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(4 luglio 2017) Il nuovo presidente francese non vuole essere ricordato nel suo inizio di mandato per aver aperto i porti del paese alle navi cariche di immigrati, sfoderando ancora la ridicola e odiosa divisione fra richiedenti asilo e immigrati economici.
Cominciamo col dire che se c’è un Stato europeo che ha grandi responsabilità, storiche e recenti, del flusso migratorio lungo la rotta del Mediterraneo centrale, questo è proprio la Francia. Non voglio scomodare il passato coloniale di Parigi, ognuno dovrebbe riflettere ed elaborare la propria vicenda, invece che crogiolarsi nella superiorità della propria identità e della propria “grandeur“. Ma se proprio vogliamo misurare la grandezza di qualcosa, allora si deve dire che chi ha la maggiore responsabilità nell’aver gettato nelle mani della criminalità organizzata un paese ricco come la Libia è proprio il paese transalpino.
L’intervento militare del marzo 2011 con il quale è stato abbattuto il regime di Gheddafi allo scopo di impossessarsi delle straordinarie fonti energetiche di quel paese è stato realizzato dalla Francia, con il successivo accodarsi in varie forme degli Stati Uniti e del Regno Unito. Con l’appoggio non solo logistico dell’Italia e di altri paesi europei.
Un intervento compiuto nell’ipocrisia di una primavera democratica che non c’era e di un mandato delle Nazioni Unite che non prevedeva attacchi ma solo l’interdizione aerea. Poi è stato il caos, con la divisione della Libia per bande armate, tanto è vero che ancora oggi, dopo sei anni, ci sono due presidenti e tre governi e non si sa quanti eserciti o milizie che di fatto controllano porzioni di territorio, di petrolio e di traffici lucrosi come quello di esseri umani.
Che ora la Francia si chiami fuori è a dir poco vergognoso. Atteggiamento per altro condiviso da mezza Europa che di fronte alla richiesta dell’Italia di farsi carico della questione migratoria si defila. La Spagna si è allineata alla Francia e comunque da tempo ha sbarrato le sue frontiere con l’Africa. La Grecia che ha accolto un numero di profughi anche superiore all’Italia è più o meno nelle nostre stesse condizioni, ma i flussi in quella parte del Mediterraneo si sono attenuati, anche perché la Turchia è stata pagata profumatamente dall’Unione Europea per fare il cane da guardia sulla rotta balcanica. Malta e Cipro non sono in grado di assorbire numeri significativi e il quadro dei paesi europei che si affacciano sul Mediterraneo è completo.
Per non sbagliarsi l’Austria decide di presidiare militarmente il confine con l’Italia ed oggi al Brennero sono apparsi i blindati. Non parliamo poi della maggior parte dei paesi ex comunisti che con i muri e il filo spinato hanno una particolare familiarità. E infatti, rimuovendo piuttosto in fretta che nell’89 e negli anni successivi erano loro a saltare i reticolati, hanno pensato bene di ergersi a difesa del loro nuovo status.
E allora? Allora prendiamocela con le ONG, che la dovrebbero smettere di salvare persone e portarle in Italia. Sono stato in tempi non sospetti molto critico verso questo mondo che ha spesso smarrito la propria autonomia “non governativa“ diventando dei veri e propri “progettifici“, bracci operativi di politiche governative. Ma l’accanimento di queste ore come se il problema fosse chi salva le persone e non la condizione di guerra, di violazione dei diritti umani o di bisogno da cui queste persone scappano è insopportabilmente ipocrita.
E fa specie dover prendere atto che è proprio quello sulla limitazione dell’operato delle ONG l’unico terreno di un possibile accordo, con l’aggiunta di un po’ di denaro. Ma di migranti – tranne qualche paese che questa responsabilità se l’è presa come la Germania – la maggior parte dei paesi europei non ne vuole sapere, alla faccia del loro insistente richiamo alle radici cristiane dell’Europa. Papa Francesco? Da tempo il loro richiamo religioso è diventato una clava contro il prossimo.
Così facendo l’Europa rischia di perdere una nuova occasione per dare prova di una progettualità che guarda al futuro. Come avvenne dopo la fine del bipolarismo, nell’incapacità di evitare una guerra nel suo cuore balcanico costata la vita in dieci anni a non meno di duecentomila persone, insieme a cinque milioni e mezzo di profughi. Ora il Mediterraneo è il suo nuovo e vero banco di prova. E Jean Claude Junker, presidente della Commissione Europea, ne è consapevole. Ma l’orientamento degli stati europei va nella direzione opposta.
Non è con l’opportunismo del rincorrere gli umori che si costruisce l’Europa. La costruzione dell’Europa richiede una progettualità politica capace di andare oltre le sovranità nazionali, il coraggio di non inseguire il consenso e le paure, la consapevolezza in primo luogo delle nostre responsabilità, la capacità di affrontare le grandi questioni del nostro tempo. Fra queste il tema dell’accoglienza e delle nuove cittadinanze. Serve apertura, intelligenza, capacità e lungimiranza. Le politiche di esclusione avranno come esito la recrudescenza della violenza, il rancore e la paura.
Non amo la demagogia che talvolta accompagna l’accoglienza. So bene che l’incontro fra culture diverse non è sempre facile e può creare, specie se mal gestito, situazioni di conflitto. E so che chi emigra tende per autodifesa a chiudersi nei propri riti piuttosto che aprirsi. Come ho imparato a non considerare santa la povertà, perché è nell’emarginazione e nell’esclusione che viene fuori il peggio dell’individuo. E’ così da sempre, anche quando a migrare era la nostra gente. Senza dimenticare che chi partiva dai paesi europei aveva spesso più i panni dei coloni che dei migranti con l’effetto di portare alla progressiva emarginazione (quando non all’eliminazione) dei nativi, considerati razze inferiori o talvolta “non umani“. Eppure costoro non avevano alcuna responsabilità nell’aver determinato le condizioni dell’esilio. Cosa che invece è alla radice dell’impoverimento di paesi altrimenti ricchi come quelli africani o in quel Vicino Oriente culla del sapere e delle nostre stesse civiltà che sono arrivate a noi attraverso lo stesso mare.
Ma il diritto di circolazione delle persone alla ricerca di un futuro è inalienabile. E nulla lo potrà fermare. Almeno fin quando le terre da cui emigrano non torneranno ad essere ospitali. Se questa speranza l’affidiamo alle imprese in cerca di facili profitti, non andremo tanto lontani.
“Nulla può fermare un ventenne che ha lo stomaco vuoto e la testa piena di sogni. Nelle scuole dei paesi ricchi i figli degli emigranti sono spesso i più svegli. Anche per questo i sedentari hanno paura dei nomadi. Sanno oscuramente che saranno loro a vincere‘.
Paolo Rumiz “Dal libro dell’esodo“. Piemme, 2016