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Primarie, il mito fondatore…

di Luca Paolazzi (Circolo PD di Lavis)

Ho letto con interesse le riflessioni del Presidente del Consiglio provinciale Bruno Dorigatti in merito all’istituto delle primarie e alle dinamiche da questo innescate all’interno del PD, tanto a livello nazionale quanto provinciale (L’Adige, 15 settembre 2012), concordando in larga parte con le opinioni espresse.

Credo innanzitutto che le primarie siano uno strumento che, in quanto tale, va utilizzato in maniera funzionale rispetto allo scopo di selezionare il candidato ad una procedura elettorale. Ma che, al pari di ogni altro strumento, può anche non essere utilizzato o esserlo alternativamente ad altri strumenti. In tal senso non condivido l’approccio di chi vede nelle primarie una sorta di mito fondatore del PD, né di coloro che reputano l’utilizzo di questo strumento come apriosticamente ed apoditticamente indispensabile. Per lo stesso motivo ritengo vi siano occasioni nelle quali, subordinatamente ad un processo interno in grado di scongiurare una moltitudine di candidature correntizie o simboliche, le primarie siano un utile strumento di selezione, legittimazione e partecipazione.

In secondo luogo, credo che lo strumento delle primarie sia spesso utilizzato in alternativa alla pratica politica della mediazione, delegando ad altri, nel caso del PD non solo agli iscritti, scelte di competenza del partito. In questo modo, e in maniera ancor più marcata in caso di un uso reiterato e compulsivo delle primarie, si contribuisce a trasportare nella società gli scontri interni ai partiti, veicolando la creazione, sia dentro che fuori, di quelli che Dorigatti ha definito come dei “fans club”. Che, in quanto tali, sono spesso maggiormente concentrati sul supporto personalistico del candidato di riferimento piuttosto che sui contenuti programmatici da questo proposti. In questo modo la personalizzazione del processo di selezione svuota lo stesso di contenuti politici, mortificando il dibattito interno e la costruzione di
strategie programmatiche condivise.

In terzo luogo, conseguentemente, credo che le primarie siano anche il segno della debolezza dei partiti, sempre più incapaci di svolgere una funzione di aggregazione e di sintesi nonché di porre in essere dei meccanismi di selezione e formazione della classe dirigente, delegando come già detto tale selezione a pure logiche consensuali. E proprio il trionfo della logica consensuale è spesso la causa dell’inefficacia delle primarie nel selezionare il candidato più competente, qualificato, ed adatto al raggiungimento degli obiettivi prefissati. Motivo questo, cioè la coerenza tra la scelta del candidato e l’attuazione del programma, che, soprattutto in una logica coalizionale, impone da un lato che la definizione del programma anticipi la selezione del candidato e dall’altro il primato del partito -o della coalizione- sui singoli.

In quarto luogo, concentrandomi sulle primarie del PD, l’apertura delle stesse anche ai non iscritti rischia di mortificare il ruolo dell’iscritto e la centralità che questo deve avere nelle scelte del partito, compresa la selezione dei candidati. Ammettere, come qualcuno ha fatto, che Renzi può vincere le primarie solo se queste non saranno aperte ai soli iscritti del PD, quasi sperando in un maggior contributo dei non tesserati, è sufficiente a far capire la scarsa concezione che alcuni esponenti hanno del partito e dei suoi tesserati. Senza contare che i non-iscritti intervenuti alle primarie non
costituiscono una base stabile e duratura del partito e quindi non contribuiscono alla vita e alle scelte che il partito compie, indipendentemente dalla scadenza elettorale, ad ogni livello di governo. E i danni di questa discrasia rischiano di palesarsi soprattutto nelle realtà più piccole, dove, provando ad esemplificare, è possibile che il segretario di un circolo sia eletto anche indipendentemente dalla volontà maggioritaria del circolo stesso (inteso come l’insieme degli iscritti che frequentano le riunioni di circolo con
costanza), salvo poi, nel corso delle scelte settimanalmente assunte, doversi confrontare con i soli iscritti partecipanti alla vita del circolo, con il rischio di essere delegittimato proprio da coloro che costituiscono il nucleo forte di quel circolo.

Da ultimo, non credo siano le primarie lo strumento adeguato a garantire la discontinuità da più parti invocata, in particolar modo perché la discontinuità deve realizzarsi soprattutto nelle idee, nelle scelte e nelle strategie politiche, prima che nelle persone o, peggio, nei personalismi. Credo che l’idea di creare discontinuità attraverso le primarie, cioè indipendentemente dall’elaborazione politica all’interno dei partiti, nasconda solo una pericolosa vaghezza.

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