’età minima per il matrimonio. Ruppe tutti i vincoli feudali e tribali di una società che intendeva emancipare. Nella Costituzione del 2014 gli articoli 34 e 46 assegnano allo Stato il compito «di garantire la rappresentatività delle donne nelle assemblee elette» e lo impegnano «a consacrare la parità tra uomini e donne nelle assemblee elette». Un esempio che, entro fine legislatura, può essere ancora perseguito anche in Trentino.

* editoriale pubblicato sul Corriere del Trentino del 19 novembre 2017

 

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