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di Michele Nardelli
Non è andato tutto bene e non va tutto bene. I dati ufficiali sulla pandemia Covid-19 (peraltro largamente sottostimati) ci parlano di 22 milioni di persone contagiate e di quasi 800 mila morti nel mondo, di una pandemia che è ancora nel suo picco di massima espansione soprattutto in grandi paesi come Stati Uniti, Brasile, India e Russia, di una nuova ondata di contagi in Europa e di un paese come l’Italia che conta sin qui almeno 255 mila contagi e 35 mila morti. Quanta superficialità (e quanto paternalismo) c’era in quelle parole…
Che non vada tutto bene non ce lo dicono solo i numeri. Se pensiamo a quanto si è speculato su questo dramma sul piano sanitario in Italia (dati europei o globali non ce ne sono ma qualcosa possiamo immaginare), non va proprio tutto bene. Ci siamo forse scordati delle inchieste che, tanto per fare degli esempi, coinvolgono l’ex presidente della Camera dei Deputati Irene Pivetti o il presidente della Regione Lombardia Attilio Fontana?
Se poi dovessimo esaminare quanto si è imparato, la speranza che in molti abbiamo accarezzato che la pandemia ci avrebbe indotti a comportamenti improntati alla sobrietà e alla responsabilità è svanita nelle immagini degli assembramenti, nella recrudescenza dei contagi, nell’idolatria del mercato che non si può fermare e di un modello di sviluppo che non s’intende mettere in discussione.
Ed infine, il cinismo. L’INPS, le Regioni e le Province Autonome non hanno ancora reso pubblici gli elenchi di chi ha usufruito di sovvenzioni pubbliche in seguito al lockdown. Ma sono convinto che la vicenda dei parlamentari e dei consiglieri regionali che hanno ricevuto aiuti destinati a chi ne avrebbe avuto effettivamente bisogno è ben più vasta dei casi sin qui segnalati. E se il primo diffondersi di nomi eccellenti ha giustamente suscitato indignazione, dovrebbe anche farci riflettere su come è cambiata la politica e sul profilo etico di quanti in questi anni hanno visto nella politica un veicolo per la propria carriera e per i propri interessi individuali.
Le giustificazioni avanzate, l’errore (magari scaricato sul proprio commercialista), la sottovalutazione, la beneficenza… – oltre a rappresentare uno sciocchezzaio insopportabile – indicano oltremodo il cinismo di questa gente.
No, non c’è nessun errore. E non si rimedia con la beneficenza, forse mai così pelosa. E’ proprio l’idea che si ha della cosa pubblica e della politica. Ben lontana dai valori di giustizia sociale, di fraternità, di bene comune (e dunque del cambiamento, posto che quello in cui viviamo non è certo il migliore dei mondi possibile), politica ed istituzioni sono diventate oggetto di una sorta di mutazione antropologica per niente estranea ai processi che sono avvenuti nella nostra società.
Del resto, i rapporti annuali del Censis ci raccontano dei mutamenti che avvengono nei corpi sociali, nei comportamenti come nel modo di pensare delle persone. Dell’atomizzazione che genera individualismo e solitudine, degli umori che si trasformano in rancore, del “proprio giardino“ che si traduce nel “prima noi“ e nel “si salvi chi può“. Del diffuso rapporto malato con le istituzioni, per cui si scambia il diritto con il favore. Dell’avversità verso le tasse, come se il diritto ai servizi e alla sanità pubblica non fosse connesso ad un sistema tributario improntato al concetto di progressività. E di una politica che accarezza tutto questo.
Si può dire che la pandemia ha avuto un effetto di amplificazione di quel che siamo diventati. Fa specie che la politica non avverta la necessità di interrogarsi, piuttosto che tacere, giustificare o mettere pezze che sono peggiori del buco.