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Il federalismo fra appropriazione indebita ed oblio
Ci sono parole che assumono un valore diverso a seconda di chi le pronuncia. Il concetto di austerità è diventato negli ultimi anni il simbolo delle politiche di rigore della Commissione Europea nei confronti degli stati ma non certo del potere finanziario, sostenuto oltre ogni misura alla faccia dell’autoregolazione dei mercati. Ciò non di meno l’austerità è principio virtuoso che dovrebbe informare le politiche pubbliche (ma anche il “fare economia“ familiare) per uscire dall’insostenibilità di un modello di sviluppo senza futuro.
Lo stesso potremmo dire per concetti come pace, diritti umani, sostenibilità… svuotati di senso da un lessico banalizzante che tende ad appropriarsi di ogni cosa, comprese le parole.
A rimanere vittima di quest’opera di appropriazione indebita (ma anche di oblio) è il concetto di federalismo. Vent’anni di leghismo ne hanno storpiato il significato originario, di progetto di pace rivolto al superamento degli stati nazionali, di devoluzione di potere verso il basso e dunque di struttura dell’autogoverno locale ed infine di forma dell’organizzazione della società basata sulla responsabilità individuale e su quello che Aldo Capitini definiva “il potere di tutti“.
Dobbiamo altresì riconoscere che questo è stato l’esito di un’avversione che ha segnato la cultura centralistica delle principali vulgate politiche del secolo scorso. Non possiamo dimenticare che l’azionismo, ovvero la corrente politica che del federalismo aveva fatto il suo tratto identitario, venne schiacciata nella contrapposizione fra l’occidente e il blocco sovietico fin quasi a farlo diventare eresia politica. E di federalismo per molti anni in Italia non si parlò che in strette cerchie di studiosi, dando spazio a concetti come regionalismo e decentramento amministrativo che, a guardar bene, del federalismo erano (e sono) la negazione.
Poi divenne la bandiera dell’incubo secessionista in territori dilaniati fra produttivismo e delocalizzazione delle imprese, spaesamento e incapacità di autogoverno, a cominciare dal saper vedere e valorizzare le proprie unicità. L’esito fu qualche timida riforma e un nuovo oblio. Oggi l’assimilazione delle Regioni italiane a quintessenza della casta fanno sì che la riforma in senso centralistico del titolo V della Costituzione passi a furor di popolo.
Il pensiero europeo di Ventotene, laddove la sovranità degli stati veniva messa in discussione verso l’alto e verso il basso, nella dimensione sovranazionale degli Stati Uniti d’Europa e nell’organizzazione regionale fondata sull’autogoverno territoriale e delle componenti sociali, sembra svanire.
Qualcuno, di tanto in tanto, si ricorda di quell’isola pontina dove l’idea dell’Europa politica divenne creazione politica. Ma nella campagna elettorale la parola federalismo è stata sommersa dal suo opposto quanto mai equivoco, sovranità.