Conversazione
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Nazioni Unite, 60 mila morti in Siria dall’inizio del conflitto. Del quale non si vede soluzione.

L’indifferenza – questa sì – riguarda semmai le vittime civili dei bombardamenti nelle città, quasi fossero comparse di una partita che si svoge oltre le loro vite, in una guerra avversa alla primavera, alla partecipazione, al pensiero… e così tragicamente sfiorita. 

La nonviolenza che l’aveva caratterizzata ha lasciato il posto alle armi, quelle dell’esercito e della polizia di un regime dispotico e quelle di una resistenza che con la primavera di Damasco, laica e democratica, hanno ben poco a che fare. 

Al punto in cui siamo è davvero difficile immaginare una soluzione diplomatica. La Siria è un paese troppo grande e strategico per essere messo sotto tutela da parte delle potenze della regione. Così come non appare almeno per il momento ipotizzabile (oltre che denso di incognite e di conseguenze imprevedibili) un intervento armato com’è accaduto in Libia. E allora?

Quello che sta accadendo nel mondo arabo va letto con attenzione. Lo sgretolamento della Siria rappresenta a mio avviso la punta di un iceberg che investe la fine degli stati postcoloniali, configurandosi come l’avvio di un rimescolamento di confini e appartenenze che sembra ridisegnare l’assetto della regione.

Questo può avvenire all’insegna degli interessi internazionali, del rapporto conflittuale fra sciismo e sunnismo, o delle due cose intrecciate. Il tutto avendo sullo sfondo la questione iraniana e l’ipotizzato intervento militare mai del tutto accantonato. Oppure ancora, ed era l’essenza democratica della primavera, attraverso un rinascimento arabo.

Una terza via che dovrebbe fondarsi sul superamento del vittimismo, oltre quella che Samir Kassir definiva "l’infelicità araba", su una nuova cultura capace di affrontare il rapporto fra modernità e tradizione, sulla riscoperta del valore dell’autonomia, ovvero un’idea diversa dell’organizzazione sociale capace di recuperare le tradizioni di autogoverno (delle culture e delle risorse locali). Inaugurando a partire da qui quel nuovo rapporto con il Mediterraneo e con l’Occidente di cui aveva parlato Barack Obama nel suo discorso all’Università del Cairo nella primavera del 2009.

Difficile dire come finirà in Siria. Se la scia di morte continuerà ancora per molto. Di sicuro c’è che la rinascita araba non passa attraverso la guerra. (m.n.) 

2 Comments

  1. stefano fait ha detto:

    Finché i paesi autoproclamatisi democratici continueranno ad essere affetti da hybris e pretenderanno di dettare il percorso di democratizzazione ed emancipazione agli altri popoli, enfatizzando tutto ciò che può tornare loro utile nelle grandi contese globali sulle risorse, ogni sommovimento diventerà cataclismico.
    Solo la moderazione rende accettabile la potenza, ma i nostri governanti si comportano come quelli dei tempi dell’impero ateniese.
    Al posto di Melo c’è stato l’Iraq, poi la Libia e presto ci saranno Siria/Libano e Iran. Tutti “colpevoli” di essersi avvicinati a Sparta (Russia e Cina).
    Cos’è rimasto di Sparta? Ruderi. Cos’è rimasto di Atene? Una città molto brutta che vive di ricordi.

  2. stefano fait ha detto:

    Dimenticavo l’Afghanistan, dove stiamo esportando democrazia ininterrottamente dal 2001 a suon di droni (perché noi valiamo)