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Abbiamo fatto bene ad andare al Brennero sabato scorso, per manifestare il nostro sdegno verso il riapparire dei confini e del filo spinato in un’Europa che ci auguravamo li avesse archiviati. Non era così, nella cultura come nei comportamenti.
Perché Schengen ha facilitato sì la circolazione interna ai paesi dell’Unione Europea, ma l’ha resa una fortezza umiliante ai suoi confini, discriminando migranti e profughi provenienti da altri continenti o da quell’altra Europa, cinicamente immaginata come terreno sperimentale di un’interessata postmodernità.
E considerato che aperti e solidali non lo si è a corrente alternata, ora in molti hanno pensato bene che ripristinare le frontiere nazionali, oltre a meglio rispondere al proprio immaginario, potesse rappresentare quel senso di paura e di xenofobia che serpeggia fra la gente laddove tende a prevalere l’idea che ci si possa salvare da soli di fronte alle grandi contraddizioni del nostro tempo.
Quanto in fretta ci siamo dimenticati della nostra storia, del resto mai collettivamente elaborata. Del migrare come delle leggi razziali che hanno riempito di orrore il Novecento europeo. Ora, semplicemente, ne raccogliamo gli effetti.
Abbiamo fatto bene a manifestare al Brennero, ma dobbiamo anche dirci che in quel tratto di terra che per un secolo ha diviso e continua a dividere gente che da sempre parlava la stessa lingua e praticava le stesse tradizioni eravamo in poco più di duecento persone. Che la cosiddetta “società civile“ non c’era come non c’era il paese reale, né quello di lingua italiana, né quello di lingua tedesca o ladina. Che non c’erano nemmeno i volontari delle associazioni che dei migranti si occupano, presi come sono nella logica del fare piuttosto che interrogarsi sulle scelte politiche che generano l’esclusione. E che c’è in giro troppa ipocrisia, laddove molti di quelli che si dicono contrari alle barriere lo fanno solo perché preoccupati dagli effetti negativi sui flussi turistici e sulla libera circolazione delle merci…
Abbiamo fatto bene a testimoniare al Brennero un diverso sentire, dando vita ad un evento al quale i media hanno dato un ampio risalto, creando altresì un ponte simbolico con quanto avveniva nelle stesse ore al festival cinematografico di Berlino dove veniva premiata con l’orso d’oro la pellicola di Gianfranco Rosi dedicata alla tragedia dei migranti che non sono riusciti a raggiungere Lampedusa e a quell’isola civile che “sa accogliere ciò che viene dal mare“. Segni importanti di civiltà, ma non sufficienti a contro bilanciare l’imbarbarimento crescente cui assistiamo nelle opinioni pubbliche come nelle scelte politiche dei governi. Dove si ergono barriere verso altri esseri umani, rinascono fascismi e si organizzano referendum per uscire dall’Unione Europea… come se gli attuali fenomeni migratori non fossero anche la conseguenza di scellerati interventi militari compiuti a difesa dei propri interessi nazionali in Libia, Afghanistan, Iraq…
Sabato abbiamo fatto bene ad essere là, su quel confine smantellato e dove oggi il governo austriaco intende ripristinare, trasformando le paure in uomini armati e filo spinato. L’Ungheria ha fatto altrettanto al confine con la Serbia e con la Croazia, ora lo fa con la Romania. La civile Francia un anno fa ha chiuso la frontiera di Ventimiglia, senza che questo destasse alcuna indignazione. La civilissima Danimarca ha provveduto a legiferare in ordine all’esproprio dei beni e dei risparmi dei migranti. E, pur di non far franare tutto, qualche giorno fa i paesi dell’Unione Europea hanno siglato un patto ignobile con la Gran Bretagna per svincolarla da elementari regole di accoglienza. Il che, per altro, non impedirà a questo paese di togliersi per mano referendaria dal progetto politico europeo il prossimo 23 giugno. Sempre che di progetto politico europeo possiamo ancora parlare.
Al Brennero c’eravamo anche per questo, per far ripartire su basi nuove quel progetto che fu di Altiero Sinelli e dei federalisti europei di Ventotene. A quel tempo eravamo nel pieno della seconda guerra mondiale e l’Europa rappresentava la via d’uscita dal nazionalismo imperante. Oggi il progetto politico europeo rappresenta ancora, malgrado questa Europa, una risposta possibile alla nuova guerra che si combatte con l’affermare la non negoziabilità dei propri stili di vita di fronte all’insostenibilità di un mondo alla deriva.
Ripartire dai luoghi del dolore, quelli di allora come quelli di oggi, forse ci potrebbe aiutare nel riprendere il bandolo della matassa.