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Oltre i rituali e la retorica

Auschwitz, come noto, è in Polonia e in quell’area dell’est europeo si trovava la più alta concentrazione di ebrei e di "nemici" del Reich. Un pezzo di Europa dove l’antisemitismo si è radicato nei secoli in profondità. La "fabbrica" venne quindi collocata in prossimità di "grandi depositi" di materie prime e dove le condizioni sociali e culturali erano assolutamente favorevoli.

Richiamo esplicitamente la "razionalità" di matrice economica dei nazisti proprio perché il Giorno della memoria non perda di significato e profondità. Credo che tutti avvertiamo il rischio di trasformare questa data dedicata alla memoria della più terribile pagina di storia mai scritta ad un’operazione di semplice commemorazione, ad un rituale i cui elementi, tutti rigorosamente collaudati e carichi di buoni sentimenti, vengano stancamente riproposti.

A questo si aggiunge un rischio di overdose da memoria, termine fortunato ma che è anche dotato di una certa ambiguità.

La storia di Auschwitz, proprio nella sua funzione di fabbrica della morte e di simbolo doloroso del Novecento, è un buon antidoto. Mi verrebbe voglia di dire: più storia, e quindi interpretazione critica del passato e di ciò che è accaduto, per poter fare memoria in modo adeguato. Per agire in profondità sulle coscienze, per inquietare, per sollevare nuovi interrogativi. Per obbligare i destinatari di questa Giornata a reagire alla storia e ad essere protagonisti attivi della costruzione della memoria.

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