La bonifica dell’amianto è legge provinciale
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30 Marzo 2012Quando è stata inserita nel PUP l’idea di Metroland, dopo decenni trascorsi a parlare solo di strade, molti hanno pensato che finalmente la mobilità pubblica diventava un investimento strategico per il futuro del Trentino.
Ma altrettanti hanno trovato il modello Metroland fuori scala e poco rispettoso dell’identità territoriale del Trentino e poco credibile che si proponesse un grandissimo investimento sulla rotaia per la mobilità interna, se non si riusciva nel frattempo a definire lo sviluppo dell’asse del Brennero e ad utilizzare al meglio l’attuale rete ferroviaria.
La domanda è, infatti, quella di connettere sì il Trentino con una moderna rete, non però solo con una velocissima connessione tra centro e alcuni poli periferici, ma permettendo piuttosto a tutte le valli e a tutti i centri significativi di poterne fruire.
Il progetto Metroland si è via via ridimensionato, prima scaglionandolo nel tempo, poi modificandone il tracciato e infine aprendo il progetto a soluzioni differenti da quelle ipotizzate.
La scelta di puntare sulla gestione della ferrovia della Valsugana, indicandola come parte importante della mobilità, e alternativa all’investimento sulla inutile Valdastico, conferma che i binari di Metroland ripartono da quelli che ci sono già, anche se modificandone, estendendone e elettrificandone il tracciato.
Bisogna partire dall’esistente, sfruttarne tutte le opportunità, come nel caso della ferrovia del Brennero per renderla moderna e competitiva, nel numero di treni, nella frequenza, nella qualità, e trasformarla un domani in ferrovia per soli passeggeri o affiancarla con un binario dedicato.
Bisogna investire sui "rami secchi", risultato di una disastrosa politica della mobilità tutta volta all’automobile e all’aereo e di una ancor più disastrosa gestione delle ferrovie italiane ed offrire una alternativa al trasporto delle merci su gomma.
Bisogna recuperare il trasporto pubblico su binario o comunque dedicato, una volta vanto di questa terra e poi rimosso, alienandone perfino il sedime del tracciato, per connettere la Vallagarina con l’Alto Garda, ma farlo rendendolo accessibile e utilizzabile anche per i centri attraversati.
Bisogna mettere progressivamente in rete questa nostra terra, con diverse soluzioni, tenendo conto della morfologia, della realtà urbanistica, del bisogno di mobilità dei trentini e dei turisti.
Per fare questo occorre:
a) assicurare la priorità nel bilancio provinciale a questi investimenti, anche rispetto alla realizzazione di nuova viabilità, che non risulta strategicamente importante e che comunque andrebbe ripensata alla luce di questa idea della mobilità e della contrazione delle risorse;
b) percorrere la strategia indicata dal Pup, cioè l’attuazione di un Trentino policentrico, con una riforma istituzionale che sottragga Trento da una abnorme concentrazione di funzioni, con la riduzione della mobilità per lavoro e per l’accesso ai servizi della pubblica amministrazione. Azionare, quindi, tutte quelle azioni tendenti ad uno sviluppo sostenibile, l’unico futuro possibile per un territorio che affida la capacità di attrazione alla qualità del suo paesaggio e alle risorse ambientali;
c) rendere coerenti le politiche nazionali con quelle del Trentino, il che significa chiedere al governo nazionale di investire sullo sviluppo della ferrovia, di trasferire su di essa una maggiore quota del trasporto delle merci, di connettere il territorio produttivo con le grandi direttrici ferroviarie che altrimenti costituirebbero un investimento insostenibile, di mantenere la concessione della A22, di poter ri-orientare le connessioni con le regioni confinanti coerentemente con queste priorità.
C’è bisogno di uscire da un paradosso che vede il governo provinciale sostenere grandi progetti di mobilità pubblica su rotaia e amministratori locali e ambientalisti contrari al raddoppio della ferrovia del Brennero e a Metroland, considerandole opere dall’alto costo economico e ambientale, e categorie economiche contrarie, perché preferiscono invece nuovi grandi infrastrutture viarie. In mezzo i cittadini, che si muovono con i mezzi che hanno e secondo le offerte che si ritrovano, che non capiscono cosa si vuole veramente fare. Se non se ne esce si finirà per continuare a fare quello che abbiamo fatto negli ultimi cento anni, costruire nuove strade, rinunciando ad una politica della mobilità sostenibile e dunque rinunciando ad esercitare la nostra autonomia.