Botero
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Meglio con meno

Oltre allo sguardo lungo, ho spesso parlato della necessità di uno sguardo strabico. Occuparmi di cooperazione mi ha permesso in questi anni di provare ad avere questo strabismo, per dotarsi di quella distanza che ci permette di vedere questa nostra terra con una diversa profondità. Ragione per la quale consiglio ai miei colleghi di cercare di osservare il Trentino da fuori, possibilmente non da un villaggio turistico, ma dandosi una distanza per cogliere la profondità, comprendere i processi dell’interdipendenza che si riverberano in tempo reale sulla nostra terra, le trasformazioni che ne vengono.

Questo potrebbe aiutarci a prendere atto che gli strumenti di ieri non bastano più, sono diventati inservibili, che alle nuove consapevolezze devono corrispondere nuovi comportamenti. Così come occorrono nuovi occhiali, talvolta anche nuove parole per descrivere un mondo in continua trasformazione. "Mai più come prima" scrive il presidente e sono d’accordo.

Qualcuno in quest’aula ha affermato che la relazione di Dellai sarebbe la fotocopia di quella dell’anno passato. Vorrei provare ad evidenziare invece gli elementi di novità.

In primo luogo nell’analisi della crisi. Il tempo che viviamo non è l’onda lunga della crisi globale bensì la fine di un modello di sviluppo. Non dobbiamo aspettare una locomotiva che si porti via la crisi, ma prendere atto che tutto è cambiato. Questo significa che è necessario cambiare registro, a partire dalla consapevolezza del concetto di limite. E’ infatti, ben prima della crisi, la limitatezza delle risorse a rendere obsoleto il modello keynesiano, quello che si fondava sull’equazione "più crescita, più consumi, più welfare". Un modello che si reggeva sull’esclusione di una parte del mondo. Ma oggi, quelli che un tempo erano considerati "paesi in via di sviluppo" sono le tigri del mondo, con tassi di crescita annui a due cifre: l’India, con il 21,3%; la Cina, con il 20,6%; il Brasile con il 19,7%.

Tutto questo per dire che oggi siamo nel "dopo sviluppo", nella cosiddetta "postmodernità". Tanto che il tema non è la contraddizione fra sviluppo e sottosviluppo, bensì il tema dell’esclusione che investe – in forma a-geografica – quote crescenti di popolazione. E la devastazione che viene dallo strapotere della finanza sull’economia. Basta parlare con un qualsiasi dirigente di banca per scoprire che i motivi della crisi finanziaria non sono stati minimamente scalfiti. Lo stesso ministro Tremonti ha dovuto prendere atto che gli strumenti finanziari derivati muovono una massa di denaro 12,5 volte il PIL mondiale: corrispondono a 300 trilioni di dollari, dove un trilione corrisponde ad un miliardo di miliardi (diciotto zero, per capirci), vere e proprie scommesse sull’andamento dei mercati. Un immenso casinò, un’economia virtuale che condiziona quella reale, che interagisce con le forme attraverso le quali si ripulisce il denaro. L’altra faccia dell’accaparramento delle risorse, dopo il petrolio, l’acqua e la terra.

Contesti nuovi, nei quali non è facile per la politica dare risposte efficaci. Un po’ perché non attrezzata, un po’ perché impotente. Per la prima volta anche il presidente degli Stati Uniti Barack Obama appare fragile, tanto che quando si è recato a Wall Street per chiedere regole sui derivati se ne è venuto via con le pive nel sacco.

Come attrezzarci? Come può un piccolo territorio come il nostro vincere una sfida tanto complessa? E arrivo qui al secondo motivo di novità nella relazione del presidente Dellai: una diversa declinazione del concetto di "crescita" associato al tema della sostenibilità.

Perché a questo corrisponde il tema della conoscenza. E’ quel "meglio con meno" di cui si è molto parlato in questo dibattito e che nei mesi scorsi ho proposto come sfondo della finanziaria. Con meno, certo, perché l’acquisizione di nuove competenze autonomistiche fa sì che il nostro bilancio sia ridimensionato ben oltre i 50 milioni di euro in meno che le cifre indicano.

Non penso alla "decrescita", tema controverso, bensì alla necessità di promuovere una riconsiderazione dei consumi e degli stili di vita. Corrisponde ad uno scarto culturale. Basterebbe anche in questo caso far riferimento a quel che avviene, basterebbe saper leggere la cronaca, per comprendere come i nuovi confini della globalizzazione non lascino scampo a conservatorismi e ritualità. Non abbiamo a che fare solo con i fenomeni della delocalizzazione delle imprese in aree deregolate, ma i meccanismi ben più insidiosi della Bolkenstein. Del resto nei mesi scorsi, grazie si fa per dire all’Amministratore delegato della Fiat Marchionne, non si è parlato che di questo visto che proprio questo era l’oggetto della discussione attorno al referendum che ha interessato i lavoratori della Fiat di Pomigliano d’Arco.

La realtà ci racconta che per lo stesso lavoro, in Europa, c’è chi prende 200 euro e chi 2000. Come uscirne? Qualcuno propone di chiudersi, di innalzare barriere immaginando che i processi globali possano essere illusoriamente tenuti fuori. In realtà ne usciremo solo se sapremo farci carico di questo contesto nuovo, un approccio unitario, europeo, laddove chi oggi ha paghe da fame sia messo in condizioni di avere un reddito dignitoso e che chi ha di più rinunci a qualcosa. Ciò corrisponde ad un nuovo patto di cittadinanza europea, cosa oggi niente affatto scontata, avversata piuttosto.

Che dobbiamo ri-considerare i nostri stili di vita, ivi compresi diritti considerati consolidati, non ci piove. Qualcuno già lo sta facendo, magari senza volerlo. Sono i nostri giovani, che hanno messo in conto che una pensione non la riceveranno mai, a meno che non se la facciano privatamente. Nella precarizzazione le leggi di tutela già stanno saltando.

E’ quel che emerge anche nel dibattito che si è aperto sul sito http://www.politicaresponsabile.it/ dove, negli interventi di molti giovani, la sfida della flessibilit&agrave

3 Comments

  1. g.r. ha detto:

    Intervento bello,interessante,pregno di
    significati,zeppo di indicazioni da seguire,non so quanti trentini riusciranno a leggerlo e conoscerlo,spero che venga divulgato almeno all’interno del pd,dei partiti,del sindacato ,della cooperazione ,delle associazioni,delle associazioni trentine nel mondo e ai trentini sparsi per l’Italia.

  2. Stefano ha detto:

    Bello, complimenti.

  3. Chiara ha detto:

    Grazie Michele per l’attenzione e la cura verso i temi difficili con cui dobbiamo confrontarci.
    Sento nelle tue parole la tensione e la disponibilità ad aprire un confronto su modelli nuovi e questa è davvero la sfida più ardua.

    La situazione nazionale di questi giorni non incoraggia, pare di vedere muoversi tutti a rallentatore senza meta e senza giustificazione. Fa pensare, come spesso anche tu affermi, che mancano gli strumenti per capire e ciò, in parte, probabilmente è frutto del momento epocale che stiamo vivendo. Difficile trovare l’ottimismo, basterebbe non perdere la speranza… e il coraggio.

    La nostra realtà provinciale forse ci può aiutare come laboratorio per trovare le nuove coordinate.
    Colgo quindi l’occasione per inviare a te e a chi riveste ruoli di rappresentanza e responsabilità in questo momento l’augurio per il nuovo anno in cui proseguire con determinazione le riflessioni avviate e le conseguenti azioni.

    Chiara