Il Trentino a Beit Jala
13 Ottobre 2009Palestina, la responsabilità che portiamo con noi
24 Ottobre 2009I fantasmi… Ciò che sino a ieri pensavi acquisito nella coscienza civile, t’accorgi che non lo è. Non lo è per i crimini di guerra, ma nemmeno per i luoghi comuni che agitano comunità sempre più fragili e spaesate, che reagiscono alla complessità di una realtà in rapida trasformazione aggrappandosi alle proprie certezze e ai propri egoismi, alle proprie miserie e alle proprie paure. Che investono – come sempre accade – le persone meno attrezzate, quella parte di società che più è esposta alla guerra fra poveri o priva di cultura, che prende carta e penna per scrivere ai giornali parole offensive dell’intelligenza dicendo "ghettizziamoli", com’è accaduto a proposito dell’insana idea di istituire classi separate per gli zingari.
Così basta che qualcuno sappia far leva sugli istinti inconfessabili, per far uscire quella banalità del male che sta dentro di noi, ogni volta che decidiamo di non sapere o di voltarci dall’altra parte.
Fantasmi che si nutrono di conflitti non elaborati, di memorie non coltivate, di luoghi comuni che diventano verità incontrovertibili perché corrispondono a ciò che si vuol sapere. Che investono ogni diversità, ma più di tutte quelle che maggiormente ci inquietano. Solo così si può spiegare il perché di tanto accanimento contro il popolo degli "uomini liberi" (rom è un’antica parola indiana che vuol dire "uomo libero").
§§§
Orhan parla nove lingue. Turco, rumeno, serbo, albanese, russo, slovacco, arabo, inglese e olandese. È arrivato in Ungheria con sedici parenti dopo una fuga di duemila chilometri a piedi e in autobus, attraverso cinque frontiere. La sua odissea comincia dopo i primi massacri, quando tenta di raggiungere Belgrado tagliando dalle montagne ma i serbi respingono lui e i suoi, prendendoli per albanesi. Allora gli sbandati cercano rifugio in Albania, ma li cacciano anche da lì, prendendoli per serbi. "Tornate dal vostro Milosevic!" gli urlano alla frontiera. Allora bussano alla Macedonia, dove altri rom aspettano nella terra di nessuno. Ma di notte, sotto la pioggia, le guardie sparano sull’accampamento. Così, alla cieca, per farli desistere. Muoiono in tre, di cui un bambino. Allora, a piccoli gruppi, quelli di Prizren ripartono. Fanno un altro giro, attraversano a piedi la Serbia del sud, entrano di notte in Bulgaria dalle parti di Leskovac. E quando da lì, passata la Romania, arrivano al confine ungherese ecco l’ultima beffa. "Voi rifugiati?" li deride la polizia. "Uno senza terra non può essere profugo."
Fuori si sentono i colpi leggeri della corrente sulle fiancate della chiatta all’ormeggio. "Dovevo andarmene prima" sussurra Orhan. "Già negli anni ottanta avevo capito che quelli si sarebbero ammazzati fra loro. Le razze bastarde sentono con anticipo la follia dei puri. Noi rom non abbiamo mai fatto una guerra da quando abbiamo lasciato l’India mille anni fa. Non conosciamo l’odio. Ma è proprio per questo che la società ci rifiuta. Oggi, chi non si schiera è perduto. Non interessiamo neanche i giornali, siamo troppo complicati. La gente ha bisogno di storie semplici. In bianco e nero. Ci dicono che non abbiamo il senso dello stato: ma se senso dello stato significa ammazzare per un pezzo di terra, certo che non ce l’ho, e non mi interessa neanche averlo. Per questo in ogni guerra siamo perdenti, per questo siamo sempre in fuga. È toccato ai miei nonni, ora tocca a me. Mi sono detto: non uccidere e non farti uccidere. Me ne sono andato, con figli e nipoti, per le montagne. Scappavamo dalla guerra, ma ci sputavano addosso. E ora sono stanco. Ho bisogno di pace". (da E’ Oriente di Paolo Rumiz)
§§§
Quando Fabrizio De André se n’è andato ci ha lasciato un ultimo grande dono, una "smisurata preghiera" che recita così:
"Alta sui naufragi dai belvedere delle torri china e distante sugli elementi del disastro dalle cose che accadono al disopra delle parole celebrative del nulla lungo un facile vento di sazietà di impunità Sullo scandalo metallico di armi in uso e in disuso a guidare la colonna di dolore e di fumo che lascia le infinite battaglie al calar della sera la maggioranza sta la maggioranza sta recitando un rosario di ambizioni meschine di millenarie paure di inesauribili astuzie coltivando tranquilla l’orribile varietà delle proprie superbie la maggioranza sta come una malattia come una sfortuna come un’anestesia come un’abitudine Per chi viaggia in direzione ostinata e contraria col suo marchio speciale di speciale disperazione e tra il vomito dei respinti muove gli ultimi passi per consegnare alla morte una goccia di splendore di umanità di verità per chi ad Aqaba curò la lebbra con uno scettro posticcio e seminò il suo passaggio di gelosie devastatrici e di figli con improbabili nomi di cantanti di tango in un vasto programma di eternità ricorda Signore questi servi disobbedienti alle leggi del branco non dimenticare il loro volto che dopo tanto sbandare è appena giusto che la fortuna li aiuti come una svista come un’anomalia come una distrazione come un dovere."Perché non consideriamo il dovere di proteggere quel che resta di questi "uomini liberi" dopo l’Olocausto, le nuove guerre e una modernità che non dà scampo ad una diversità tanto ingombrante? È una "smisurata preghiera"? Anche quella di rispettare le leggi disattese e di considerare cittadini a tutti gli effetti chi sa "leggere il libro del mondo con parole cangianti e nessuna scrittura"?
Michele Nardelli